
- 224 pagine
- Italian
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Quinta colonna
Informazioni su questo libro
Nella primavera del 1940, mentre nel continente le armate alleate stanno subendo duri colpi da parte dell'esercito nazista, l'Inghilterra si prepara alla resistenza. Tra i volontari richiamati in servizio c'è anche Tommy Beresford, l'ex "giovane avventuriero". Anche se sono passati più di vent'anni dalla sua ultima missione, all'ex agente segreto viene affidato un incarico di straordinaria importanza: scoprire chi si cela sotto le misteriose sigle N e M, nomi in codice dei capi della quinta colonna tedesca. L'indagine, che si svolge in una insospettabile pensione sulla costa, si presenta subito molto difficile, ma, per fortuna, al fianco di Tommy ricompare, a sorpresa, la moglie Tuppence, la vecchia compagna di mille avventure.
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Informazioni
Quinta colonna
1
Nel vestibolo Tommy Beresford si tolse il soprabito e lo appese all’attaccapanni. Poi fece lo stesso con il cappello, ma senza la minima fretta, come se volesse guadagnare tempo.
Infine drizzò le spalle, atteggiò la faccia a un largo sorriso risoluto ed entrò in salotto, dove sua moglie stava sferruzzando un passamontagna color cachi.
Era la primavera del 1940.
La signora Beresford gli allungò un rapido sguardo e poi riprese a manovrare energicamente i ferri da calza.
«Qualche novità sul giornale della sera?» gli chiese dopo un po’.
«La guerra lampo è in arrivo, evviva! Pare che in Francia le cose vadano piuttosto male.»
«Viviamo in un mondo deprimente» disse Tuppence.
Ci fu una pausa. Poi Tommy fece: «Be’, perché non mi domandi niente? Non mi sembra il caso d’essere così maledettamente piena di tatto».
«Lo so» ammise Tuppence. «È vero: avere troppo tatto, e rendersene conto, ha qualcosa di terribilmente fastidioso. D’altra parte so benissimo che diventi di cattivo umore se comincio a farti domande! E in ogni modo non ho proprio bisogno di domandare niente. Te lo leggo in faccia.»
«Non pensavo d’avere un’aria così triste e avvilita.»
«No, tesoro» disse Tuppence. «Non ho mai visto niente di più straziante del sorriso che ti sei stampato sulla faccia poco fa, quando sei entrato.»
«Possibile? Falso a tal punto?» Tommy le domandò con un sogghigno.
«Se era falso? Falsissimo! Be’, adesso parla. Vuota il sacco. Non c’è niente da fare?»
«Non c’è niente da fare. Non mi vogliono, non servo a niente e a nessuno. E ti confesso, Tuppence, che è molto deprimente per un uomo di quarantasei anni sentirsi una specie di nonnetto che non riesce a star dritto sulle gambe. Esercito, marina, aviazione, ministero degli Esteri dicono tutti la stessa cosa: sono troppo vecchio. Però non è escluso che mi chiamino più avanti.»
«Be’, la stessa cosa vale anche per me» lo informò Tuppence. «Non vogliono donne della mia età come infermiere, e neanche per qualche altro tipo d’incarico… La risposta è sempre: “No, grazie”. Sembra quasi che preferiscano certe ragazzine svampite, che non hanno mai visto una ferita né sanno come si fa una medicazione, a confronto mio che invece ho lavorato per ben tre anni, dal 1915 al 1918, accettando le mansioni più disparate, da infermiera in un reparto di chirurgia e in sala operatoria ad autista di furgoni e infine addirittura di un generale. Tutte cose, e lo dichiaro senza falsa modestia, che ho fatto con notevole successo. Adesso, invece, sono una povera donna di mezza età, insistente e noiosa, che non si rassegna a starsene a casa sua, bella tranquilla, a fare la calza come tutti si aspettano da lei.»
«Che guerra infernale» mormorò Tommy con aria cupa.
«È già brutto abbastanza che ci sia la guerra» riprese Tuppence. «Ma vedersi chiudere tutte le porte in faccia ed essere costretti a rimanere con le mani in mano è la goccia che fa traboccare il vaso.»
«Be’, per fortuna Deborah ha trovato un impiego» osservò Tommy con la speranza di consolarla.
«Oh, lei è sistemata» ribatté la madre di Deborah. «E sono anche convinta che sarà bravissima in tutto quello che le diranno di fare. Eppure, Tommy, io continuo a credere che se mi mettessero a confronto con lei, non avrei niente di cui vergognarmi.»
