
eBook - ePub
Dalla parte di Swann
- 3,572 pagine
- Italian
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Dalla parte di Swann
Informazioni su questo libro
Quasi un preludio "musicale" all'intera Recherche, Dalla parte di Swann (1913) introduce i temi cruciali dell'intera opera: il senso del tempo, la memoria, il sogno, l'abitudine, il desiderio. E poi ancora la gelosia, il rapporto fra arte e realtà, l'interagire di rituali ed emozioni. Il lettore fa conoscenza in queste pagine con i personaggi destinati ad accompagnarlo lungo i sette libri - Odette, Bloch, Françoise, Charlus... -, mentre la storia d'amore di Swann diventa quasi "figura" del contrastato rapporto che legherà poi il Narratore a Gilberte e Albertine.
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Informazioni
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LiteraturaCategoria
ClásicosParte seconda
Un amore di Swann

A parte la giovane moglie del dottore, quell’anno le “fedeli” si erano ridotte quasi esclusivamente (benché Madame Verdurin fosse di per sé una donna virtuosa e venisse da una rispettabile famiglia borghese, smodatamente ricca e totalmente oscura, con la quale aveva a poco a poco e di proposito interrotto qualsiasi rapporto) a una figura quasi del demi-monde, Madame de Crécy, che Madame Verdurin chiamava per nome, Odette, e dichiarava essere “un amore”, e alla zia del pianista, che doveva aver tenuto una portineria; persone ignare del bel mondo e talmente ingenue che era stato facile convincerle che la principessa di Sagan e la duchessa di Guermantes erano costrette, per aver gente a pranzo, a pagare qualche malcapitato, così che se avessero proposto loro di farle invitare in casa di quelle due gran dame, l’ex portinaia e la cocotte avrebbero sdegnosamente rifiutato.
I Verdurin non facevano inviti a pranzo: in casa loro, ciascuno aveva sempre “il suo posto a tavola”. Per la serata non c’era programma. Il giovane pianista suonava, ma solo se la cosa “gli andava”, perché non si voleva forzare nessuno e, come diceva il signor Verdurin: «Tutto per gli amici, e viva i compagni!». Se il pianista voleva suonare la cavalcata della Walkiria o il preludio del Tristano, Madame Verdurin protestava, non perché quella musica le dispiacesse ma, al contrario, perché la emozionava troppo. «Allora volete proprio che mi venga la mia emicrania? Sapete bene che va sempre a finire così quando suona quella roba. So che cosa mi aspetta! Domani, quando mi vorrò alzare, addio, sarò distrutta!» Se non suonava, si faceva conversazione, e uno degli amici, più spesso il pittore favorito di turno, «ne sparava», come diceva Verdurin, «una delle sue facendo sghignazzare tutta la compagnia», soprattutto Madame Verdurin, alla quale – tanta era la forza della sua abitudine di prendere alla lettera le espressioni figurate delle emozioni che provava – il dottor Cottard (allora giovane debuttante) aveva dovuto rimettere a posto la mascella slogatasi per il gran ridere.
L’abito da sera era vietato perché si stava “tra amici”, e per non assomigliare ai “noiosi”, dai quali ci si guardava come dalla peste e che venivano invitati soltanto alle grandi serate, indette il più raramente possibile e soltanto se la circostanza poteva divertire il pittore o far conoscere il musicista. Altrimenti ci si accontentava di giocare alle sciarade, di cenare in maschera, ma fra intimi, senza mischiare forestieri al piccolo “clan”.
Ma quanto più i “compagni” avevano guadagnato spazio nella vita di Madame Verdurin, tanto più i noiosi, i reprobi erano diventati tutto ciò che tratteneva gli amici lontano da lei, ciò che qualche volta impediva loro d’essere liberi, si trattasse della madre dell’uno, della professione dell’altro, della casa di campagna o della cattiva salute d’un terzo. Se il dottor Cottard pensava di doversene andare subito dopo mangiato per tornare accanto a un malato in pericolo di vita: «Chissà, diceva Madame Verdurin, forse gli farebbe molto meglio che non lo disturbaste questa sera; passerà una buona notte senza di voi; domattina ci andrete di buonora e lo troverete guarito». Fin dall’inizio di dicembre si sentiva male al pensiero che i fedeli “staccassero” il giorno di Natale e il 1° gennaio. La zia del pianista esigeva che in quell’occasione il nipote venisse a pranzare in famiglia dalla madre di lei:
«Credete che ne morrebbe, vostra madre, esclamò con durezza Madame Verdurin, se non pranzaste con lei a capodanno come si fa in provincia!»
