
eBook - ePub
Camminare
- 64 pagine
- Italian
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- Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro
Un saggio breve e folgorante, profetico, in cui il maestro del pensiero americano dell'Ottocento mette in guardia dai pericoli della civiltà industriale. Un libro che individua nella natura selvaggia la vera patria dell'uomo e nel vagabondare per boschi la salvezza spirituale. Un inno alla libertà dell'uomo che vede nel camminare un moto di elevazione spirituale, un itinerario interiore verso la purezza infinita e divina.
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Informazioni
Camminare
La traduzione di Walking di Henry David Thoreau qui proposta è di Maria Antonietta Prina, pubblicata da SE Studio Editoriale S.r.l., Milano, nel 1989.
Vorrei spendere una parola in favore della Natura, dell’assoluta libertà e dello stato selvaggio, contrapposti a una libertà e a una cultura puramente civili; vorrei considerare l’uomo come abitatore della Natura, come sua parte integrante, e non come membro della società. Desidero fare un’affermazione estrema, e per questo sarò enfatico: la civiltà ha già fin troppi paladini; il pastore, il comitato scolastico, e ciascuno di voi potrà assumersi questo compito.
Nel corso della mia vita ho incontrato non più di una o due persone che comprendessero l’arte del Camminare, ossia di fare passeggiate, che avessero il genio, per così dire, del vagabondare, termine splendidamente tratto da “genti oziose che nel Medioevo percorrevano il paese chiedendo l’elemosina con il pretesto di recarsi à la Sainte Terre”, in Terra Santa, sin quando i bambini cominciarono a gridare: «Ecco là un Sainte-Terrer», un Vagabondo, un Terra Santa. Coloro che non giungono mai in Terra Santa, nei loro vagabondaggi, come invece pretendono, sono degli autentici oziosi e dei perdigiorno; ma coloro che vi giungono sono Vagabondi come io intendo, nel senso buono. E però altri fanno derivare la parola da sans terre, “senza terra” o “senza casa”, e questo, nel senso buono, può significare “sentirsi a casa propria ovunque, pur non avendo casa in nessun luogo”. Ed è questo il segreto dell’autentico vagabondare. Chi se ne sta tutto il tempo seduto in casa può essere il più grande giramondo; ma il vagabondo, nel senso buono, non è più giramondo di un fiume, con le sue anse, alla strenua ricerca della via più breve per giungere al mare. Tuttavia io preferisco la prima derivazione, che è in realtà anche la più probabile. Perché ogni vagabondaggio è una sorta di crociata, predicata dal san Pietro l’Eremita che è in noi, per indurci a uscire e riconquistare la Terra Santa dalle mani degli infedeli.
È vero, siamo dei crociati miserabili, e lo sono anche quei camminatori che, ai nostri giorni, non affrontano imprese tenaci e di lunga durata. Le nostre spedizioni non sono altro che gite, e ci ritroviamo, la sera, accanto al vecchio focolare da cui siamo partiti. Per metà del cammino non facciamo che ritornare sui nostri passi. Dovremmo avanzare, anche sul percorso più breve, con imperituro spirito di avventura, come se non dovessimo mai far ritorno, preparati a rimandare, come reliquie, i nostri cuori imbalsamati nei nostri desolati regni. Se sei pronto a lasciare il padre e la madre, e il fratello e la sorella, e la moglie e il figlio e gli amici, e a non rivederli mai più; se hai pagato i tuoi debiti, e fatto testamento, se hai sistemato i tuoi affari, e se sei un uomo libero, allora sei pronto a metterti in cammino.
Per venire alla mia esperienza personale, il mio compagno e io, giacché talvolta ho un compagno, amiamo immaginarci cavalieri di un nuovo, o meglio, di un ordine antico, non l’Ordine equestre o dei Cavalieri, non quello dei Cavalleggeri o dei Cavallerizzi, ma dei Camminatori, un ordine, io ritengo, ancora più antico e onorato. Lo spirito eroico e cavalleresco che apparteneva un tempo al Cavaliere sembra ora rivivere, o forse aver sedimentato, nel Camminatore; non il Cavaliere, ma il Camminatore Errante. Egli rappresenta una sorta di quarto stato, al di fuori della Chiesa, della Nazione e del Popolo.
Ci siamo accorti di essere forse gli unici nei dintorni a praticare questa nobile arte; sebbene, a dire il vero, volendo dar credito alle affermazioni dei miei concittadini, la maggior parte di costoro farebbe volentieri, se lo potesse, una passeggiata di tanto in tanto, come faccio io. Non vi è ricchezza che possa pagare l’agio necessario, la libertà e l’indipendenza che sono il capitale di quest’arte. Esso si ottiene solo per grazia divina. È necessaria, per farsi camminatori, un’espressa dispensa del Cielo. Occorre essere nati nella famiglia dei Camminatori. Ambulator nascitur, non fit. Alcuni miei concittadini, è pur vero, rammentano, e persino mi hanno descritto, alcune passeggiate da loro intraprese una decina di anni or sono, durante le quali ebbero la ventura di perdersi nei boschi per una mezz’ora; ma so per certo che da allora non hanno più abbandonato la strada maestra, nonostante la loro pretesa di appartenere a questo pugno di eletti. Senza dubbio, per un istante, si sono elevati nel ricordo di questa antica fase della loro esistenza, ancora nomade e silvestre.
