Cuore selvaggio (I Romanzi Passione)
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Cuore selvaggio (I Romanzi Passione)

  1. 304 pagine
  2. Italian
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Cuore selvaggio (I Romanzi Passione)

Informazioni su questo libro

Dato per morto in una battaglia contro i pellerossa, dopo sette anni di prigionia il capitano Reynaud St Aubyn fa ritorno in Inghilterra e reclama il titolo di conte che gli spetta. Delirante per la febbre e colmo di rabbia verso chi ha tradito il suo reggimento, non sembra affatto chi pretende di essere. Beatrice Corning, nipote dell'attuale conte, è sempre stata affascinata dal ritratto del giovane, e quando se lo trova davanti in carne e ossa riesce a vedere oltre le apparenze. Nonostante i modi rozzi e le parole taglienti di quell'uomo, cerca infatti di riportare alla luce la nobiltà d'animo che sente nel suo cuore e la passione più autentica...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852026119

1

Spadalunga aveva una spada eccezionale, poiché, oltre a essere pesante, affilata e micidiale, solo lui poteva sollevarla...
da Spadalunga
Londra
Ottobre 1765
Poche cose a questo mondo sono noiose come le riunioni politiche. Se poi si tratta di un tè, la povera gentildonna che l’ha organizzato desidererà con tutto il cuore che succeda qualcosa, qualunque cosa, in grado di ravvivare l’atmosfera.
Anche se un uomo dato per morto che entra barcollando nel salone ravviva un po’ troppo l’atmosfera, si disse più tardi Beatrice Corning.
Fino al momento del sorprendente evento, le cose erano andate com’era logico aspettarsi e questo significava trattenere uno sbadiglio dopo l’altro. Beatrice aveva scelto la sala blu, che era, senza alcuna sorpresa, decisamente blu. Un tranquillo, pacifico, monotono blu. Candide lesene ornamentali addossate alle pareti si ergevano fino al soffitto, incontrandolo con capitelli dalle fantasiose decorazioni floreali. Poltrone e tavolini erano sparsi ai quattro angoli del salone, al cui centro troneggiava un tavolo ovale ingentilito da un grande vaso di aster tardivi. Il rinfresco era composto da fette sottili di pane imburrato e piccole tortine rosa pallido. Lei aveva insistito per includervi delle tortine di ribes, tanto per dare un tocco di colore, ma zio Reggie, il conte Blanchard, era trasalito alla sola idea.
Beatrice sospirò. Zio Reggie era un anziano e adorabile gentiluomo, ma contava ogni penny che spendeva. Per questo il vino era annacquato fino a diventare rosa anemico e il tè così debole da lasciar vedere la pagoda azzurro chiaro in fondo alle tazzine. Lanciò un’occhiata dall’altra parte del salone, verso zio Reggie che discuteva con lord Hasselthorpe, le mani ai fianchi, le gambe tozze e storte un po’ divaricate. Almeno si era tenuto ben lontano dalle tortine e lei si era accertata che bevesse solo un bicchiere di vino, un accorgimento provvidenziale, visto che la parrucca era già fuori posto per l’enfasi con cui proclamava le sue idee.
Un sorriso affettuoso le piegò le labbra. Oh, santo cielo. Fece cenno a uno dei valletti di avvicinarsi, gli consegnò il vassoio e con calma attraversò il salone per sussurrare a zio Reggie di radrizzarsi discretamente la parrucca.
Aveva fatto solo pochi passi quando venne fermata da un leggero tocco al gomito, seguito da un sussurro cospiratorio. — Non guardare adesso, ma sua signoria il duca sta eseguendo la famosa imitazione di un merluzzo furibondo.
Beatrice si voltò e incontrò due ridenti occhi color sherry. Lottie Graham era uno scricciolo di ragazza alta poco più di un metro e cinquanta, grassottella, con i capelli scuri e il viso candido pieno di lentiggini, ma l’innocenza del suo aspetto faceva a pugni con la malizia della sua intelligenza vivace.
— Non è vero — mormorò lei, ma poi sbatté le ciglia quando lanciò un’occhiata verso il duca di Lister e si accorse che Lottie aveva ragione. Nessuno come il duca ricordava un grosso pesce quando si arrabbiava. — Perché il merluzzo avrebbe perso le staffe?
