SOTTO IL CIELO DI BUENOS AIRES
eBook - ePub

SOTTO IL CIELO DI BUENOS AIRES

  1. 252 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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SOTTO IL CIELO DI BUENOS AIRES

Informazioni su questo libro

1952. Addio, Italia.
Un lungo viaggio su una grande nave dovrebbe essere un'avventura magica, un sogno ad occhi aperti per chiunque¿ Invece per Ines significa abbandonare tutto - la scuola, l'amore, l'adorata cavalla Lucerna - e partire con un grande punto interrogativo nella testa e un peso sul cuore. Destinazione: Argentina.
A Buenos Aires non mancano colori e odori nuovi, idee e amicizie da scoprire, ma ben presto Ines incontra sulla sua strada una dittatura sanguinaria, e impara una parola che la segnerà nel profondo: desaparecidos. Si può davvero sparire per sempre? La ricerca della verità fa il giro del mondo e arriva ai nostri giorni, toccando le vite di Angela Maria, Ines, Estela, Luna, Pablo, tutti parte di un grande segreto da svelare e di un unico destino da ricostruire.
Un romanzo che affronta con forza, intensità e speranza una delle pagine più crudeli della Storia.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804622086
eBook ISBN
9788852035623

ABRUZZO, 1952

Ines

— Mamma! È arrivata la lettera di Marina! Ci ha già risposto dall’Arg…
— Ines! Ma come ti permetti di entrare in questo modo nella mia stanza? Sei una selvaggia!
Solo allora la bambina vide la padrona. Ines portò istintivamente la mano sulla bocca, gli occhi spalancati dalla sorpresa. Ma ormai era fatta.
— E pensare che tu hai insistito tanto per farla andare a scuola… non è vero, Angela Maria? — disse donna Letizia alla madre di Ines, che le stava prendendo le misure di un vestito. — E questi sono i risultati. Ma io lo dico sempre a mio marito: cosa vuoi tirare fuori da una rapa senza un briciolo di grazia… A te — concluse la padrona voltandosi verso Ines — è già tanto se ti facciamo fare la serva!
Un sorriso timido, residuo dell’entrata trionfale di poco prima, restava ancora appeso sulla faccia di Ines, ma ormai era vuoto, come le parole impresse su una cartolina arrivata da un luogo che è stato cancellato.
Invece donna Letizia lo fraintese. I denti scoperti della bambina le sembravano un affronto imperdonabile.
— Ridi, eh?! Lo sai anche tu che dovresti stare qui e imparare a servire con garbo… — Il sorriso maligno animò il viso di una bellezza arida, prosciugata dalla perfidia: — A che ti serve la scuola, poi? Leggere e scrivere è inutile per fare la serva…
La madre di Ines, ancora chinata sul pavimento per accorciare l’orlo dell’ennesimo vestito nuovo della contessina, si alzò e andò verso la figlia: — Torna in camera, Ines, ma prima chiedi scusa alla signora. Ha ragione donna Letizia, non si entra nella sua stanza come hai fatto tu.
Angela Maria dava le spalle alla padrona e questa non si accorse che la madre accompagnava il rimprovero con una strizzatina d’occhio, in segno di complicità con Ines. Allora la ragazzina riacquistò il sorriso, quello vero, ma lo nascose dentro per non farlo vedere a donna Letizia. Aveva compreso il vero messaggio celato nelle parole della madre: “Sono con te, appena mi libero di lei vengo a sentire quello che scrive Marina. Non dare importanza a ciò che dice. Tanto, fra poco non la vedremo più!”
— Scusi, donna Letizia, sono stata maleducata. Spero vorrà perdonarmi — disse Ines a testa bassa.
L’altra non la guardò neppure. Accompagnò la risposta stizzita con un gesto eloquente della mano: — Ma sì sì, vattene adesso, altrimenti distrai tua madre… Continuiamo, Angela Maria, l’abito deve essere accorciato per domani sera, ho invitato don Cosimo e donna Matilde a cena. — Poi si guardò allo specchio, sospirò compiaciuta e disse: — Che meraviglia questo vestito! Secondo mio marito dovrei farmeli fare da te gli abiti. Che scemenza! Ci sono delle boutique favolose a Pescara e io dovrei farmi cucire i vestiti da una serva? Che idee! Sono finiti quei tempi, cara mia. Tu non cucirai più per nessuno qui dentro, neanche per don Aldo: ci penso io a comprargli vestiti degni della sua posizione. Tu stai bene in cucina. Al limite, puoi sistemarli, quando occorre.
Ines aveva ascoltato tutto, sentiva lo stomaco torcersi e farle male per come quella stupida faccia di pappagallo bollito offendeva la madre. Uscendo dalla stanza sperò che nella lettera che aveva in mano la cugina Marina avesse scritto davvero buone notizie per loro: sarebbero finalmente partiti?
Fino a un mese prima non la pensava così.