Giungendo nel verde bosco,
un ridente mattino,
egli udì l’armonia
dell’allegro canto degli uccelli.
È da molto tempo, disse Robin,
che non vengo qui;
vorrei cacciare un poco
i bruni cervi.
(da A lyttel Geste of Robin Hoode)
Penso che non riuscirei a mantenermi in buona salute, sia nel corpo che nello spirito, se non trascorressi almeno quattro ore al giorno – e generalmente sono di più – vagabondando per i boschi, per le colline e per i campi, totalmente libero da ogni preoccupazione terrena. Potete tranquillamente chiedermi «un penny per i tuoi pensieri», o mille sterline. Quando poi penso che artigiani e mercanti se ne stanno nelle loro botteghe non solo l’intera mattina, ma anche tutto il pomeriggio, magari seduti con le gambe accavallate, come fanno in molti – quasi che le gambe fossero fatte per sedervisi sopra e non per mettersi eretti o camminare –, mi sembra che meritino una certa considerazione per non essersi suicidati già da tempo.
Io, che non riesco a rimanere nella mia stanza neppure un giorno senza ricoprirmi di ruggine, quando mi accade di poter predisporre la mia passeggiata soltanto alle undici, o alle quattro del pomeriggio, troppo tardi per riscattare quel giorno, nell’ora in cui le ombre notturne iniziano a fondersi con la luce del giorno, sento di aver commesso un peccato che devo espiare, e confesso che mi stupisce sempre la grande capacità di resistenza, l’insensibilità morale, per meglio dire, dei miei vicini, tutto il giorno reclusi, per settimane, per mesi e per anni, in botteghe e in uffici, come se ne facessero parte. Non so di che stoffa siano fatti, là seduti alle tre del pomeriggio, come se fossero le tre del mattino. Bonaparte parla del coraggio delle tre del mattino, ma esso non è nulla in confronto al coraggio che alle tre del pomeriggio si accampa con allegria e decisione dinanzi alla nostra volontà, che pure abbiamo tenuto a bada per tutta la mattina, prendendo per fame una guarnigione alla quale siamo legati da così forti vincoli di simpatia. Mi sorprende che all’incirca a quest’ora, o diciamo tra le quattro e le cinque del pomeriggio, troppo tardi per i giornali del mattino e troppo presto per quelli della sera, non si avverta per le strade un’esplosione generale che disperda ai quattro venti, per una boccata d’aria, una moltitudine di idee stantie e di fantasie coltivate tra quattro mura; in tal modo il male porrebbe rimedio a se stesso.
Come possano le donne sopportare di essere confinate in casa ancor più degli uomini, io non lo capisco; ma ho motivo di ritenere che la maggior parte di esse non lo sopporti affatto. Quando, nelle prime ore di un pomeriggio estivo, dopo avere scrollato la polvere del villaggio dai lembi dei nostri abiti, ci affrettiamo oltre quelle case dalla facciata in puro gotico o dorico, avvolte in una così profonda atmosfera di quiete, e il mio compagno mormora che probabilmente a quell’ora tutti gli abitanti sono andati a letto, in quegli istanti io apprezzo la bellezza e la magnificenza dell’architettura, che non si ripiega mai su se stessa, ma, perennemente eretta e svettante, offre la sua protezione agli amanti del sonno.
Senza dubbio il temperamento, e soprattutto l’età, hanno la loro importanza. Quando un uomo invecchia, la sua capacità di rimanere seduto quietamente e di svolgere mansioni tra le quattro mura si accresce. Le sue abitudini si fanno vespertine a mano a mano che egli si approssima al crepuscolo della vita, sino a quando esce di casa solo poco prima del tramonto, e tutto il camminare che gli è necessario si riduce a una passeggiata di mezz’ora.
Ma il camminare di cui io parlo non ha nulla a che vedere con l’esercizio fisico propriamente detto, simile alle medicine che il malato trangugia a ore fisse, o al far roteare manubri o altri attrezzi; è, il camminare di cui parlo, l’impresa stessa, l’avventura della giornata. Se volete fare esercizio, andate in cerca delle sorgenti della vita. Come è possibile far roteare dei manubri per tenersi in salute, mentre quelle sorgenti sgorgano, inesplorate, in pascoli lontani!
E dovete camminare come il cammello, l’unico animale, così si dice, che rumina mentre cammina. Un viaggiatore una volta chiese alla domestica di Wordsworth di mostrargli lo studio del suo padrone, e lei rispose: «Questa è la biblioteca, ma il suo studio è là fuori, oltre la porta».
Vivere molto all’aperto, nel sole e nel vento, può senza dubbio produrre una certa ru...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Camminare
- Introduzione
- Nota biografica
- Camminare
- Copyright