— Ah, non lo so e non voglio saperlo. — Lottie annuì per ribadire che era proprio quello il punto. — Non mi è mai piaciuto Lister. Non mi fido di lui e questo a prescindere dalle sue idee politiche.
— Zitta — sussurrò Beatrice. Erano da sole, ma si trovavano comunque a pochi passi da gruppi di gentiluomini che potevano sentirle. Tutti in quella sala erano dei rigidi conservatori imparruccati. Meglio nascondere la simpatia per i liberali che accumunava lei e Lottie.
— Mia cara Beatrice, non preoccuparti — disse la sua amica. — Anche se qualcuno di questi gentiluomini finemente educati dovesse sentirci, non penserà mai che nella nostra testolina possano fiorire delle idee, soprattutto idee contrarie alle loro.
— Neppure a tuo marito?
Insieme lanciarono un’occhiata a un uomo giovane e bello, molto elegante nella sua giacca chiara e la candida parrucca ondulata. Fiero e impettito, con le guance leggermente arrossate e gli occhi accesi, raccontava qualcosa a un gruppo di anziani gentiluomini che lo ascoltavano in silenzio.
— No, soprattutto non a Nate — rispose Lottie, studiandolo accigliata.
Beatrice inclinò la testa verso la sua amica. — Credevo stessi facendo progressi nel convincerlo a passare dalla nostra parte.
— Mi sbagliavo — replicò Lottie sospirando. — Qualunque cosa decida il partito, Nate l’accetta senza battere ciglio anche se non è d’accordo. Ha la fermezza di una banderuola al vento e temo proprio che, alla fine, voterà anche lui contro la proposta di sir Wheaton di garantire una pensione a tutti i soldati che tornano in patria dalla guerra.
Beatrice si morse un labbro. Lottie ne parlava con un tono persino scherzoso, ma lei percepiva la sua grande delusione. — Mi spiace.
Lottie alzò una spalla. — È strano, ma un marito che cambia idea ogni giorno mi delude più di uno che difenda strenuamente le sue opinioni, anche se fossero l’opposto delle mie. Non lo trovi un po’ contorto?
— Direi di no. Dimostra solo che hai delle passioni e delle idee molto sentite — rispose Beatrice, prendendola a braccetto. — Inoltre, fossi in te, starei attenta a disprezzare la buona sorte. Tuo marito ti ama, sai?
— Oh, certo che lo so — affermò Lottie, studiando un vassoio colmo di tortine rosa su un tavolo vicino. — Ed è questo che rende la faccenda una piccola tragedia. — Tese una mano, prese una tortina e diede un morso. — Deliziosa. Molto meglio di come sembrano.
— Lottie! — protestò Beatrice ridacchiando.
— È vero. Hanno un’aria così conservatrice, così scialba e striminzita, da farmi temere che sapessero di polvere. Invece hanno un delizioso retrogusto di rosa — commentò, prendendone un’altra. — Ti sei accorta che la parrucca di tuo zio è storta, vero?
— Sì. — Beatrice sospirò. — Stavo andando ad avvertirlo quando mi hai fermata.
— Uhm. Ti toccherà affrontare “lord merluzzo”.
Beatrice si accorse che il duca di Lister si era unito a lord Hasselthorpe e a suo zio. — Splendido. Ma devo comunque salvare la parrucca e la reputazione del povero zio Reggie.
— Vai, allora, anima eroica — declamò scherzosamente Lottie. — Io starò qui a sorvegliare le tortine.
— Codarda — mormorò Beatrice.
Con il sorriso sulle labbra, mosse verso il gruppo in cui si trovava suo zio. Lottie aveva ragione, naturalmente. I gentiluomini radunati nel salone erano le teste pensanti del partito conservatore e la maggior parte sedeva nella Camera dei Lord. C’erano anche borghesi altolocati come Nathan Graham, ma in ogni caso tutti si sarebbero sentiti oltraggiati se lei avesse espresso ad alta voce un’idea diversa dalla loro. Per questo le teneva generalmente per sé, ma la questione di un giusto vitalizio per i veterani e i feriti in guerra era troppo importante perché lei tacesse.
Sapeva per esperienza personale come riducevano un uomo anni interi di stenti e di massacri. Ci voleva molto tempo per tornare a una vita normale e poi c’era la terribile questione dei feriti e degli invalidi. Pertanto, era una semplice questione di buonsenso...