Quando la madre le aveva detto di scrivere alla zia Giovanna, chiedendole di fare “la chiamata”, Ines sapeva che dentro quella richiesta c’era la parola “per sempre”. Le avevano spiegato che si poteva emigrare per il Paese lontano se c’era qualcuno che, dall’altra parte dell’oceano, facesse la tanto sospirata chiamata: insomma, che garantisse la sistemazione e una promessa di lavoro per i nuovi arrivati. Tante cose così definitive significavano andare via per sempre. Allora, Ines aveva detto no. Angela Maria non sapeva leggere né scrivere. Il marito, Antonio, neppure. Solo Ines avrebbe potuto scrivere la lettera. Dall’altra parte del mondo, avrebbe potuto leggerla solo la cugina Marina, non certamente Carlos, il fratellino di Marina, nato da un anno “in terra straniera”, come diceva papà. Giovanna, la sorella di Angela Maria, e il marito Renato erano analfabeti. Anche loro.
Ines, però, non voleva partire. Aveva paura di perdere tutto e tutti: Alberto, Lucerna, la scuola!… Aveva dovuto aspettare tanto per andarci perché nel paesino di poche anime dove viveva, la scuola ancora non c’era. La stavano costruendo, ma chissà quando sarebbe stata pronta. I suoi genitori non si potevano permettere di accompagnarla fino a Sulmona tutti i giorni.
Poi, un giorno di aprile, finalmente l’annuncio! Il sindaco disse che il Comune aveva quasi ultimato i lavori. La nuova scuola avrebbe cominciato da settembre ad accogliere i bambini del paese! Ines era già grande, ma per fortuna non era la sola a cominciare così tardi. La misero in seconda elementare insieme a tanti bambini che come lei non avevano potuto frequentare un’altra scuola. Anche Alberto, il figlio del notaio, fu messo in classe con Ines. Lui aveva otto anni. I suoi genitori non avevano voluto mandarlo a Sulmona. Lo seguiva in casa una vecchia istitutrice, la stessa che aveva istruito la madre, ma di progressi Alberto non ne aveva fatti molti e sapeva a malapena leggere e scrivere. Così, capitò insieme a Ines.
Qualche settimana prima, la ragazzina aveva scritto alla cugina in Argentina.
Cara Marina,
penserai che è incredibile, ma è tutto vero: mi sono fidanzata! Sì, proprio io, “la ranocchia”… Non è cambiato niente, mi prendono ancora in giro perché sono sempre troppo magra e ho le gambe troppo lunghe e ciondolo da una parte all’altra quando cammino. Eppure… Alberto mi ha chiesto di diventare la sua fidanzata! Ti ricordi di lui? È il figlio di Salvatore Cassano, il notaio. È sempre bello! Ha un anno meno di me, ma che importa? Siamo capitati in classe insieme. Quest’anno mi fissava sempre e se i nostri sguardi si incontravano… diventava tutto rosso! Io lo avevo capito che gli piacevo. Ma stavo al posto mio. Però lui un giorno mi ha dato un bigliettino. C’era scritto se volevo diventare la sua fidanzata.
Io sono rimasta secca fulminata! Sììììì! Però non gliel’ho scritto che accettavo, mi piaceva dirglielo in faccia. E così ho fatto. Tu pensi che io e Alberto ci potremo sposare? Anche se io sono povera e lui è ricco? Aspetto con ansia un’altra tua lettera.
Ines
Era davvero dura decidere se partire o restare.
Ines era combattuta perché c’erano Alberto e i sorrisi timidi che si scambiavano. Quando si mettevano in fila per uscire da scuola, a due a due, Alberto le si affiancava e le prendeva la mano. Erano i più alti della classe e gli toccava l’ultimo posto in fondo, ma loro erano contenti, così nessuno poteva vedere quelle due mani stringersi piano. A Ines, ogni volta, il cuore si affacciava in gola e lì restava per un po’, poi iniziava a martellare in silenzio. Lei teneva la mano immobile, ferma nella stessa posizione, anche quando lui lasciava la presa e la salutava con un sorriso. Continuava a sentirsi la mano di marmo. No, no, non voleva partire e lasciare Alberto. E poi c’era quell’antipatica di Adele che gliel’avrebbe portato via: non aspettava altro, quella.
Ines continuò a rifiutarsi di scrivere per chiedere la chiamata, fino a che un giorno la madre era stata spietata: — Vuoi ritrovarti a fare la serva a donna Letizia per sempre? Lei ha trentacinque anni, e tu hai tutta la vita davanti per servirla. Questo sarà il tuo destino se non partiamo. Sappilo, Ines. Alberto è il figlio del notaio, ma se resti qui non potrai più vederlo alla fine della scuola elementare. Credi che la madre permetterà che si veda con una serva? È così che ci chiamano, Ines. Servi. Davvero vuoi continuare la scuola, figlia mia? Allora devi andare via. In Argentina potrai continuare gli studi. Te lo prometto. Se resti qui, scordati di andare a scuola, la padrona vuole che cominci a lavorare in casa.
Per quanto fosse orrenda, era la verità. Ines non aveva mai visto uno sguardo così deciso e disperato negli occhi di sua madre. Se era disposta a rinunciare a tutto, alla sua terra e alla sua vita, forse era proprio la cosa giusta da fare. E ora Ines lo aveva capito. Si decise e scrisse il destino di un’intera famiglia in due paginette di quaderno. Aveva dodici anni.

