STEFANIE PINTOFF
MENTI
OSCURE
Traduzione di Giampaolo Casati
A Craig e Maddie
Denunciare un criminale è facile, ciò che è difficile è comprenderlo. Attribuito a Fëdor Dostoevskij
PERSONAGGI PRINCIPALI
SIMON ZIELE
detective del Dipartimento di polizia di Dobson
JOE HEALY
capo della polizia di Dobson
SARAH WINGATE
studentessa di matematica
MICHAEL FROMLEY
giovane psicopatico
ALISTAIR SINCLAIR
criminologo
ISABELLA SINCLAIR
sua nuora
FRED EBBINGS
HORACE WOOD
TOM BAXTER
collaboratori di Sinclair
ANGUS MACDONALD
docente di matematica
ALONZO “LONNY” MOORE
compagno di corso di Sarah Wingate
OTTO SCHMIDT
vagabondo
STELLA GIBSON
domestica di casa Wingate
MAMIE DURANT
maîtresse
1
Martedì 7 novembre 1905
Il grido che squarciò il cupo cielo giallastro di novembre fu innaturalmente acuto. Il suono si diffuse in lontananza, echeggiando tra le abitazioni in stile vittoriano fino ai boschi che si estendevano al di là degli edifici, dissolvendosi solo quando arrivò al fiume Hudson. Coloro che lo sentirono lo presero per il verso di un animale, forse il richiamo di un gufo o di una strolaga. Nessuno pensò che fosse l’urlo di un essere umano.
Io non lo udii, e posso solo basarmi sulle descrizioni degli altri.
Ma la memoria può fare strani scherzi. I racconti di quel suono inumano, ripetuti innumerevoli volte, mi si radicarono nella mente, agendo sulla mia immaginazione e creando un’impressione così vivida da sembrare autentica. So fin troppo bene che la memoria a volte si rifiuta di lasciar morire le cose che più vorremmo dimenticare, ma so anche che può creare qualcosa che non è mai esistito. È per questo che quell’urlo mi ossessiona come se l’avessi sentito con le mie orecchie. E non posso sbagliarmi sulle sue origini: so che era il grido di agonia di Sarah Wingate, il terrificante lamento che lanciò appena prima di venire brutalmente assassinata.
La notizia della sua morte arrivò quando l’enorme orologio a pendola del nostro ufficio batté le cinque. Il mio capo, Joe Healy, che non voleva mai trattenersi un minuto di più, si stava già infilando il cappotto, preparandosi ad andarsene.
— Chiudi tu quando te ne vai? — chiese Joe, avvolgendosi la sciarpa attorno al collo.
Io ero alla mia scrivania e stavo terminando di stendere un rapporto su un arresto che avevo eseguito quella mattina. Thomas Jones si era presentato al lavoro nella fabbrica di tubi di pessimo umore e con lo stomaco pieno di alcol, una combinazione pericolosa che l’aveva indotto a prendere a pugni il suo caposquadra.
— Ma certo — risposi. — È solo martedì ed è già la terza aggressione, questa settimana. — Intinsi la penna nell’inchiostro prima di firmare e mettere la data sul rapporto. — Di questo passo il giornale locale dirà che siamo in piena emergenza e riceveremo la visita delle attiviste della Lega della Temperanza. D’altra parte direi che è una fortuna che quei tipi fossero ubriachi. Le persone che vedono doppio raramente riescono a sferrare un pugno come si deve.
Fummo interrotti da un suono di passi. Qualcuno saliva di corsa la rampa di scale che conduceva al nostro ufficio, al numero 27 di Main Street. Mi irrigidii in preda a un brutto presentimento, dato che da noi non arrivava mai nessuno di fretta. Dopo tutto i crimini gravi, quelli che potevano indurre qualcuno a richiedere con urgenza l’intervento della polizia, erano piuttosto rari nella sonnolenta cittadina di Dobson, New York, all’inizio del secolo.
Charlie Muncie, il giovanotto che faceva da segretario comunale e si occupava dell’unico telefono, situato al piano di sotto, ci portò un laconico messaggio del dottor Cyrus Fields. Il medico richiedeva immediatamente il nostro intervento a casa Wingate.
— La residenza della signora Wingate a Summit Lane? — disse Joe, aggrottando la fronte.
C’era un’unica famiglia Wingate in città, ma capivo la perplessità di Joe. La residenza in questione era nella zona più ricca di Dobson, e il dottor Fields non era il medico a cui si rivolgevano abitualmente i cittadini più abbienti. Era uno dei medici che a rotazione prestavano servizio presso l’obitorio municipale e di solito si prendeva cura degli operai delle fabbriche e dei lavoratori del molo. Le classi altolocate preferivano il dottor Adam Whittier, che soddisfaceva i loro capricci con assoluta discrezione.
— Cyrus ha detto cos’è successo? — chiese Joe. Il mio capo era un uomo alto e robusto sulla sessantina, con un gran cespuglio di capelli bianchi e un viso rubicondo in genere cordiale, ma quel giorno fissava il giovanotto come se lo considerasse responsabile del fatto che la sua cena si sarebbe raffreddata.