Le inquietudini riaffioravano in vista della settimana santa:
«Voi, dottore, uno scienziato, uno spirito libero, naturalmente verrete il Venerdì santo come un qualsiasi altro giorno?» disse a Cottard, il primo anno, con tono sicuro, come se non dubitasse della risposta. Ma nell’attesa che questa giungesse tremava perché, se lui non fosse venuto, avrebbe rischiato di ritrovarsi sola.
«Verrò il Venerdì santo... a salutarvi, perché andiamo a passare le feste di Pasqua in Alvernia.
– In Alvernia? a farvi divorare da pulci e parassiti? Buon pro vi faccia!»
E dopo una pausa di silenzio:
«Se almeno ce l’aveste detto, avremmo cercato di organizzarci per fare il viaggio insieme con un po’ di comodità.»

«C’è qui Madame de Crécy che ha qualcosa da chiederti. Vorrebbe presentarti un suo amico, il signor Swann. Cosa ne dici?
– Ma andiamo, è mai possibile rifiutare qualcosa a una simile piccola perfezione? Tacete, non ci interessa il vostro parere, vi dico che siete una perfezione.
– Se lo dite voi, rispose Odette con tono da commedia galante, e aggiunse: Sapete che non sono fishing for compliments.
– Portatelo dunque, il vostro amico, se è una persona gradevole.»
Certo il “piccolo clan” non aveva alcun rapporto con la società frequentata da Swann, e dei mondani puri avrebbero pensato che non valeva la pena di occuparvi, come lui, una posizione eccezionale per farsi poi presentare ai Verdurin. Ma Swann amava a tal punto le donne che a partire da un certo momento, avendo conosciuto pressoché tutte le rappresentanti dell’aristocrazia e non avendo queste più nulla da insegnargli, aveva smesso di attribuire alle lettere di naturalizzazione, quasi patenti di nobiltà, graziosamente concessegli dal faubourg Saint-Germain, un valore che non fosse quello di puro scambio, di lettera di credito che, priva di pregio in se stessa, gli consentiva però di conquistarsi sui due piedi una posizione in quel certo buco di provincia o in quel certo oscuro ambiente di Parigi dove gli era parsa graziosa la figlia del signorotto di campagna o del cancelliere. Il desiderio o l’amore gli facevano infatti ritrovare, in quei casi, un sentimento di vanità da cui era ormai esente nella consuetudine della vita (benché in altri tempi l’avesse senza alcun dubbio indirizzato verso quella carriera mondana lungo la quale aveva sperperato in frivoli piaceri i doni della propria intelligenza e messo la propria erudizione in materia d’arte a disposizione delle dame della società per consigliarle nell’acquisto di quadri e nell’arredamento dei loro palazzi) e che lo induceva a voler brillare, agli occhi di una sconosciuta della quale s’era invaghito, di un’eleganza che il nome di Swann, da solo, non bastava a suggerire. Questa ambizione si manifestava soprattutto se la sconosciuta era di umili condizioni. Così come non è a un altro uomo intelligente che un uomo intelligente teme di sembrare sciocco, non è da un gran signore, ma da uno zotico che un uomo elegante paventa di veder misconosciuta la propria eleganza. I tre quarti degli sfoggi d’intelligenza e di vanità menzognera prodigati, da che il mondo esiste, da persone che non potevano che esserne diminuite, avevano come destinatari degli inferiori. E Swann, semplice e noncurante con una duchessa, tremava d’essere disprezzato, e posava, davanti a una cameriera.