«Probabilmente Deborah non è del tuo parere» Tommy ridacchiò.
«Certo che a volte le figlie riescono a essere proprio esasperanti. Soprattutto quando si mettono d’impegno, per mostrarsi così gentili nei tuoi confronti.»
«Se penso alla condiscendenza con cui mi tratta il nostro ragazzo, ti giuro che non capisco davvero come faccio a sopportarlo. Sembra che Derek me lo dica con gli occhi: “Povero, vecchio papà”.»
«Sono perfettamente d’accordo» ribatté Tuppence. «I nostri figli, per quanto assolutamente adorabili, riescono a essere del tutto insopportabili.» Però era bastato che menzionasse i due gemelli, Derek e Deborah, perché l’espressione dei suoi occhi si colmasse di tenerezza.
«Immagino» disse ancora Tommy, con aria meditabonda «che sia sempre difficile per chiunque constatare d’aver toccato la mezza età e di essere messo da parte mentre la vita continua senza di te.»
Tuppence proruppe in un’esclamazione soffocata di rabbia e scrollò la testolina bruna; quel gesto improvviso le fece scivolare giù dalle ginocchia, e rotolare sul pavimento, il gomitolo di lana cachi. «Ma siamo proprio sicuri di non poter fare più niente? Dimmi un po’, lo siamo proprio? Oppure siamo costretti a convincercene perché è quello che sostengono gli altri? A volte ho addirittura la sensazione di non essere mai stata di nessuna utilità!»
«È molto probabile» le rispose Tommy.
«Forse è così. Però, se non altro, c’è stato un tempo in cui ci sentivamo importanti. Mentre adesso comincio a credere che niente di tutto ciò sia mai realmente accaduto. Cosa ne dici, Tommy? Sono state solamente fantasticherie le nostre? È vero che una volta ti hanno fracassato la testa, che sei stato rapito da agenti tedeschi? E che in un’altra occasione abbiamo rintracciato, inseguito e catturato un criminale pericoloso? Che abbiamo salvato una ragazza, messo le mani su importanti documenti segreti e siamo stati addirittura coperti di onori dal nostro paese, che ci mostrava così la sua gratitudine? Noi! Tu e io! I disprezzati, gli indesiderati coniugi Beresford!»
«Su, cara, cerca di calmarti. Tanto, non serve!»
«E comunque» riprese Tuppence, battendo leggermente le palpebre per ricacciare indietro le lacrime «sono molto delusa dal nostro signor Carter.»
«Ci ha scritto una lettera molto bella.»
«Non ha fatto niente di niente… Non ci ha neppure offerto un briciolo di speranza.»
«Be’, ormai è fuori dal giro anche lui. Come lo siamo noi. Ed è molto vecchio. Vive in Scozia e va a pesca.»
«Avrebbero potuto assegnarci qualche incarico nell’Intelligence Service» fece Tuppence amareggiata.
«Forse non siamo più in grado di fare niente» obiettò Tommy. «Forse non avremmo più il coraggio che ci vuole.»
«Chissà!» riprese Tuppence. «Eppure noi ci sentiamo quelli di sempre. Già, però non si può escludere, come dici tu, che al momento buono…» sospirò. E riprese: «Come vorrei che potessimo trovare un lavoro, un lavoretto qualsiasi! È tremendo avere troppo tempo per riflettere».
I suoi occhi si soffermarono per qualche istante sulla fotografia di un ragazzo molto giovane in uniforme d’aviatore, con un sorriso accattivante simile a quello di Tommy.
«Per un uomo è ancora peggio» Tommy le fece notare. «Le donne possono lavorare a maglia, in fondo… e preparare pacchi, e dare una mano nei posti di ristoro.»
«Tutte cose che potrei fare anche fra vent’anni! No, non sono abbastanza vecchia per rassegnarmi. Disgraziatamente capisco di non essere né abbastanza giovane né troppo vecchia!»
Squillò il campanello. Tuppence si alzò. Alloggiavano in un piccolo appartamento. Quando aprì la porta, si trovò davanti un tipo con le spalle larghe, i folti baffi biondi e un faccione allegro e colorito.
L’uomo la squadrò dalla testa ai piedi, mentre domandava in tono affabile: «La signora Beresford?».
«Sì.»
«Mi chiamo Grant. Sono un amico di Lord Easthampton. È stato lui a consigliarmi di venire a parlare con lei e suo marito.»
«Oh, che piacere… Prego, si accomodi.» E lo precedette in salotto. «Mio marito, e… ehm… il capitano…»
«Signor.»