Lucerna

Cara Marina,
oggi ho cavalcato di nuovo Lucerna e sono andata fino alla collina dei cinghiali! Non c’era in giro donna Letizia perché papà l’aveva accompagnata con la macchina a Pescara. Lucerna è ancora più bella di quando c’eri tu, è cresciuta ed è meno ribelle, sai? Quando papà è sicuro che donna Letizia è lontana, me la fa cavalcare. Ti ricordi quando papà ci insegnava a salire a cavallo? Adesso sono diventata brava! Se come mi hai scritto tu, l’Argentina è la patria dei cavalli, allora cavalcheremo insieme! Marina, mentre aspettiamo che ci fate la chiamata per partire, scrivimi e raccontami dell’Argentina.
Sono curiosa, come ti trovi? Hai imparato bene lo spagnolo? È difficile farsi degli amici? E il fidanzato lo tieni? Io veramente non sono tanto contenta di partire, penso sempre ad Alberto, forse non lo rivedrò più, anche se la mamma dice che magari un giorno mi raggiungerà. Ma io non ci credo molto che i genitori lo lasceranno partire. Hanno già deciso che dovrà fare il notaio al paese. E poi mi dispiace lasciare Lucerna. Non è solo un cavallo. Lucerna e io ci guardiamo negli occhi e ci capiamo. Certe volte io le parlo e lei mi ascolta, lo vedo dai suoi occhi. Ti dirò una cosa che tu forse puoi capire: Lucerna mi vuole bene per davvero. E anche io gliene voglio.
Ines

