Nel primo mistero…
Nella gola chiusa fra i monti la sera arriva di colpo, come accade da queste parti in inverno, e il sergente tedesco, al volante della Schwimmwagen, bestemmia nella sua lingua.
«Che hai da sacramentare come un toscano?» gli chiede il giovane brigadiere della Guardia Nazionale Repubblicana che gli siede al fianco.
«Fra poco non si vede più… come si dice?… strada, ja. Non si vede più strada e non può accendere… fari, ja! Il capitano doveva fare partire prima, quando ancora c’era il giorno.»
Era arrivato in Italia che già conosceva la lingua, anche se era la lingua imparata all’università, e nei lunghi mesi passati fra quelle montagne a contatto con i soldati italiani aggregati alla sua compagnia dopo l’otto settembre del Quarantatré, l’aveva perfezionata e la parlava con sufficiente disinvoltura, tanto che quando c’era bisogno di un interprete il capitano chiamava lui.
«Il capitano avrà avuto le sue buone ragioni se ci ha fatto partire a quest’ora, non credi?»
«Certo, certo, sue buone ragioni, ja. Ha detto che di notte gli aerei non scoprono… se non accendo i fari. Poi ha detto che è difficile incontrare le bande ribelli. Di notte dormono, ja, ha detto il capitano.» Si china in avanti per vedere meglio la strada e per un poco nessuno dei due parla più.
Fa freddo ed entrambi sono infagottati nelle divise. Di sotto l’elmetto dell’italiano escono le due estremità della lunga sciarpa di lana azzurro chiaro che gli copre le orecchie, gira più volte attorno al collo e finisce annodata sul petto e questa non gli conferisce l’aspetto fiero che devono avere “i Leoni di Mussolini armati di valor”.
Glielo ha detto anche il tedesco, prima di partire per la missione. Si è messo a ridere e gli ha detto: «Più che un soldato che sta facendo la guerra, tu sembri un vecchio che ha molto freddo» ma il brigadiere non gli ha risposto.
Fa freddo e cominciano a cadere i primi fiocchi di neve. Il tedesco bestemmia di nuovo.
«Anche la neve! È ancora lontano Ortskommandatur?»
Il giovane brigadiere guarda attorno per capire dove si trovano, ma i fiocchi, che nel giro di pochi minuti sono diventati fitti, confondono i contorni delle cose. Si stringe nelle spalle e non risponde. Il mitra gli pesa sulle ginocchia.
«Molto bene! Tu sei di queste parti e non sai dove siamo… Io non sono mai venuto in questo Ortskommandatur! Non so dove. Io non faccio guida turistica!»
«Oh sta’ un po’ tranquillo che si è quasi arrivati.»
«Io sto tranquillo, io sto tranquillo e accendo i fari» e manovra sul cruscotto.
Dalle due feritoie, ritagliate nella cuffia in tela che copre entrambi i fari esce una lama di luce, ma con scarsi risultati; colpisce la neve e illumina a malapena un metro di strada oltre il muso della Schwimmwagen. I fiocchi si attaccano al parabrezza, mulinellano ed entrano dai lati aperti dell’auto.
«Maremma maiala! Un potevi monta’ le du’ fiancate prima che noi si partisse?» E il brigadiere della GNR si stringe addosso il pastrano e si sistema meglio sulle orecchie e attorno al collo la sciarpa di lana azzurra.
«Tu sei di queste parti e hai più freddo di un povero soldato tedesco.»
«Per tua norma e regola io vengo dalla Maremma e dalle mie parti non ho mai patito un freddo cane come questo! Si po’ sapere perché non hai montato le fiancate?»
«Troppo lungo da montare e lungo da togliere e così io non monto e aspetto la primavera.»
Il brigadiere si sporge dal parabrezza per vedere attraverso la neve che sta cadendo fitta. Si ritira subito, bestemmia, si pulisce dal viso la neve che lo ha imbiancato e borbotta fra sé: «In primavera io spero di essere a casa mia» e si sporge di nuovo. «Mi pare che ci siamo! Attento a sinistra, che dovresti vedere il cancello. È sempre spalancato. C’è un viale e, in fondo, il comando tedesco. Tu lo vedi ’sto cancello?»
«Come vedo con tutto… con tutta la neve?»
«Sì, c’è! Eccolo! Gira a sinistra, a sinistra!»
Il sergente tedesco non ha visto il cancello, ma si fida del compagno di viaggio e sterza di colpo; la neve ha già attecchito sulla strada formando un velo di ghiaccio, ma l’auto non sbanda e, stabile sulle quattro ruote motrici, passa di misura fra le due ante non del tutto aperte.
In fondo al viale, un alone luminoso fora il bianco muro di neve: le luci della villa sono tutte accese. Il sergente tedesco ferma l’auto ai piedi della scalinata che sale al porticato e borbotta:
«Qui c’è luce a giorno e io devo viaggiare con fari spenti!»
Il materiale accatastato alla rinfusa sotto il porticato, casse di documenti, mobili antichi, quadri imballati e chissà cos’altro, dà l’idea di uno sgombero improvviso dell’Ortskommandatur.
Fin dalla primavera il comando tedesco aveva trovato la sua sede ideale in questa splendida villa ed era sua intenzione restarvi almeno fino alla grande offensiva che, prima o poi, avrebbero di certo sferrato per ricacciare al sud gli Alleati che si erano attestati sulle cime delle montagne attorno. Ma in guerra le cose cambiano rapidamente e i propositi non sempre hanno il tempo di realizzarsi. Infatti, adesso si sgombera in fretta e si trasferiscono i documenti in una sede più protetta dalle cannonate degli Alleati, e i mobili e i quadri, da secoli patrimonio della villa e dei nobili proprietari, stanno per prendere la strada di Berlino o verso la casa di qualche importante gerarca. Nel frattempo i più alti in grado sono già partiti e all’Ortskommandatur sono rimasti il capitano e alcuni soldati che si danno da fare, dentro e fuori dalla villa, per completare il trasloco.