Non era come tanti che, per pigrizia o per un senso di rassegnazione all’obbligo, creato dall’importanza sociale, di non abbandonare un certo lido, s’astengono dai piaceri proposti loro dalla realtà estranea alla posizione mondana in cui vivono rintanati fino alla morte, paghi, alla fine, di chiamare piaceri, in mancanza di meglio e una volta raggiunta l’assuefazione, i divertimenti mediocri o le sopportabili noie ch’essa racchiude. Swann, invece, non cercava di trovare belle le donne con le quali passava il suo tempo, ma di passare il suo tempo con le donne che, di primo acchito, aveva trovato belle. E spesso erano donne dalla bellezza piuttosto volgare, giacché le qualità fisiche di cui, senza rendersene conto, andava in cerca, erano completamente antitetiche a quelle che ammirava nelle donne dipinte o scolpite dai suoi maestri preferiti. La profondità, la malinconia dell’espressione gelavano i suoi sensi, che una carne sana, rosea e prosperosa bastava per contro a risvegliare.
Se, viaggiando, incontrava una famiglia che sarebbe stato più elegante evitare di conoscere, ma nella quale una donna gli si presentava dotata di un fascino da lui non ancora sperimentato, restarsene “sulle sue” e ingannare il desiderio che gli aveva ispirato, sostituire un diverso piacere al piacere che avrebbe potuto scoprire con lei, scrivendo a una vecchia amante di venire a raggiungerlo, gli sarebbe parso un’abdicazione alla vita altrettanto vile, una rinuncia altrettanto stupida a una felicità nuova quanto il confinarsi nella propria camera a guardare delle vedute di Parigi invece di visitare il paese. Egli non si chiudeva nell’edificio delle sue relazioni, ma lo aveva trasformato, per poterlo costruire di nuovo da cima a fondo ovunque una donna gli fosse piaciuta, in una di quelle tende smontabili che gli esploratori portano con sé. Quanto a ciò che non era trasportabile o non poteva essere scambiato con un piacere nuovo, l’avrebbe dato via senza contraccambio, per invidiabile che potesse apparire a qualcun altro. Quante volte il suo credito presso una duchessa, accumulato negli anni dal desiderio che questa nutriva d’essere carina con lui senza mai trovarne l’occasione, egli l’aveva dilapidato in un sol colpo pretendendo da lei, con un dispaccio indiscreto, una raccomandazione telegrafica che senza indugio lo mettesse in relazione con un certo intendente la cui figlia, in campagna, aveva attirato la sua attenzione, così come un affamato baratterebbe un diamante con un tozzo di pane! E persino, a cose fatte, se ne divertiva, poiché c’era in lui, riscattato da rare delicatezze, un che di brutale. Inoltre egli apparteneva a quella categoria di persone intelligenti che sono vissute nell’ozio e che cercano una consolazione e forse una giustificazione nell’idea che esso abbia offerto alla loro intelligenza oggetti non meno degni di interesse di quelli che avrebbero potuto offrirle l’arte o lo studio, che la “Vita” contenga situazioni più interessanti, più romanzesche di qualsiasi romanzo. Perlomeno egli lo andava proclamando, persuadendoli facilmente, ai più raffinati fra i suoi amici del bel mondo, segnatamente al barone di Charlus, che si divertiva a rallegrare con il resoconto delle sue avventure piccanti, sia che, incontrata in treno una donna e condottala poi a casa sua, avesse scoperto in lei la sorella d’un sovrano nelle cui mani s’intrecciavano in quel momento tutti i fili della politica europea, della quale egli si trovava così ad essere informato nel più piacevole dei modi, sia che, per un complesso gioco di circostanze, dipendesse dalla scelta che ci si attendeva dal conclave se egli sarebbe o no diventato l’amante di una cuoca.
D’altronde, non era solo la brillante falange delle vecchie dame virtuose, dei generali, degli accademici, ai quali era particolarmente legato, che Swann costringeva con tanto cinismo a fungere da mezzani. Tutti i suoi amici erano abituati a ricevere da lui, di tanto in tanto, delle lettere nelle quali una parola di raccomandazione o di presentazione era sollecitata con un’abilità diplomatica che, perdurando attraverso il succedersi degli amori e la diversità dei pretesti, denunciava, più di qualsiasi eventuale goffaggine, un’identica natura e degli scopi immutabili. Molti anni dopo, cominciando a interessarmi al suo carattere per via delle affinità che presentava, in ben altri campi, col mio, mi sono fatto spesso raccontare come, ogni volta ch’egli scriveva a mio nonno (il quale non era ancora tale, giacché fu intorno all’epoca della mia nascita che cominciò la grande storia d’amore di Swann, destinata a segnare una lunga sospensione di tali pratiche), questi, riconoscendo sulla busta la scrittura dell’amico, esclamasse: «Ecco Swann che avanza una richiesta: in guardia!». E sia per diffidenza, sia per l’atteggiamento inconsciamente diabolico che ci spinge a offrire qualcosa solo a coloro che non la desiderano affatto, i miei nonni opponevano un rigoroso rifiuto alle istanze più facili da soddisfare ch’egli rivolgeva loro, per esempio di presentarlo a una fanciulla che avevano ospite a pranzo tutte le domeniche e che erano costretti, ogni volta che Swann ne riparlava, a fingere di non vedere più, mentre per tutta la settimana ci si chiedeva chi si sarebbe potuto invitare insieme a lei, finendo spesso col non trovare nessuno pur di non avvertire colui che ne sarebbe stato così felice.
