Il Fuoco
  1. 541 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Notizia sul testo e Note di commento a cura di Niva Lorenzini. Cronologia della vita di Gabriele d'Annunzio a cura di Annamaria Andreoli. Nell'ebook si ripropone il testo di Il Fuoco raccolto nelle Prose di romanzi, edizione diretta da Ezio Raimondi, vol. II, a cura di Niva Lorenzini, "I Meridiani", Mondadori, Milano 1988. Gli apparati informativi riproducono quelli pubblicati nell'edizione dei "Meridiani"; la Cronologia riproduce quella pubblicata nel primo tomo delle Prose di ricerca (a cura di Annamaria Andreoli e Giorgio Zanetti, "I Meridiani", Mondadori, Milano 2005). Primo romanzo di una mai realizzata trilogia del Melagrano, Il Fuoco fu pubblicato con grande successo nel 1900. Il mito del Superuomo trova qui la sua più compiuta espressione: Stelio Effrena, il Superuomo-artista, cosciente dei suoi diritti di individuo eccezionale, si vede riconosciuto come tale anche dagli uomini comuni, a lui subordinati per procurargli piacere e permettergli di creare un'opera d'arte superiore. A questo tema dell'ardore creativo e della potenza distruttrice si intrecciano poi i motivi voluttuosi e malinconici di Venezia e della Foscarina, personaggio che adombra la Duse, in un contrasto che accentua il fascino di un'opera che Henry James acutamente definì "splendida accumulazione di materiali".

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804312048
eBook ISBN
9788852035036