Donna Letizia e don Aldo

Don Aldo un anno prima aveva sposato in seconde nozze la contessina Letizia di Lauro. La nuova padrona era dell’Aquila, veniva da una famiglia nobile che era caduta in disgrazia dopo che il nonno aveva dilapidato il patrimonio al gioco.
La nuova arrivata aveva voluto essere chiamata “donna Letizia”. Fino ad allora il “don” era stato riservato solo agli uomini. Poi venne «la padrona con la faccia di pappagallo bollito», come diceva Ines, e decise che le stava bene “donna Letizia”. Quel prefisso era come un sigillo di garanzia al suo dominio che si estendeva non solo alla terra, ma anche ai “miei servi”, come chiamava le persone al suo servizio.
La seconda moglie di don Aldo non aveva rispetto per nessuno. Tantomeno per la signora Anita, la vecchia padrona, morta per una caduta da cavallo. Lucerna, la cavalla di Anita, era una purosangue nera come la terra umida, una cavalla di razza, bellissima e fiera. Anita adorava i cavalli e Lucerna in particolare. Come tutti i fuoriclasse, Lucerna era ribelle e capricciosa: voleva dettare lei i tempi della cavalcata. Anita era testarda quanto la sua cavalla. Si era messa in testa che Lucerna andasse domata, definitivamente. Un giorno l’animale si ribellò in modo più violento e la padrona cadde malamente.
Da allora, il figlio di don Aldo e Anita, Carmine, non volle più vedere la cavalla perché gli ricordava la morte della madre. Cercò di venderla, ma quando era vicino alla conclusione della transazione, intervenne donna Letizia.
— Lucerna non esce da questa proprietà, Carmine. Sono io la padrona adesso… e chi ha sbagliato non è certo Lucerna!
Quel che addolorò davvero Carmine, però, fu il fatto che il padre diede ragione a donna Letizia.
Una settimana dopo, Carmine e sua moglie Celestina se ne andarono. Donna Letizia era raggiante.
Il latifondo di don Aldo contava venti ettari di terra, in parte adibita a terreno agricolo, in parte a pascolo, soprattutto per le greggi di pecore. In quella terra ruvida e aspra, ma generosa, dell’Abruzzo, crescevano alberi di ulivi, patate, fagioli, grano e pomodori dalla polpa succosa. I contadini venivano pagati tenendo per sé una parte del raccolto. I braccianti stagionali, invece, avevano un compenso giornaliero. In quella immensa proprietà era Carmine che faceva andare avanti le cose, anche se don Aldo restava il padrone.
Quando Carmine se ne andò dal paese, cercò di non rompere definitivamente i rapporti con il padre: dentro di sé celava la segreta speranza che, presto o tardi, lui avrebbe visto Letizia per ciò che era. Aspettava quel momento. Ma intanto voleva stare lontano dalla matrigna.
Disse al padre che avrebbe continuato a curare da lontano la proprietà, prendendo in carico le decisioni più importanti, ma aveva bisogno di una persona affidabile che coordinasse sul posto le attività e le persone. Consigliò Antonio Di Giovanni, il padre di Ines. — È calmo ed equilibrato, e onesto. Prenderà ordini da me e da te. Inoltre, è nato qui, conosce la famiglia Sorrentino e tutti quelli che lavorano per te, si è sempre dimostrato fedele. Io mi fido di Antonio, papà. Da piccoli giocavamo insieme, lo conosco bene.
L’offerta del padrone fu una grande notizia. La vita sarebbe stata meno dura e avrebbero posto una sola condizione a don Aldo: di far continuare a Ines la scuola.
Ma quando lo seppe, donna Letizia iniziò a urlare. — Ma ti rendi conto della pazzia che faresti? — Don Aldo era rimasto muto. Con la giovane moglie diventava un altro. — Antonio è un debole, proprio come tuo figlio. Chi vuoi che rispetti uno che non sa camminare come Dio comanda? Hai dimenticato che io sono una contessa? Mai e poi mai lascerò che uno zoppo diventi il biglietto da visita del nostro impero economico! — Aveva letto la frase su una delle tante riviste “moderne e di moda” cui dedicava più tempo che al marito stesso. Finita la sfuriata diventò improvvisamente dolce, tirò fuori la voce persuasiva delle grandi occasioni e propose suo fratello Michele al posto di Antonio.
— Michele è un conte — disse donna Letizia con orgoglio. — Finora non ha mai lavorato perché non poteva accettare di abbassarsi a delle misere offerte. Ma se gli chiedo di farlo per me e per te, acconsentirà. Che ne dici, Aldo caro?
Come al solito, Aldo caro obbedì alla giovane moglie e questa non perse occasione per rinfacciarlo ad Antonio e ad Angela Maria: — Volevate fare carriera, vero? Ma vi è andata male, quell’ingenuo di mio marito vi crede fedeli. Figurarsi, come tutti i servi siete insolenti e falsi.
Fu in quei giorni che maturò definitivamente in Angela Maria la decisione di raggiungere la sorella in Argentina. Finora non aveva voluto prendere in considerazione quella scelta. Lei e Antonio amavano profondamente la loro terra ruvida, ma feconda. Però a quel punto Angela Maria non vedeva più futuro dentro quella vita.

Antonio e don Gaetano

— Papà, tu credi che la zia Giovanna farà veramente la chiamata?
Era passato un mese da quando tutti e tre insieme avevano ascoltato Ines che leggeva la lettera dove la zia Giovanna e lo zio Renato si erano detti disponibili ad accoglierli in Argentina, ma avevano chiesto tempo.
— Perché me lo domandi? Sono felici anche loro del nostro arrivo. Certo, prima devo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. SOTTO IL CIELO DI BUENOS AIRES
  3. Abruzzo, 1952
  4. Buenos Aires, 1978
  5. Buenos Aires, 1992
  6. Madrid, ai giorni nostri
  7. Postfazione
  8. Ringraziamenti
  9. Copyright