Cuore di cane
eBook - ePub

Cuore di cane

  1. 168 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Un lungo racconto satirico dello scrittore russo Bulgakov (1891-1940), ambientato nella Russia sovietica degli anni Venti, incentrato sulle bizzarre vicende di Pallino, un cane di strada che un aberrante esperimento ha trasformato in uomo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804492641
eBook ISBN
9788852032660

Cuore di cane

Cuore di cane (Sobač’e serde): destinato all’almanacco «Nedra», fu pubblicato postumo nel 1968 all’estero; invece in patria apparve per la prima volta nella rivista «Znamja», n. 6, 1987.

Cuore di cane

(Una mostruosa storia)

I
U-u-u-u-u-uhu-hu-huuu! Oh, guardatemi, sto per morire! La tempesta nel portone mi ulula il de profundis e io mugolo con lei. Sono finito, finito! Una canaglia col berretto bisunto, il cuoco della mensa per l’alimentazione normale degli impiegati del Soviet Centrale dell’Economia Nazionale, mi ha versato addosso dell’acqua bollente e mi ha scottato il fianco sinistro. Che bestia, e pensare che è un proletario! Oh, Signore, mio Dio che male! L’acqua bollente mi ha corroso l’osso e adesso mugolo, mugolo, mugolo, ma serve forse a qualcosa?
Che gli facevo di male? Mica mando in rovina il Soviet dell’Economia Nazionale se rovisto tra i rifiuti! Brutto taccagno! Provate un po’ a guardare che grugno ha: è più largo che lungo! Un ladro dalla faccia di bronzo! Ah, che gente, che gente! A mezzogiorno mi ha fatto assaggiare un bella pentola di acqua bollente, e ora si è fatto buio, dovrebbero essere le quattro del pomeriggio a giudicare dall’odore di cipolla che proviene dalla caserma dei pompieri sulla Prečistenka. I pompieri hanno kaša per cena, come si sa. Ma questa è proprio l’ultima possibilità, come i funghi del resto. Certi cani miei conoscenti della Prečistenka mi hanno detto, d’altra parte, che in via Neglinnaja, al ristorante “Bar”, danno come piatto del giorno funghi in salsa piccante per tre rubli e settantacinque copeche la porzione. Van bene per chi li apprezza, per me sarebbe lo stesso che leccare una caloscia... U-u-u-hu...
Il fianco mi fa un male insopportabile, e so già benissimo come andrà a finire: domani mi coprirò di piaghe e come farò a curarle, mi domando... D’estate si può fare una scappata a Sokol’niki, là c’è un’erba speciale, ottima, e poi, ci si può abbuffare gratis di fondi di salame, i nostri concittadini disseminano in giro tante di quelle cartacce unte che non si finisce più di leccare. E se non fosse per un tale pedante che si mette a cantare al chiaro di luna Celeste Aida, tanto che il cuore ti si blocca in gola, si starebbe magnificamente. Ma adesso dove potrei andare? Vi hanno mai preso a calci? Certo. E a mattoni nelle costole? Ho provato di tutto, mi sono rassegnato al mio destino e se piango è solo per il dolore fisico e per la fame, perché il mio spirito non si arrende... Lo spirito canino è l’ultimo a morire.
Ma il mio povero corpo martoriato e malconcio l’hanno oltraggiato abbastanza. E quel che conta è che quando lui mi ha gettato addosso l’acqua bollente, è penetrata fin sotto il pelo, e il fianco sinistro è rimasto senza nessuna difesa. Potrei buscarmi facilmente una bella polmonite, e se me la prendo, cittadini, creperò di fame. Quando si ha la polmonite bisogna starsene a cuccia nell’ingresso sotto la scala, ma se me ne sto lì sdraiato io, che sono un cane scapolo, chi correrà in giro da una pattumiera all’altra in cerca di cibo per me? Mi prenderò un colpo d’aria, m’indebolirò, e mi metterò a strisciare sulla pancia e un tizio qualunque mi darà una bastonata che mi sarà letale. E dei portinai con il distintivo sul petto mi afferreranno per le zampe e mi getteranno sul carro della spazzatura...
Fra tutti i proletari i portinai sono la schifezza più immonda. La più meschina delle categorie: rifiuti umani. Di cuochi invece ne capitano di tutti i tipi. Per esempio, il povero Vlas della Prečistenka. Quante vite ha salvato! Perché l’essenziale quando si è ammalati è trovare un boccone da mandar giù. Così, raccontano i vecchi cani, che era capace di lanciarti un osso con qualche mezz’etto di carne attaccato. Riposi in pace, perché era una vera personalità, il cuoco dei signori conti Tolstoj, e non di un qualunque Soviet per l’Alimentazione Normale! Quel che ti combinano in quell’alimentazione normale, è addirittura inconcepibile per una mente canina! Eppure, quelle carogne preparano lo šči con la carne salata avariata e loro, i poveracci, non ne sanno nulla! Accorrono, s’ingozzano, lappano!
