
- 658 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Settembre
Informazioni su questo libro
Da maggio a settembre. Una breve estate tra le colline scozzesi. Il tempo di organizzare un ballo, di riunire famiglie e amici in una grande festa. Ma dietro l'allegria ciascuno nasconde pene e segreti. Un amore in pericolo e un amore che fatica a sbocciare, un'amicizia incrinata e un incubo che non si dissolve. Sul più romantico degli sfondi Rosamunde Pilcher intreccia una storia che ha l'incanto dei sogni e il vigore della vita.
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Informazioni
Print ISBN
9788804400714eBook ISBN
9788852035807Settembre
21
Isobel Balmerino, seduta alla sua macchina da cucire, fissò l’ultima etichetta con il nome, hamish blair, sull’ultimo fazzoletto nuovo, spezzò il filo, ripiegò il fazzoletto e lo mise sopra la pila di capi di vestiario posata accanto a lei sulla tavola. Finito. Rimanevano solo i capi dove l’etichetta doveva essere cucita a mano... i calzettoni da rugby, un soprabito, un pullover grigio da polo, ma questo poteva essere fatto con calma, la sera, seduta vicino al caminetto.
Non aveva più dovuto fare quel lavoro di cucire etichette da quando Hamish era andato per la prima volta a Templehall quattro anni prima, ma nel frattempo il ragazzo era cresciuto, specialmente durante queste ultime vacanze estive, in maniera così allarmante, che era stata costretta a metterlo in automobile e portarlo a Relkirk con la lista della scuola alla mano, per rifare il suo guardaroba scolastico. La spedizione, come lei prevedeva, era stata penosa e costosa. Penosa perché Hamish non voleva pensare al ritorno a scuola, detestava andare a fare acquisti, odiava gli abiti nuovi e per di più si risentiva terribilmente di essere defraudato anche di una sola delle giornate di libertà che gli rimanevano. E dispendiosa, perché le uniformi di regolamento si potevano comperare soltanto nel più aggiornato e più costoso negozio della città. Il soprabito, il pullover con il collo a polo e i calzettoni da rugby erano già stati un bel guaio, ma cinque paia di nuove, enormi scarpe di cuoio erano quasi più di quanto Isobel e il suo bilancio potessero sopportare.
Con l’idea di rabbonire un po’ Hamish, gli aveva comperato un gelato, ma lui lo aveva divorato con aria cupa, senza gioia ed erano tornati a Croy in un pesante silenzio, reciprocamente ostile. Una volta a casa, Hamish se n’era immediatamente andato via, con la sua lenza per le trote e l’espressione di chi si è sentito duramente maltrattato. Isobel aveva dovuto portarsi di sopra da sola i pacchi e le scatole, che aveva gettato sul fondo del suo armadio, aveva chiuso con fermezza la porta, poi si era diretta in cucina a scaldare l’acqua per una tazza di tè e a cominciare i preparativi per la cena.
L’esperienza orribile di dover spendere un’enorme quantità di denaro che non avrebbe potuto permettersi di spendere l’aveva lasciata con una sensazione di disagio e l’evidente ingratitudine di Hamish non era certo stata di aiuto. Mentre pelava le patate, diede un silenzioso addio a ogni sogno di comperarsi un abito nuovo per il ballo degli Steynton. Il suo vecchio vestito di taffetà blu avrebbe dovuto bastare. Consentendosi per un attimo di sentirsi martire e infelice, si trastullò con l’idea di rinfrescarlo un po’ con un tocco di bianco intorno al collo.
Ma questo era avvenuto due settimane prima e ora settembre era arrivato. Questo migliorava ogni cosa, e per molte ragioni. La più importante era che, fino al prossimo maggio, aveva finito di preoccuparsi degli ospiti paganti. La società degli Scottish Country Tours aveva chiuso i battenti per l’inverno e l’ultimo gruppo di americani, completo di bagagli, souvenir e berretti di tartan era ripartito. La stanchezza e la depressione che avevano oppresso Isobel per tutta l’estate si erano dissolte quasi istantaneamente nella sensazione di libertà e nel sapere che, una volta di più, lei e Archie avevano di nuovo Croy tutto per loro.