Qualche volta una certa coppia amica dei nonni, che fino a quel momento s’era lamentata di non vedere mai Swann, annunciava ai miei con soddisfazione e forse non senza il proposito di suscitarne l’invidia, che egli era diventato straordinariamente cordiale con loro, che non li lasciava mai. Il nonno non voleva offuscare la loro gioia, ma guardava sua moglie canticchiando:
Qual mistero è mai questo?
Penetrarlo io non so...
o:
Visione fuggitiva...
o:
In codeste faccende
meglio non veder niente.
Se, qualche mese dopo, mio nonno chiedeva al nuovo amico di Swann: «E Swann, continuate a vederlo spesso?», l’interlocutore faceva il viso lungo: «Non pronunciate mai quel nome in mia presenza! – Ma vi credevo tanto legati...». Così, per qualche mese, era stato intimo dei cugini di mia nonna, pranzando in casa loro quasi ogni giorno. Bruscamente, senza preavviso, aveva smesso di andarci. Lo credettero malato, e la cugina della nonna stava per mandare a chiedere sue notizie quando nell’office trovò una sua lettera inserita inavvertitamente nel libro dei conti della cuoca. Swann vi annunciava a costei che stava per lasciare Parigi e non sarebbe più venuto. Era la sua amante, e al momento della rottura aveva ritenuto utile avvertire lei sola.
Quando la sua amante di turno era, invece, una persona di mondo, o perlomeno una persona che un’estrazione troppo umile o una situazione troppo irregolare non gli impedivano di far ricevere in società, allora, per lei, vi ritornava, ma solo nell’ambito ristretto in cui lei si muoveva o lui l’aveva introdotta. «Inutile contare su Swann per questa sera, si diceva, sapete bene che è giorno d’Opéra per la sua americana.» La faceva invitare nei salotti particolarmente esclusivi dove coltivava le sue abitudini, i suoi pranzi settimanali, il suo poker; ogni sera, dopo che una lieve arricciatura aggiunta alla pettinatura a spazzola dei suoi capelli rossi aveva temperato di qualche dolcezza la vivacità dei suoi occhi verdi, sceglieva un fiore per l’occhiello della sua giacca e andava a raggiungere l’amante in casa dell’una o dell’altra signora del suo giro; e allora, pensando all’ammirazione e all’amicizia che la gente alla moda, che avrebbe incontrata là e per la quale lui faceva il bello e il cattivo tempo, gli avrebbe prodigate davanti alla donna che amava, ritrovava un po’ di fascino in quella vita mondana della quale s’era disincantato ma la cui materia, penetrata e soffusa di calde tinte come da una fiamma che vi si fosse insinuata e ardesse internamente, gli sembrava bella e preziosa da quando vi aveva incorporato un nuovo amore.

Indice dei contenuti
- Copertina
- di Marcel Proust
- Dalla parte di Swann
- Introduzione
- L’eterno desiderio, l’eterno rimpianto della vita
- Appendice
- Cronologia a cura di Luciano Erba
- Bibliografia
- Nota introduttiva di Alberto Beretta Anguissola
- DALLA PARTE DI SWANN
- Parte prima - Dalla parte di Swann
- Parte seconda - Un amore di Swann
- Parte terza - Nomi di paesi: il nome
- Argomento del volume a cura di Giovanni Raboni
- Combray
- Un amore di Swann
- Nomi di paesi: il nome
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