Morte di un medico legale
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Morte di un medico legale

  1. 266 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Morte di un medico legale

Informazioni su questo libro

Il dottor Edwin Lorrimer, medico legale e consulente di tribunali, appare a tutti come una persona fredda, razionale, un gelido, efficientissimo scienziato. Ma il giorno in cui il suo cadavere brutalmente massacrato viene ritrovato nel laboratorio in cui lavora, il suo ambiguo passato inizia a tornare a galla. E del dottor Lorrimer appare un'immagine insospettabile.
Principale indiziato dell'omicidio, avvenuto in una stanza chiusa a chiave, è un collega del medico. Ma l'ispettore Dalgliesh, chiamato a indagare, sa che non bisogna mai fidarsi delle apparenze. Ancora una volta imparerà che la natura umana è più complessa di quanto sembri. E che a volte anche l'indizio più lampante non basta per risolvere un caso...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804529453
eBook ISBN
9788852033100
Parte seconda

MORTE IN CAMICE BIANCO

1

C’era una gran calma nel salone d’ingresso dello Hoggatt alle otto e quaranta del mattino. Brenda pensava spesso che questa era la parte della giornata lavorativa che le piaceva di più, l’ora prima che arrivasse il personale e che incominciasse il vero lavoro del laboratorio, l’ora in cui lei e l’ispettore Blakelock lavoravano insieme nell’ingresso tranquillo e deserto, silenzioso e solenne come una chiesa, a preparare una scorta di cartelline per la registrazione dei nuovi casi della giornata, imballare di nuovo i reperti che sarebbero stati ritirati dalla polizia, fare un controllo finale delle relazioni del laboratorio per i tribunali così da assicurarsi che la perizia fosse completa, che nessun dettaglio significativo fosse stato omesso. Appena arrivata, indossava il camice bianco e si sentiva subito diversa, non più giovane e insicura, ma una vera professionista, quasi un perito, membro riconosciuto del personale del laboratorio. Poi andava nella cucina sul retro della casa e faceva il tè. Dopo la nobilitazione conferitale dal camice bianco, questa incombenza domestica era un po’ deludente, e lei non aveva una gran voglia di bere praticamente subito dopo colazione. Ma l’ispettore Blakelock, che veniva in auto da Ely tutti i giorni, era sempre pronto a bere un tè e a lei non dispiaceva farlo.
«Ecco quel che ci vuole per rimettersi in sesto» diceva lui invariabilmente, incurvando le labbra umide attorno all’orlo della tazza e tracannando il liquido bollente come se avesse la gola di amianto. «Fai un buon tè, Brenda, questo bisogna dirlo.»
E lei rispondeva: «La mamma dice che il segreto è di scaldare sempre la teiera e lasciare il tè in infusione per cinque minuti esatti».
Questo piccolo scambio rituale di frasi, così invariabile che lei poteva pronunciare in silenzio le parole di lui e doveva resistere all’impulso di scoppiare in una risatina, il familiare aroma domestico del tè, il calore graduale quando stringeva le mani attorno alla spessa tazza, costituivano un inizio rassicurante e confortante della giornata di lavoro.
L’ispettore Blakelock le era simpatico. Parlava poco, ma non era mai impaziente con lei, sempre gentile, una socievole figura paterna. Persino sua madre, quando aveva visitato il laboratorio prima che Brenda fosse assunta, era stata contenta che dovesse lavorare solo con lui. Le guance di Brenda ardevano ancora di vergogna nel ricordare l’insistenza della madre a voler visitare lo Hoggatt per vedere dove avrebbe lavorato la figlia, anche se l’ispettore capo Martin, l’ufficiale di collegamento, sembrava aver trovato la richiesta perfettamente comprensibile. Aveva spiegato a sua madre che era una novità per lo Hoggatt avere un’impiegata al banco invece di un poliziotto subalterno. Se lei fosse riuscita nel lavoro, ne sarebbe risultato un permanente