Ma non era tutto. Nata e cresciuta in Scozia, ogni anno lei provava quella singolare sensazione di sollievo, di umore più allegro quando il mese d’agosto scivolava via, cancellato dal calendario e si poteva finalmente smettere di fingere che fosse estate. C’erano anni, è vero, in cui le stagioni arrivavano come ai vecchi tempi, quando i prati si rinsecchivano per la mancanza di pioggia e le belle sere dorate si trascorrevano bagnando le rose e i piselli odorosi e innaffiando le tenere lattughine nell’orto. Ma anche troppo spesso i mesi di giugno, luglio e agosto non erano altro che un lungo e umido test di resistenza contro la frustrazione e la delusione. Cieli grigi, venti freddi e il continuo sgocciolare della pioggia erano più che sufficienti per smorzare gli entusiasmi di un santo. Le giornate peggiori erano quelle buie e di caldo umido, quando si rientrava in casa esasperati e si accendeva il fuoco, dopodiché il cielo prontamente si schiariva e nel tardo pomeriggio il sole scintillava sui giardini fradici di pioggia, troppo tardi per essere di beneficio a chiunque.
Questa estate, in particolare, era stata molto deludente e, con il senno di poi, Isobel si rese conto che le settimane di nuvole scure e intere giornate senza sole avevano molto contribuito al suo malumore e anche alla stanchezza fisica. Il primo accenno di freddo era, in un certo senso, benvenuto e ora lei poteva riporre con notevole soddisfazione camicette e gonne di cotone e tornare ancora una volta agli amichevoli tweed e ai maglioni di shetland.
Ma anche dopo le estati più splendide, il settembre nel Relkirkshire era qualcosa di speciale. Quelle prime rinfrescate leggere ripulivano l’aria, così che i colori della campagna assumevano tonalità più forti, più ricche. L’azzurro fondo del cielo si rifletteva nel lago e nel fiume, e con il raccolto ormai al sicuro, i campi erano dorati dalle stoppie. Le campanule crescevano nei fossati e l’erica profumata, giunta a completa fioritura, macchiava le colline di rosso violaceo.
E poi, cosa più importante, settembre voleva dire allegria, divertimento. Una stagione colma di incontri, di riunioni sociali, prima che l’oscurità di un lungo inverno si chiudesse su di loro, quando il cattivo tempo e le strade ghiacciate isolavano intere comunità e precludevano ogni forma di contatto. Settembre significava gente. Amici. Perché questo era il momento in cui il Relkirkshire diventava veramente se stesso.
Con la fine di luglio, l’annuale invasione dei villeggianti era in gran parte finita. Si smontavano le tende, le roulotte se ne andavano riportando a casa i turisti. In luogo di questi, agosto portava l’avanguardia di una seconda migrazione dal Sud, ospiti regolari che ogni anno venivano in Scozia per lo sport e per incontrare gli amici. Casini di caccia che erano stati desolatamente abbandonati per la maggior parte dell’anno, si riaprivano e i loro proprietari arrivavano al Nord lungo l’autostrada in Range Rover stracariche di canne da pesca, fucili, bambini piccoli, adolescenti, amici, parenti e cani, per riprenderne felicemente possesso.
E anche le case si riempivano, non più di americani o altri ospiti paganti, ma di giovani famiglie originarie del luogo, che per necessità erano emigrate verso sud, verso Londra, per vivere e lavorare e che tuttavia riservavano le vacanze estive per ritornare a casa, proprio in questa stagione. Tutte le camere da letto erano occupate, i sottotetti venivano temporaneamente trasformati in alloggi per schiere di nipoti e nipotini e le scarse stanze da bagno lavoravano a pieno ritmo. Si cuoceva e si mangiava una enorme quantità di cibo e ogni giorno i tavoli da pranzo venivano allungati con l’aggiunta di assi.
E poi settembre. In settembre, d’un tratto, tutto prendeva vita, come se qualche celestiale direttore di scena avesse cominciato il conto alla rovescia e girato la chiavetta. Lo Station Hotel di Relkirk veniva trasformato dalla sua consueta tetraggine vittoriana in un luogo allegro e vivace, affollato punto d’incontro di vecchi amici; lo Strathcroy Arms, rilevato da un gruppo di uomini d’affari che pagavano ad Archie rassicuranti somme di denaro per avere il privilegio di andare a caccia nella sua brughiera, brulicava di gente, di attività e di chiacchiere sportive.
A Croy gli inviti si accumulavano sulla mensola del caminetto nella biblioteca e riguardavano ogni specie di occasioni conviviali. Il contributo di Isobel alla generale atmosfera della festa era un annuale party prima dell’inizio dei Giochi di Strathcroy. Archie era il capitano della manifestazione e apriva la parata dei notabili del paese, i quali, con molto tatto, rallentavano il passo del corteo per adeguarlo alla sua andatura. Per questa importante cerimonia, egli indossava il gonnellino del suo reggimento e portava una spada sguainata. Prendeva le responsabilità del suo ruolo in modo molto solenne e, alla fine della giornata, distribuiva i premi, non soltanto per le musiche e le danze locali, ma anche per il maglione di lana filata a mano eseguito ai ferri dalle mani più esperte, per lo sponge cake più leggero e per il miglior vasetto di marmellata di fragole fatto in casa.