— Dice che c’è stato un omicidio — sussurrò Charlie, come se avesse paura di pronunciare quelle parole.
All’improvviso mi resi conto del perché. La madre di Charlie prestava servizio da molti anni come governante della signora Wingate, e lui praticamente era cresciuto in quella casa. In effetti avevo incontrato l’anziana signora Wingate una sola volta, quando era venuta in paese a farsi garante per Charlie e a raccomandarlo per il lavoro di segretario.
— E chi è stato assassinato? — La voce di Joe risuonò più forte di quanto avesse voluto.
— Il dottore dice che si tratta di una giovane signora. Una parente in visita. Ma non è sceso nei dettagli. — Charlie era impallidito. Per un istante temetti che sarebbe svenuto.
— Non ti ha riferito nient’altro perché tua madre sta bene. Non preoccuparti. — Gli diedi una pacca sulla spalla e cercai di fargli un sorriso rassicurante. Charlie aveva già diciotto anni, ma in quel momento sembrava solo un ragazzino. — E non una parola a nessuno, okay? Non ancora.
Lui annuì e io afferrai il mio cappotto e la mia vecchia borsa di pelle. Poi Joe e io corremmo all’angolo tra Main Street e Broadway, dove saltammo su una delle vetture di piazza ferme al posto di sosta. La residenza della famiglia Wingate non era lontana, ma era situata in cima a una ripida collina, e noi avevamo fretta.
Una volta seduti lanciai un’occhiata a Joe, il “capo” delle nostre forze di polizia, composte di due soli uomini.
— Qual è stato l’ultimo omicidio a Dobson di cui ti sei occupato? — gli chiesi a voce bassa, per non farmi sentire dal cocchiere.
— Perché? Pensi che non sia all’altezza? — Joe si irrigidì e mi lanciò uno sguardo fulminante.
La mia assunzione, cinque mesi prima, era stata voluta dal sindaco, il quale aveva in mente di modernizzare le forze di polizia di Dobson inserendo nell’organico un giovane con idee nuove. Io avevo trent’anni ed ero un veterano del reparto investigativo del Dipartimento di polizia della città di New York, ma Joe era stato l’unico tutore dell’ordine a Dobson fin dall’istituzione del corpo di polizia locale. Dopo aver lavorato da solo per ventisette anni non vedeva di buon occhio l’arrivo di un nuovo collega, considerandomi come il rimpiazzo che l’avrebbe costretto a dimettersi. Questi suoi sospetti avvelenavano le nostre relazioni.
Passarono diversi minuti prima che rispondesse alla mia domanda. — Nell’inverno del ’93 è stato ucciso un fattore. Gli hanno sparato — disse in tono seccato. — Non siamo mai riusciti a risolvere il caso — scrollò le spalle — ma non abbiamo mai più avuto altri problemi del genere. Ho sempre pensato che il colpevole fosse qualcuno che aveva dei conti da regolare. — Mi scrutò. — So bene che a New York ti sei occupato di parecchi omicidi. Ma forse dovrei essere io a chiederti se ti senti all’altezza. Mi sembri un po’ fuori forma.
Cercai di sondare l’espressione di Joe, tentando di scoprire se ne sapesse più di quanto pensavo sul mio recente passato, ma non vidi nulla che me lo confermasse. Mi aveva fatto quella domanda solo perché era preoccupato, non intendeva colpire nessun bersaglio particolare.
Deglutii prima di rispondere ostentando una sicurezza che non possedevo. — Sto bene. — Avevo uno stomaco delicato, specialmente quando dovevo affrontare situazioni come quella a cui purtroppo andavamo incontro.
Joe non sapeva che mi ero trasferito laggiù a maggio in cerca di un’esistenza più tranquilla e di un posto che non mi ricordasse Hannah, morta l’anno prima nel tragico affondamento del piroscafo a vapore Generale Slocum.
Non ero stato l’unico ad aver subito un grave lutto, quasi ogni famiglia del Lower East Side aveva perso qualcuno quel giorno terribile, il 15 giugno 1904. Era ormai passato del tempo dalla morte di Hannah, ma il suo ricordo continuava a ossessionarmi, specialmente quando mi dovevo occupare di casi di omicidio in cui la vittima era una giovane donna. Avevo sognato di sposare Hannah e di farmi una vita con lei, ma ora non volevo vivere con un fantasma. Ecco spiegato il perché del mio trasferimento a Dobson, una cittadina a venticinque chilometri da New York: in quel posto pacifico avrei potuto elaborare il lutto e sbarazzarmi dei miei incubi.
Ma evidentemente anche a Dobson si commettevano omicidi, e l’indagine che si annunciava avrebbe messo alla prova le mie arrugginite abilità, oltre al mio stomaco.