Una dattilografa di nono livello guadagna quarantacinque rubli e cinquanta al mese, seppure è vero che il suo amante le regala le calze di filo di seta. Ma quante umiliazioni deve patire per quel filo di seta! Perché già, lui non lo fa in modo normale, ma le impone l’amore alla francese. Davvero dei porci questi francesi, rimanga fra noi. Anche se mangiano abbondantemente e sempre col vino rosso. Sì... La povera dattilografa arriva trafelata, con quaranticinque rubli e cinquanta al mese non puoi certo permetterti di andare al “Bar”! Non le bastano nemmeno per il cinema, e il cinema per le donne è l’unica consolazione nella vita. Rabbrividisce, fa le smorfie, ma si abboffa. E pensare che per quaranta copeche ti servono due portate, che insieme, non ne valgono neppure quindici perché l’amministratore s’è intascato le altre venticinque. E lei ha forse bisogno di un vitto simile? Ha qualcosa che non va all’apice del polmone destro, e una malattia femminile, le trattengono anche lo stipendio, e alla mensa le danno da mangiare della carne avariata... Eccola, eccola... Si precipita dentro il portone con addosso le calze dell’amante. Ha le gambe gelate, sente freddo alla pancia, perché di pelo ne ha quanto il mio, e le mutandine che porta non la riscaldano, sono un velo di trina. Un cencio per l’amante. Ma provi a mettersele di flanella, lui strillerebbe:
“Come sei sciatta! Mi sono stancato della mia Matrëna, ho sopportato anche troppo le mutande di flanella, ora è arrivato il mio momento. Ormai sono direttore e tutto quello che riesco a rubare voglio spenderlo in donne, code di gambero e in vini di ‘Abrau-Djurso’! Ho patito anche troppo la fame in gioventù, ma ora basta, la vita è una sola...”
Provo una gran pena per lei, una gran pena. Però provo ancor più pena per me stesso. Non è per egoismo che lo dico, oh no, ma perché le nostre condizioni non sono davvero paritarie. Lei almeno una casa per riscaldarsi ce l’ha, ma io, io... dove posso andare? Adesso che mi hanno percosso, scottato, sputato addosso, dove mai posso andare? U-u-u-hu-hu!...
«Ehi, Pallino, Pallino! Perché guaisci così, poveretto? Chi ti ha fatto del male, eh?...»
La rigida tormenta, la strega malefica, fece sbattere il portone e sibilando sfrecciò come una scopa sull’orecchio della signorina. Le sollevò la gonnella fino ai ginocchi, scoprendole le calze color crema e un lembo della sottoveste di pizzo mal lavata, le soffocò le parole in gola e travolse il cane.
«Dio mio!... Che tempo!... Oh... E mi fa male anche la pancia. È quella carne, quella carne salata! Ma quando finirà tutto questo?»
A capo chino la signorina si lanciò all’attacco, si riversò fuori dal portone, ma nella via la tormenta l’investì, prese a farla girare tutt’intorno, l’avvolse in un turbine di neve, ed ella svanì.
Il cane rimase invece nell’androne, dolorando per il fianco piagato, si strinse alla gelida parete massiccia, ansimando, fermamente deciso a non muoversi più di lì, anche a costo di creparvi. L’assalì la disperazione. Aveva il cuore così colmo di amarezza e di dolore, e si sentiva così solo e sgomento, che piccole lacrime canine gli sgorgavano dagli occhi, come bollicine, asciugandosi all’istante. Il fianco malconcio sporgeva, coperto di grumi assiderati, e qua e là facevano capolino le sinistre macchie purpuree della bruciatura. “Come sanno essere dissennati, ottusi e crudeli i cuochi! ‘Pallino’ l’aveva chiamato! Che diavolo!... Pallino lui? Pallino significava essere tondi, ben nutriti, sciocchi, ingozzarsi di polenta d’avena, esseri rampolli di ottima famiglia, e lui invece era irsuto, uno spilungone, un randagio rinsecchito e malandato. Del resto, grazie tante per le buone parole.”