La porta del salone si aprì con tanta violenza da sbattere contro il muro. Tutti si voltarono, per poi contemplare attoniti l’uomo fermo sulla soglia. Era alto, con spalle così larghe da bloccare il passaggio. Indossava dei gambali di cuoio beige e una camicia sotto la giacca blu acceso. Lunghi capelli neri gli cadevano sulle spalle e una folta barba incolta gli copriva le guance smagrite. Da un lobo pendeva un grosso orecchino a forma di croce; dalla fascia che portava alla vita spuntava un coltellaccio senza fodero.
Aveva lo sguardo di un uomo appena scampato alla morte.
— Chi siete? — tuonò zio Reggie. — Come osate?
La voce dello sconosciuto, profonda, rugginosa, echeggiò con forza nel salone. — Où est mon père?
Guardava Beatrice come se tutti gli altri non esistessero. Lei era raggelata, ipnotizzata, confusa, strinse con una mano il tavolo ovale e studiò lo sconosciuto. Non poteva trattarsi di...
Con passo imperioso, l’uomo marciò nel salone puntando dritto verso di lei. — J’insiste sur le fait de voir mon père!
— Io non so chi sia vostro padre — balbettò Beatrice. Con lunghi passi, lui coprì la distanza che li separava. L’aveva quasi raggiunta e nessuno interveniva. Doveva fermarlo lei, ma la sorpresa era tale da cancellare all’istante il francese appreso a scuola. — Vi prego, non lo so...
Ma lo sconosciuto l’aveva raggiunta, tendendo verso di lei le mani grandi e callose. Inevitabilmente, Beatrice trasalì. Era come se il diavolo in persona fosse venuto a prenderla, materializzandosi nel salone blu della sua casa in un noioso pomeriggio di retorica politica.
Poi, l’uomo barcollò. Si aggrappò con una mano al tavolo ovale, ma l’elegante mobile non si dimostrò abbastanza solido e crollò, facendo cadere l’uomo in ginocchio e mandando ovunque l’acqua del vaso di fiori che andò rumorosamente in frantumi. Beatrice aprì la bocca per gridare, ma restò ipnotizzata da quegli occhi rabbiosi puntati su di lei. Li vide annebbiarsi, poi girarsi all’indietro. Con un gemito, lo sconosciuto crollò a terra.
Qualcuno gridò.
— Dio mio, Beatrice, stai bene? — le domandò zio Reggie, precipitandosi da lei. — Dov’è il mio maggiordomo? Dove sono i valletti?
Beatrice sentì zio Reggie alle sue spalle, ma si stava già inginocchiando accanto all’uomo svenuto. Con mano tremante gli sfiorò le labbra e sentì il calore del suo fiato. Era vivo, grazie a Dio. Prese con entrambe le mani quella testa dai capelli incolti e se la posò in grembo, studiando attentamente quei lineamenti forti.
Il respiro le restò in gola.
Era tatuato! Tre piccoli falchi stilizzati accanto all’occhio destro, che gli conferivano un’aria ancora più selvaggia e misteriosa. Quegli occhi scuri erano chiusi adesso, ma le folte sopracciglia restavano unite come se disapprovasse l’assoluta mancanza di reazioni dei gentiluomini presenti. La barba scura era lunga almeno dieci centimetri, ma la bocca restava ben visibile, stranamente elegante con quelle labbra così ferme. Il labbro superiore era ben disegnato e sensuale. Ricordava fin troppo...
— Mia cara, ti supplico, allontanati da quella... quella cosa — ordinò zio Reggie, afferrandole un braccio per invitarla a rialzarsi. — I valletti non possono cacciarlo da casa nostra se tu continui a stringerlo!
— Nessuno può cacciarlo, zio — replicò lei, continuando a studiare quel volto scaturito dal passato.
— Ma... ragazza mia, cosa stai dicendo?
Beatrice alzò lo sguardo. Zio Reggie era così caro, anche con il volto rosso di rabbia e impazienza. Questo sarebbe stato un duro colpo per lui, poteva significare la rovina... per suo zio e anche per lei. — Lui è il visconte Hope.
Zio Reggie sbatté le palpebre. — Come?
— Quest’uomo è il visconte Hope.