NOTIZIA SUL TESTO E NOTE DI COMMENTO

a cura di Niva Lorenzini

1 NOTIZIA SUL TESTO

Se ad Angelo Conti, il doctor mysticus caro a d’Annunzio, il Fuoco appariva un «poema religioso» dominato dall’«essenza misteriosa ed eterna» della natura, se tutta l’impalcatura ideologica del romanzo veniva posta a tacere in nome della forza dell’immagine, dell’intensità della cosa «veduta e sentita», ciò non impediva al critico di avvertire la disarmonia dei temi e delle intenzioni, di denunciare un’arte che si fa «maestrìa» rinunciando alla propria vitale istintività.
A distanza di soli quattro anni da quella recensione comparsa sull’«Illustrazione Italiana» del 25 marzo 1900, un altro illustre recensore, Henry James, confessava sulle pagine della «Quarterly Review» (aprile 1904) il proprio sconcerto di fronte a un testo caratterizzato da una «splendida accumulazione di materiale», in cui tutto pare rispondere a un «grande cerimoniale poetico, patetico e psicologico», inutile e finto, a un quadro in cui trionfa una «visione artistica assoluta». Un puro esercizio di stile, in fondo, che non dà origine a nulla, ma cattura e affascina.
L’enigma rappresentato dal romanzo, che i recensori qui prescelti si incaricano di interpretare, attirerà a sé, nel tempo, generazioni diverse di critici, cui cederemo più tardi la parola. Si tratta per ora di penetrare nelle strutture dell’opera, nella sua «concordia discors», iniziando dalla storia compositiva ed editoriale, davvero esemplare. Essa è affidata a lettere ad amici (il Conti, il Nencioni tra gli altri), agli editori Treves, al traduttore francese Hérelle, ad abbozzi di scrittura conservati negli Archivi del Vittoriale assieme ad appunti filologici e bibliografici, alle note affidate ai taccuini.
Si può cominciare da una lettera a Hérelle del 27 ottobre 1894, che citiamo nell’originale stesura italiana conservata nella Biblioteca di Troyes: «Per la vostra curiosità, La sublime aventure è il titolo del romanzo veneziano – che ho già chiaro e vivo nello spirito». Occupato in quel periodo all’elaborazione delle Trois princesses (le future Vergini delle rocce) d’Annunzio è affascinato dal soggiorno veneziano di settembre, che gli aveva consentito di incontrare Eleonora Duse, Hérelle, il Conti e gli intellettuali stranieri che risiedevano abitualmente nella città lagunare, secondo quanto informa, tra gli altri, il Damerini di Gabriele d’Annunzio e Venezia.
Si possono ipotizzare conversazioni focalizzate sul tema del teatro e della scrittura drammaturgica, e insieme attente agli aspetti di una Venezia «città di vita» contro l’interpretazione di certa cultura d’oltr’alpe diversamente orientata (Barrès tra i primi): l’Allegoria dell’Autunno rappresenterà, di quell’esperienza, l’esito lirico.
Per tornare, intanto, ai titoli, terreno di prova per l’inesausta fantasia dell’Imaginifico, il romanzo veneziano è già divenuto, nella successiva lettera all’Hérelle del 5 novembre, La Grâce («Il romanzo di Venezia sarà intitolato La Grâce. Questo nuovo titolo – assai migliore dell’altro – è scaturito da una più profonda meditazione dell’opera futura» e la notizia è confermata dalla lettera a Emilio Treves pubblicata dal Guabello senza data, ma anteriore al maggio ’95: «[…] io andrò a Venezia […] per rimanervi alcuni mesi – poiché il mio nuovo romanzo la Grazia è di ambiente veneziano»). Parrebbe decisione definitiva, a dar credito alla notizia pubblicata l’11 maggio 1895 dal «Journal» parigino in forma di intervista poi smentita da d’Annunzio (lettera a Hérelle del 21 maggio 1895: «L’articolo del Rod mi ha seccato […] perché è fondato su una interview che io non ho mai avuta con nessuno, inventata dunque da cima a fondo […]»). In realtà, sospeso tra incerti itinerari creativi (l’Allegoria dell’Autunno, il rifacimento di Canto novo, la Città morta, La Grazia, una nuova novella non meglio identificata) e viaggi reali (in Grecia, e poi su e giù per l’Italia, tra Francavilla, Firenze, Milano, il lago di Garda), lo scrittore trascorreva mesi frenetici, di cui è traccia in una successiva lettera all’Hérelle databile fine novembre ’95 (20 novembre è il termine post quem): «Vi confesso che – dopo il mio ritorno di Milano – ho lavorato pochissimo, quasi niente. Ho avuto quel periodo di ozio inquieto e di malinconia, che in me precede costantemente la creazione d’arte. Io sono “come colei che sta per partorire”… Ed ora mi trovo con una quantità enorme di lavoro su le braccia. Ho trovato il soggetto per la novella, ma sono ancora esitante. Mi sembra che io debba perdere qualche parte della forza accumulata per la Grazia. L’incertezza sul progetto da portare avanti, tra i tanti che si affollano alla mente, trova eco nella successiva lettera del 18 gennaio 1896: «Tornerò a Francavilla gravido più che mai: “onustior”, e con una gran voglia di lavorare. Vi chiedo consiglio. Ho la materia per una lunga novella, che si svolgerebbe a Firenze e a Pisa. Inoltre ho pronto tutto il materiale e lo schema esatto della Grazia. Inoltre, ho già sceneggiato La Città morta ed ho tutto il dramma nella mia mente […] Che mi consigliate? Debbo scrivere la novella per la Revue de Paris? O debbo mettermi subito alla Grazia? O infine debbo affrettare il compimento della Città morta? […]».
Non è certo sufficiente l’accenno a Firenze e Pisa, che pure entreranno a più riprese nel percorso ideativo del Fuoco (di Pisa si parlerà nelle pagine dell’Impero del silenzio, in ricordo forse dell’antico soggiorno consegnato alla lettera del 16 gennaio: «Sono da alcuni giorni a Pisa, che è tutta argentea e primaverile. Passo lunghe ore al sole, sul prato del Duomo, sotto le mura merlate o contro una porta di bronzo mentre i simboli parlano con la mia anima silenziosa […]») per consentire la dissipazione dei dubbi. E del resto, prima e più che dell’argomento, d’Annunzio pare interessarsi, da esperto conoscitore dei gusti del pubblico, della possibile ricezione del suo futuro romanzo: «Penso che – specialmente dopo l’ultima battaglia combattutasi intorno al mio nome – sia per me utilissimo il lanciare un libro che colpisca il gran pubblico e possa avere una larga diffusione. In queste settimane – lavorando con lentezza alla Città morta – ho anche gettata la trama di questo nuovo romanzo; e il soggetto mi sembra felicemente ardito. È un dramma di passione, che si svolge a Venezia, a Firenze e a Roma. Si compone, nel tempo medesimo, di osservazione diretta e di poesia. Immaginate le migliori qualità dei miei tre romanzi della Rosa fuse in questo, ma con un’arte più sobria e più acuta» (lettera a Hérelle del 21 marzo 1896).