Isobel teneva la macchina per cucire nella vecchia stanza della biancheria di Croy, soprattutto per ragioni di praticità, ma anche perché era uno dei suoi rifugi preferiti, il più privato. La stanza non era molto grande, ma abbastanza spaziosa, con le finestre che davano sul lato ovest della casa, e guardavano sul prato del croquet e sulla strada che portava al lago e, nelle belle giornate, era sempre piena di sole. Le tende erano di cotone bianco, il pavimento di linoleum marrone e lungo le pareti si allineavano vecchi armadi dipinti di bianco in cui si ammassava tutta la biancheria di casa. La solida tavola su cui stava la macchina per cucire era utilissima anche per tagliare e imbastire vestiti e l’asse e il ferro da stiro erano a portata di mano. Inoltre c’era un piacevole odore di nursery, di biancheria stirata e di lavanda che, chiusa in sacchettini, Isobel riponeva fra i vari strati di federe e di lenzuola, e questo contribuiva non poco a creare nella stanza un’atmosfera tutta speciale di serenità fuori dal tempo.
E questa fu una delle ragioni per cui, finito di cucire le etichette, non aveva avuto fretta di muoversi, ma era rimasta seduta con i gomiti sul tavolo e il mento fra le mani. La vista, oltre la finestra aperta, arrivava sopra gli alberi fino alla sommità delle prime colline. Tutto era soffuso della luce dorata del sole. Le tende si muovevano leggere nella brezza e quello stesso respiro pareva ondeggiare nei rami delle betulle argentee all’estremità del prato.
Una foglia cadde, svolazzando nell’aria come un minuscolo aquilone.
Erano le tre e mezzo e lei era sola in casa. Intorno tutto era silenzio, ma dalla fattoria poco lontana poteva udire il suono ritmico di un martello e l’abbaiare di uno dei cani. Una volta tanto nella sua esistenza così impegnata, aveva tempo per se stessa, senza che ci fosse qualcosa da fare o qualcuno che avesse urgente bisogno di lei. Faticava a ricordare quando si era trovata l’ultima volta in una simile situazione e i suoi pensieri tornarono all’infanzia, alla giovinezza, alle gioie pigre e senza scopo di giornate vuote.
Udì lo scricchiolio di un pavimento. Da qualche parte sbatté una porta. Croy. Una vecchia casa con un battito del cuore tutto suo. Casa sua. Ma ricordava ancora molto bene il giorno, oltre vent’anni prima, quando Archie l’aveva portata qui per la prima volta. Lei aveva diciannove anni, era stata organizzata una partita di tennis e poi un tè, servito nella sala da pranzo. Isobel, figlia di un avvocato, né bella né molto sicura, si era sentita sopraffatta dalle dimensioni e dalla grandeur della casa come pure dalla raffinata bellezza degli altri amici di Archie, che sembravano conoscersi tutti così bene fra loro. Già disperatamente innamorata di Archie, non riusciva a immaginare perché mai lui l’avesse inclusa in quell’invito generale. Lady Balmerino appariva altrettanto perplessa, ma era stata gentile, assicurandosi di averla accanto, seduta al tavolo del tè e preoccupandosi che non rimanesse esclusa dalla conversazione.
Ma c’era un’altra ragazza, bionda, dalle gambe molto lunghe, che pareva già in grado di reclamare Archie per sé, e non mancava di fare intendere chiaramente a tutta la compagnia, scherzando con lui e cogliendo il suo sguardo da sopra la tavola, che loro due dividevano un milione di piccoli segreti. Archie, pareva dire a tutti, apparteneva a lei e nessun altro avrebbe mai potuto prenderne possesso.
Ma, alla fine della giornata, Archie aveva deciso che avrebbe sposato Isobel. I suoi genitori, una volta superato il primo sbalordimento, erano apparsi sinceramente felici e avevano accolto Isobel nella famiglia non come la moglie di Archie, ma come una figlia. Era fortunata. Garbati, divertenti, ospitali, niente affatto mondani e assolutamente affascinanti, i Balmerino erano adorati da tutti e Isobel non aveva fatto eccezione.
Dalla fattoria sentiva ora il rumore di uno dei trattori che si metteva in moto. Un’altra foglia svolazzò fino a terra e Isobel d’un tratto pensò che quello avrebbe potuto essere un pomeriggio di tanto tempo prima, come se il tempo...
Indice dei contenuti
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