«Io viaggio senza fari e loro non spengono le luci» borbotta il sergente.
Un capitano della FLAK scende di corsa la scalinata e grida in tedesco.
«Che ha da berciare a ’sto modo?» chiede sottovoce il giovane della GNR.
«Dice che lui aspetta da tanto e dice di fare presto.»
Il sergente tedesco scende e il capitano gli indica le cassette da caricare e poi si gira verso l’italiano rimasto sull’auto e gli grida qualcosa nella sua lingua. Il brigadiere non capisce, ma immagina cosa gli sia stato ordinato e scende dall’auto per darsi da fare.
I due caricano le quattro cassette sul pianale posteriore, salutano il capitano che non li ha perduti di vista e ha controllato puntigliosamente il carico, si scuotono di dosso la neve e salgono sulla Schwimmwagen. Il capitano dà altri ordini al tedesco, alza il braccio in un “Heil Hitler” poco ortodosso e rientra in villa senza neppure togliersi la neve dagli stivali, tanto i preziosi tappeti non sono suoi.
«Che t’ha detto ancora?»
«Ha detto di fare attenzione per il trasporto, che sono documenti preziosi per… Come si dice in italiano?»
«Non lo so, non lo so. Come te l’ho da dire che non conosco il tedesco?»
«Forse si dice futuro, sì, documenti preziosi per il futuro della guerra e della Germania. Dice di fare presto che alla Mezzacosta aspettano. Lui ci raggiunge dopo.»
L’italiano sorride e scuote il capo: «Se sono così importanti, perché non li ha affidati a una scorta bene armata?».
«Lui dice che una sola auto e due militari sono poco visti dalle bande di partigiani, passano inosservati. Tu che dice?»
«Io dice che i documenti arriveranno a destinazione.» E visto che ormai il capitano non lo può sentire, si mette a ridere forte.
I due si ingolfano meglio che possono nei pastrani, perché la neve continua a entrare dalle fiancate aperte, e poi il tedesco mette in moto, riaccende i fari, per quel poco che servono, e la Schwimmwagen si muove veloce e senza slittare sullo strato gelato che, con il passare del tempo, va prendendo consistenza: le quattro ruote motrici ne fanno un’auto adattissima ad affrontare la montagna, il fango e i sassi delle mulattiere di queste parti.
«Il capitano dice di tenere armi pronte» e il sergente tedesco dà un’occhiata dietro, allo Schmeisser posato sulle cassette.
Anche il giovane della GNR ispeziona il suo MAB, che tiene fra le mani, e controlla il funzionamento della MG34 piazzata sul perno accanto al parabrezza e pronta a sparare.
L’ingegner Ferdinand Porsche ha fatto le cose per bene quando ha progettato la Schwimmwagen. Per esempio, ha tenuto la parte destra del parabrezza, quella che sta dinanzi al passeggero, più corta che dall’altro lato, in modo che la mitragliatrice vi passi di misura e il soldato che sta accanto al guidatore la possa utilizzare senza neppure alzarsi dal sedile. C’è poi una prolunga da piazzare su un perno che, sollevando l’arma, permette di sparare anche in alto, agli aerei.
L’auto imbocca la statale: sul tetto in tela la neve si scioglie ma sul parabrezza si deposita e le spazzole del tergicristallo si impastano e diventano dure, di ghiaccio.
Hanno finito le chiacchiere e in silenzio risalgono la valle.
Della Schwimmwagen, dei due occupanti, un sergente tedesco e un brigadiere della Guardia Nazionale Repubblicana, Repubblica Sociale Italiana, e delle quattro cassette di documenti di vitale importanza per il futuro della guerra e della Germania, non si saprà più nulla.
Il giorno dopo i pochi abitanti rimasti in paese, donne, bambini e vecchi, raccontano al capitano delle raffiche di mitraglia, dei colpi di mitra e dello scoppio di due bombe a mano che li hanno svegliati poco prima delle quattro del mattino; rumori consueti per un paese occupato a turno dai troppi eserciti in guerra. Nessuno se l’è sentita di uscire di casa.
Sul luogo della sparatoria il capitano trova i bossoli della sparatoria sepolti nella neve. Bossoli di Schmeisser tedesco e di MAB in dotazione ai giovani della RSI. Oltre la siepe, i suoi uomini trovano anche i segni dell’esplosione di due bombe a mano.
«Un’auto non sparisce! Frugate in ogni casa!» grida il capitano. Scarica in aria la P38 che ha tenuto in pugno e sventolato sotto il naso degli abitanti durante l’interrogatorio.
Mettono sottosopra le case, frugano nelle stalle, danno fuoco ai fienili… Le quattro cassette di documenti sparite sono una grande perdita per l’esercito del Führer.
Nel secondo mistero…
La prima a sentire quel grido di animale ferito è la Nuccia: da sei mesi non chiude occhio di notte e passa il tempo ad ascoltare i rumori della guerra e, quando la guerra lascia spazio, i rumori del tempo che scorre e della natura che continua a esistere. Suo marito è stato arruolato nella Todt… Arruolato per modo di dire: si sono presentati, armi alla mano, e lo hanno preso su.
«È vecchio e malato» ha cercato di spiegare lei. «Ha bisogno di cure…»
«Avrà le sue cure!» ha tirato via il sergente tedesco. «Chi lavora nell’organizzazione Todt, lavora per la grande Germania!»
È accaduto sei mesi fa e non l...