Si sa bene, dopo la lettera prefativa al Trionfo della morte e l’intervista rilasciata all’Ojetti, che cosa si deve intendere per «osservazione diretta» e per «poesia». Se la prima consisterà nel rendere non semplicemente la vita, ma la vita organica, in «equilibrio definito tra ciò che è variabile e ciò che è stabile», tra segno e simbolo, la seconda dovrà incarnarsi in uno stile rappresentativo dell’Idea, farsi scrittura «plastica e sinfonica, ricca d’immagini e di musiche». Un wagnerismo incline alle suggestioni neoplatoniche e schopenhaueriane di un’Arte che trasfigura «le persone e le cose reintegrate nella pienezza del loro essere». Così, per influenza soprattutto contiana (il Giorgione è fonte diretta, nel 1894, per le riflessioni sullo Stile e l’Idea, ma anche significativamente per gli accenni al Parsifal, al dramma greco, alla pittura di «fuoco» del colorista veneto) il primo nucleo ideativo del romanzo va prendendo consistenza. Al punto che il titolo stesso definitivo è annunciato nel maggio 1896 su «La Revue de Paris» e ripreso in una lettera a Emilio Treves del 13 maggio: «Mio caro Emilio, sono da alcuni giorni nell’eremo, ed ho riacceso il Fuoco. Omai non mi muoverò più se non quando avrò scritta l’ultima parola. Le Feu è già stato annunziato nella “Revue de Paris”. E il manoscritto sarà pronto in agosto, come ti dissi […] La Città Morta sarà pel Novembre prossimo, la Grazia pel gennaio o febbraio 1897, l’Annunciazione – che scriverò di seguito, come un solo romanzo, per la primavera». Le previsioni di vendita, successive alla firma del contratto, sono trionfalistiche: «Il Fuoco giungerà nelle prime settimane alla decima edizione» (lettera all’editore del 23 maggio). Scompare curiosamente, dalle missive immediatamente successive, l’accenno al romanzo veneziano, mentre l’accento è posto sulla trama di romanzo «di passione» ambientato in luoghi diversi: concordano su questa versione, che riprende quella della lettera a Hérelle del 21 marzo, una lettera al Nencioni del 7 giugno da Francavilla a Mare («[…] Scrivo ora un romanzo per la Revue de Paris: Il Fuoco. Imagina un libro di passione, tutto penetrato da quell’igneo spirito che arde in qualche pagina della mia Allegoria dell’Autunno. La scena è a Venezia, a Firenze, a Pisa, a Roma. Darò poi l’ultima mano alla Città morta. Mi metterò, subito dopo, alla Grazia e all’Annunciazione. Spero di poter finire questo terribile lavoro per la primavera ventura, tutto quanto») e un’intervista pubblicata sull’«Illustrazione italiana» il 24 maggio col titolo «Una conversazione con Gabriele D’Annunzio». Si tratta, nel secondo caso, dello stralcio di un lungo colloquio raccontato da Ernest Tissot sulla «Revue Bleue» (e leggibile integralmente nel volume Les sept Plaies et les sept Beautés de l’Italie contemporaine, Paris, Perrin, 1900, presente nella Biblioteca del Vittoriale) da cui si apprende: «Etes-vous de ceux qui désirent la suite des Vierges aux Rocbers? Il va falloir vous armer de patience; La Grâce sera pour le XXe siècle. En attendant, M. d’Annunzio termine un roman de passion contemporaine, le Feu, dans lequel il cherchera à décrire un des plus étranges et des plus subtils conflits d’âmes qui se puissent imaginer. Ce sont de belles heures en perspective. Réjouissons-nous-en. Ces tranches de vie dont la donnée sera plus audacieuse que tout ce qu’il écrivit jusqu’ici auront pour toiles de fond Florence, Pise et Rome». In primo piano la figura di una protagonista, a sconvolgere, seppure solo apparentemente, le precedenti consuetudini: «Cette fois, M. d’Annunzio tentera enfin une étude de femme […] Or, cette femme qu’il fera, j’imagine, passionnée et maladive, sera actrice et artiste naturellement. Des reporters ont prétendu que la Duse devait servir de modèle; il ne faut pas les croire; et pourtant, après tout ce qu’a raconté la chronique mondaine, en douter sera un enfantillage […] Il est vrai, on peut l’ajouter, que le modèle semble digne du peintre […] Et, pour peu que le livre du poète soit le miroir de cette âme tourmentée et inoubliable, on ne s’avance guère en prédisant que le Feu sera le chef-d’oeuvre de M. d’Annunzio» (pp. 71-72 dell’edizione citata).
Ma Venezia ricompare presto, in una scrittura epistolare che è già sostanza metapoetica: basta scorrere la lettera a Hérelle del 17 giugno, inviata dal Grand Hotel della città lagunare, per rinvenire momenti di contemplazione pura («[…] Venezia in questo mese è straordinariamente bella. Tutti gli orti sono in fiore. Ier l’altro, festa di S. Antonio, pel Canal grande, presso Rialto passavano grandi barche cariche di gigli e di ciliegie: i rossi frutti e i candidi fiori! Ho trovato “motivi” meravigliosi […] Vado a fare una visita nell’isola tragica della follia: a San Clemente, di là dalla Giudecca. Vi mando i petali d’un fior di melograno. Ieri, in un orto, gli alberi ne brillavano; e v’erano da per tutto papaveri fiammanti. Da per tutto Il Fuoco»). E parallelamente si infittiscono le annotazioni sul taccuino (ben cinque taccuini veneziani, variamente utilizzati nelle pagine del romanzo per la conferenza del Palazzo dei Dogi sullo sfondo della Gloria di Tintoretto, per la descrizione di Venezia e per l’episodio relativo all’Arianna di Benedetto Marcello, sono ispirati al soggiorno iniziato l’11 giugno). La febbre di Ve...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Nota all’edizione
  4. IL FUOCO
  5. I. L’epifania del fuoco
  6. II. L’impero del silenzio
  7. Tavola delle sigle e delle abbreviazioni
  8. Notizia sul testo e note di commento
  9. Cronologia
  10. I Romanzi di Gabriele d’Annunzio Piano dell’opera
  11. Copyright