Entrambi si voltarono verso il ritratto appeso accanto alla porta. Ritraeva un uomo giovane e bello, l’erede legittimo al titolo di conte. L’uomo la cui scomparsa aveva permesso a zio Reggie di diventare il conte Blanchard.
Occhi scuri dalle folte ciglia li studiavano serenamente dal ritratto.
Beatrice tornò a guardare lo sconosciuto. Impossibile esprimersi sul viso, la corporatura, l’abbigliamento. Ma c’era quella bocca e lei ricordava bene gli occhi.
Erano identici a quelli del ritratto.
Una morsa d’angoscia e meraviglia le strinse il cuore.
Reynaud St Aubyn, visconte Hope, il vero conte Blanchard, era vivo.
Richard Maddock, lord Hasselthorpe, studiò con una smorfia di disprezzo i valletti che alzavano di peso quel pezzente e lo portavano fuori dal salone. Come aveva fatto a introdursi in casa superando la guardia del maggiordomo e dei domestici era un mistero che andava chiarito quanto prima. Santo cielo, in quel salone c’era l’élite del partito conservatore! Il conte doveva curare meglio la sicurezza dei suoi ospiti.
— Dannato idiota — sibilò il duca di Lister alle sue spalle, dando voce ai suoi pensieri. — Se la casa non era sicura, Blanchard doveva assumere degli uomini in più.
Hasselthorpe grugnì e bevve un sorso dell’abominevole vino annacquato. I valletti avevano quasi raggiunto la porta, sbuffando visibilmente per lo sforzo. Chi diavolo poteva essere quel gigante impazzito? Blanchard e la nipote parevano turbati e seguivano i valletti parlottando tra loro. Poi, il conte ebbe l’ardire di lanciargli un’occhiata dispiaciuta e lui non poté fare a meno di alzare le sopracciglia in chiara disapprovazione. Il titolo del conte era più importante del suo a livello nobiliare, ma Hasselthorpe aveva un’influenza politica maggiore. Stava però attento a non farla pesare troppo, perché Blanchard e il duca di Lister erano i suoi migliori alleati in Parlamento e contava su di loro per bruciare i tempi e occupare l’anno successivo la poltrona di Primo Ministro.
Se tutto fosse andato secondo i piani, naturalmente.
La piccola processione uscì e Hasselthorpe tornò a studiare gli invitati. I gentiluomini più vicini al punto in cui il pazzo era svenuto parlottavano eccitati, confermando così che stava succedendo qualcosa d’importante. L’aria sembrava elettrica per le chiacchiere che passavano di gruppo in gruppo; lui notò che chiunque s’informasse impallidiva, per poi guardare gli altri a bocca aperta e chiedere ulteriori spiegazioni.
Uno dei più informati sembrava essere il giovane Graham. Ambizioso al punto giusto, dotato dei mezzi necessari per dedicarsi alla politica, era entrato in Parlamento grazie al titolo della moglie. Lui lo teneva sotto stretta sorveglianza, poiché rappresentava una risorsa, ma sarebbe potuto anche diventare un pericoloso concorrente.
Graham lasciò gli altri e mosse con deferenza verso l’angolo da cui Hasselthorpe e il duca di Lister seguivano silenziosamente la scena. — Sembra che sia davvero il visconte Hope! — riferì eccitato.
Hasselthorpe sbatté le palpebre, incapace di credere alle proprie orecchie. — Cosa?
— Quel pazzo — spiegò Graham, indicando la porta. — Sembra che si tratti del visconte Hope.
Entrambi i gentiluomini lo guardarono stupefatti.
— Impossibile — grugnì Lister. — Hope è morto...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Cuore selvaggio
  4. Prologo
  5. Capitolo 1
  6. Capitolo 2
  7. Capitolo 3
  8. Capitolo 4
  9. Capitolo 5
  10. Capitolo 6
  11. Capitolo 7
  12. Capitolo 8
  13. Capitolo 9
  14. Capitolo 10
  15. Capitolo 11
  16. Capitolo 12
  17. Capitolo 13
  18. Capitolo 14
  19. Capitolo 15
  20. Capitolo 16
  21. Capitolo 17
  22. Capitolo 18
  23. Capitolo 19
  24. Capitolo 20
  25. Epilogo
  26. Ringraziamenti
  27. Copyright