«Il signor Grant. È un amico del signor Car… di Lord Easthampton.» L’antico nom de guerre dell’ex capo dell’Intelligence, “signor Carter”, le saliva alle labbra più facilmente che il titolo del vecchio amico.
Per qualche minuto chiacchierarono animatamente. Grant era un uomo pieno di fascino, dai modi semplici, simpatici. Tuppence lasciò la stanza per rientrarvi quasi subito con una bottiglia di sherry e dei bicchieri.
Infine, quando ci fu una pausa nella conversazione, il signor Grant domandò a Tommy: «Sbaglio, oppure è vero quello che ho sentito dire, cioè che lei sta cercando un impiego, Beresford?».
Negli occhi di Tommy passò un lampo d’interesse. «Sì, verissimo. Ma non sarà venuto a dirmi che…»
Grant scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «Oh, no, niente del genere… No, temo che quello vada proprio lasciato ai giovani… oppure a chi ci è allenato, perché lo fa da anni. Le sole cose che posso offrirle sono noiose da morire, purtroppo. Lavoro d’ufficio. Documenti da schedare. E poi da sistemare in archivio. Roba del genere, insomma.»
Il viso di Tommy si rabbuiò. «Oh, certo.»
«Be’, sempre meglio di niente» gli fece notare Grant in tono incoraggiante. «A ogni modo, venga a trovarmi in ufficio uno di questi giorni. Ministero degli Approvvigionamenti. Stanza 22. Vedremo di trovarle qualcosa.»
Squillò il telefono. Tuppence alzò il ricevitore. «Pronto… Sì. Come?» Una voce stridula le rispose in tono concitato dall’altro capo del filo. Il viso di Tuppence cambiò espressione. «Quando?… Oh, mia cara… naturalmente… vengo subito…» Posò il telefono e disse a Tommy: «Era Maureen».
«Già, m’è sembrato… Ho riconosciuto la voce fin da qui.»
«Se sapesse come mi spiace, signor Grant!» Tuppence cominciò a spiegare con il fiato mozzo. «Ma devo correre subito a casa di questa mia amica. È caduta, ha preso una storta a una caviglia e con lei non c’è nessuno all’infuori della sua bambina. Devo precipitarmi ad aiutarla, a sistemare le cose e a trovare qualcuno che l’assista. Mi perdoni.»
«Certamente, signora Beresford. Capisco benissimo.»
Tuppence gli sorrise, prese il soprabito che si trovava sulla spalliera del divano, lo infilò in fretta e furia e scappò via. La porta del piccolo appartamento si richiuse con un tonfo.
Tommy riempì ancora di sherry il bicchiere dell’ospite. «Non se ne vada» gli disse.
«Grazie.» Grant accettò il liquore e lo sorseggiò in silenzio per qualche istante. E poi: «In un certo senso, non so se mi capisce, il fatto che sua moglie sia uscita è una coincidenza fortunata. Servirà a farmi risparmiare tempo».
Tommy lo guardò con gli occhi sgranati: «Non capisco».
«Vede, Beresford,» riprese Grant in tono meditato «se lei fosse venuto a trovarmi al ministero, avrei potuto farle una certa proposta.»
Lentamente il sangue affluì al viso lentigginoso di Tommy. «Questo non significherà, per caso, che…»
«Easthampton ci ha suggerito il suo nome» rispose Grant con un cenno d’assenso. «Ci ha detto che per questo lavoro l’uomo giusto è lei.»
Tommy respirò a fondo: «E allora parli!» esclamò.
«Naturalmente si tratta di una questione riservatissima.»
Tommy annuì.
«Nemmeno sua moglie deve saperne qualcosa. M’intende?»
«Benissimo… se lo dice lei! Però, in passato, abbiamo lavorato insieme.»
«Certo, lo so. Ma stavolta la proposta che devo farle riguarda soltanto lei.»
«Già, me ne rendo conto. D’accordo.»
«Apparentemente le verrà offerto un lavoro… più o meno qualcosa di simile a ciò a cui avevo accennato poco fa… un lavoro d’ufficio in un settore del ministero che è stato trasferito in Scozia… in una zona militare dove sua moglie non potrà accompagnarla. In realtà lei avrà un incarico ben diverso.»
Tommy continuò a tacere, aspettando il seguito.
«Avrà letto sui giornali della Quinta Colonna, vero?» gli domand...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Prefazione
- QUINTA COLONNA
- Copyright