Man mano che salivamo lungo la collina, le case si facevano sempre più imponenti e ornate. La villa della signora Wingate era una delle più pompose, circondata da un giardino particolarmente vasto. Era un magnifico edificio vittoriano in pietra con un tetto grigio e un ampio porticato. Quando mi era capitato di visitare quel quartiere ne avevo ammirato il giardino maestoso. Quel giorno, però, il luogo era molto diverso da come lo ricordavo, e attorno alla residenza regnava il caos.
Il dottor Fields doveva essere sicuramente all’interno della casa. Il figlio Henry, che studiava per succedere al padre nella professione, stava invece trattenendo alcuni agitati vicini fuori dal portico. Due piccoli terrier erano stati legati a un piolo nel bel mezzo del prato e ora protestavano con latrati assordanti. E la signora Wingate, prossima agli ottant’anni, se ne stava seduta su una sedia dall’alto schienale in mezzo a loro. Sembrava infreddolita, nonostante qualcuno le avesse portato una coperta per proteggerla dal freddo della sera. La donna continuava a ripetere una serie di domande con una vocina acuta e petulante, senza rivolgersi a nessuno in particolare. — Perché non posso entrare in casa mia? Perché nessuno mi spiega che tipo di incidente c’è stato? — Ma soprattutto si ostinava a chiedere: — Dov’è Abby?
Joe e io ci facemmo strada in mezzo a quella confusione, raggiungendo velocemente il porticato e il portone di ingresso, dove Henry ci salutò con un cenno. Nell’atrio trovammo il dottor Fields che stava preparando i suoi strumenti. Cyrus Fields era un ometto basso, di mezza età, dotato di una energia inesauribile e di uno straordinario entusiasmo per tutti i casi di cui si occupava. Di norma il suo faccione mostrava un’espressione gioviale, persino quando aveva a che fare con morti o moribondi. Quel giorno, però, sembrava a disagio. Aveva la fronte profondamente aggrottata e la folta chioma sale e pepe insolitamente scarmigliata.
— Grazie a Dio siete qui — borbottò. — In tanti anni non ho mai visto niente del genere... non riesco proprio a immaginare perché... o che razza di individuo... — Fields, abitualmente loquace, dovette interrompersi, a corto di parole.
— Va tutto bene — dissi io, calmo. — Perché non ci mostra cosa è successo?
— Ma certo. Dove sono i miei guanti? — Non si riferiva ai suoi guanti invernali, ma a quelli di cotone da ambulatorio che indossava quando doveva toccare un paziente. Erano dietro di lui, posati sulla valigetta nera che aveva lasciato sul pavimento. — Oh, sì, eccoli. Venite. Dobbiamo andare di sopra.
Incominciò a salire la scalinata che si innalzava a semicerchio dal salone d’ingresso.
— C’è qualcun altro in casa? — dissi. — Fuori abbiamo visto la signora Wingate.
— Sì, e dovrebbe esserci la sua cameriera con lei — rispose il dottore. — Sua nipote, la signorina Abigail, riposa in biblioteca. Non volevo che ci sentissero o, peggio, che toccassero qualcosa. Nessuno ha spostato niente. Lo so che volete che si faccia così anche nei... ehm... — esitò, prima di riuscire a trovare le parole adatte — nei casi meno seri.
Continuammo a salire. Le scale scricchiolavano sotto i nostri passi, nonostante lo spesso tappeto che doveva attutire il rumore. Non eravamo ancora giunti al primo piano, quando sentii un odore inconfondibile, l’odore dolciastro e disgustoso del sangue. Prima di imboccare la rampa di scale successiva provai a schiarirmi la gola, ma il lezzo della morte è qualcosa di peculiare, e una volta percepito pervade i sensi. A ogni scalino ne ero sempre più consapevole, e la mia repulsione cresceva. Lo potevo quasi assaporare, e arrivato in cima avevo l’impressione di vederlo.
Dovetti fermarmi un istante. Mi aggrappai alla ringhiera, cercando di combattere il senso di nausea che montava rischiando di travolgermi.
Il dottor Fields si diresse verso la camera da letto subito alla nostra destra, che si affacciava a sud, verso la strada.
Noi lo seguimmo esitanti.
Quando arrivò alla porta si fece da parte per farmi passare per primo.
Io feci due passi e mi bloccai. Lei era là.
Rimasi pietrificato, disgustato dallo spettacolo brutale che appariva davanti ai miei occhi. La vittima giaceva appoggiata al bordo del letto, con il corpo composto e le mani congiunte in una posa pudica. La testa era stata percossa così brutalmente che i lineamenti risultavano irriconoscibili. Sulla tappezzeria blu vicino alla testiera, mescolata al rosso del sangue, c’era una sostanza grigia: materia cerebrale. Deglutii forte, cercando di nuovo di controllare la nausea.
— Come si chiamava? — chiesi.
— Sarah Wingate. Era qui in visita da venerdì — rispose il dottore. Aveva la voce salda, ma le gocce di sudore sulla fronte e il modo in cui distoglieva gli occhi dal corpo accanto al letto tradivano la sua apparente compostezza.
— Ed era una parente della signora Wingate?
— Sì. Sua nipote.
Per re...