La porta del negozio illuminato a giorno che si affacciava sulla via sbatté e sulla soglia comparve un cittadino. Proprio un cittadino, non un compagno, anzi assai probabilmente un signore. Da vicino fu subito chiaro: si trattava di un vero signore. Pensate che io giudichi dal cappotto? Sarebbe una sciocchezza. Oggi anche molti proletari lo portano. È vero che i baveri non sono gli stessi, nulla da eccepire, però da lontano è facile confondersi. Ma lo sguardo no, quello non si può confondere, né da vicino né da lontano! Oh, lo sguardo, sì, che è significativo! Come il barometro. S’indovina tutto: chi ha un gran deserto nell’anima, chi senza una ragione è capace di ficcarti uno stivale fra le costole e chi invece ha paura di tutto. Ed è a quest’ultimo, al più vile dei lacchè, che talvolta fa davvero piacere azzannare una caviglia! «Toh, prendi, se hai paura! Se hai paura, te lo meriti... Grrrr... Hauf-hauf!»
Il signore attraversò deciso la via nel turbine della tormenta e si diresse verso l’androne. Già, con questo qui ormai era tutto chiaro. Uno così non era tipo da mangiare carne avariata, e che solo provassero a servirgliene, avrebbe sollevato un tale vespaio, avrebbe scritto a tutti i giornali: “E l’hanno servita proprio a me, Filipp Filippovič!”.
Eccolo che viene sempre più vicino. Questo qui mangia a sazietà e non ruba. Non ti prende a calci, e anche lui non ha paura di nessuno, e non ha paura perché è sempre sazio. È uno che fa un lavoro intellettuale, un signore con la barbetta a punta e i baffi brizzolati, folti e arditi come quelli dei cavalieri francesi, ma l’odore che la tormenta diffonde di lui è orribile, sa di sigaro e di ospedale.
E allora, ci si chiede, perché diavolo sarà finito alla Cooperativa dell’Economia centrale? Eccolo, è qui accanto... Che cosa vuole? U-u-u-uh... Che sarà andato a comprare in quel fetido emporio? Non gli basta l’Ochotnyj Rjad? Questa poi! Sa-la-me. Signore, se solo sapeste con che cosa lo fanno quel salame, vi terreste alla larga dal negozio. Datelo a me, invece!
Il cane raccolse le poche forze che gli restavano e, come obnubilato, strisciò dal portone fin sul marciapiede. La tempesta sibilò come una raffica di fucilate sopra la sua testa, e scompigliò le lettere cubitali di uno striscione pubblicitario che diceva: «È possibile ringiovanire?».
“Certo, è possibile. Quell’odore mi ha ringiovanito, mi ha fatto balzare in piedi, con le sue ondate ardenti mi ha stretto lo stomaco ormai vuoto da due giorni, l’odore paradisiaco che ha vinto quello d’ospedale, l’odore di carne di cavalla macinata con aglio e pepe. Lo so, lo sento: nella tasca destra della sua pelliccia ha del salame. È sopra di me! Oh, mio signore! Concedimi un tuo sguardo. Sto per morire. Che anima servile la nostra e che infame destino!”
Il cane strisciò sulla pancia come un serpente, inzuppandosi di lacrime. “Bel capolavoro ha realizzato il cuoco, guardate. Già, tanto non me lo darete mai il salame. Li conosco fin troppo bene i ricchi! Però in fondo che ve ne fate del salame? A che vi serve questa carne di cavalla rancida? Solo al Mossel’prom potreste trovare del veleno simile. Ma voi oggi avete fatto colazione, un luminare come voi di fama mondiale, grazie alle ghiandole sessuali maschili... U-u-u-hu-hu... Come va mai il mondo! A ogni modo si vede che è ancora presto per crepare, e disperarsi, abbattersi, sarebbe un vero peccato. Dovrò leccargli le mani, non mi resta altro da fare.”
Il misterioso signore si chinò sul cane, facendo sfavillare gli occhiali cerchiati d’oro, e tolse dalla tasca destra un involto bianco e oblungo. Senza sfilarsi i guanti marrone, scartò l’involto, che subito fu spazzato via dalla tormenta, e staccò un pezzo di salame “speciale di Cracovia”. E tutto quel ben di Dio lo diede al cane! Oh, uomo generoso! U-u-u-uh!
«Fuit-fuit!» fischiò il signore e aggiunse con la massima severità: «Prendi, Pallino, prendi!».
Daccapo con questo “Pallino”! Sono stato battezzato! Ma sì, chiamatemi un po’ come volete. Dato il vostro gesto così eccezionale...
Il cane in un lampo strappò la pelle del salame, attaccò con un singulto il “Cracovia” e lo divorò in un sol boccone. Il salame e la neve gli andarono di traverso perché, vorace com’era, per poco aveva quasi trangugiato lo spago. “Vi do ancora u...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Cuore di cane
  3. Michail Bulgakov
  4. Cuore di cane
  5. Postfazione - di Giovanna Spendel
  6. Copyright