risparmio di forze di polizia e un’utile esperienza per lei. Come l’ispettore capo Martin aveva detto a sua madre: «Il banco dell’accettazione è il cuore del laboratorio». Al momento era con un gruppo di poliziotti in visita negli Stati Uniti, e l’ispettore Blakelock era rimasto solo a svolgere i due lavori, non solo ricevere i reperti, compilare il registro delle comparizioni in tribunale e preparare le statistiche, ma discutere i vari casi con l’investigatore incaricato, spiegare quel che poteva sperare di fare il laboratorio, rifiutare quei casi in cui non servivano i periti, controllare che le dichiarazioni finali per il tribunale fossero complete. Brenda capiva che era una grande responsabilità per lui, ed era decisa a sostenerlo in ogni modo.
Mentre faceva il tè, erano già arrivati i primi reperti della giornata, portati indubbiamente da un poliziotto della omicidi che lavorava al caso. Era un altro sacchetto di plastica, contenente indumenti, del delitto della cava di clunch. Mentre l’ispettore lo rigirava tra le manone, lei intravide attraverso la plastica un paio di pantaloni blu con una cintura macchiata, una giacca a righe dagli ampi risvolti e un paio di scarpe nere con la punta stretta e fibbie vistose.
L’ispettore Blakelock stava studiando il rapporto della polizia. Disse: «Queste appartengono al ragazzo con cui faceva la scema al ballo. Bisognerà incominciare un altro dossier per la relazione, ma registralo in “biologia” sotto la voce “Muddington” con un numero di sottogruppo. Poi attaccaci il talloncino rosso con la scritta “urgentissimo”. Il delitto ha la precedenza».
«Ma potrebbero esserci due o tre delitti insieme. In quel caso chi decide la precedenza?»
«Il direttore del reparto in questione. È compito suo assegnare il lavoro al personale. Dopo l’assassinio e lo stupro, si usa dare la precedenza a quei casi in cui l’accusato non è stato rilasciato sotto cauzione.»
Brenda disse: «Spero che non le dispiaccia se le faccio tante domande. Solo che voglio imparare. Il dottor Lorrimer mi ha detto che dovrei cercare di capire tutto il possibile e non considerare questo lavoro solo come una routine».
«Chiedi pure, ragazza, non mi dispiace. Solo non devi dare troppo ascolto al dottor Lorrimer. Non è lui il direttore qui dentro, anche se crede di esserlo. Quando hai registrato quei vestiti, il fagotto va sullo scaffale per biologia.»
Brenda trascrisse attentamente il numero del reperto sulla rubrica giornaliera e mise il pacco avvolto nella plastica sullo scaffale dei reperti che attendevano di andare nella sala esami di biologia. Per fortuna erano alla pari con la registrazione. Alzò lo sguardo all’orologio. Erano quasi le otto e cinquanta. Presto avrebbero recapitato la posta del giorno, e il banco sarebbe stato invaso dalle buste imbottite contenenti i campioni di sangue dei casi di guida in stato di ubriachezza. Poi sarebbero incominciate ad arrivare le auto della posta. Poliziotti in uniforme o in borghese avrebbero portato grandi buste di documenti per Middlemass, il perito in documenti, le speciali confezioni distribuite dal laboratorio per raccogliere la saliva, il sangue e le macchie di sperma, borse ingombranti di biancheria e coperte macchiate e sporche, gli onnipresenti oggetti contundenti, i coltelli macchiati di sangue fissati con cura nelle scatole con il nastro adesivo.
E ora da un momento all’altro sarebbero arrivati i primi membri del personale. La signora Bidwell, la donna delle pulizie, avrebbe dovuto essere con loro già da venti minuti. Forse aveva preso l’influenza come Scobie. Il primo ad arrivare del personale scientifico sarebbe stato probabilmente Clifford Bradley, capotecnico del reparto di biologia: avrebbe attraversato in gran fretta l’ingresso come se non avesse alcun diritto di esser lì, gli occhi preoccupati della persona braccata e quegli stupidi baffi spioventi, tanto soprappensiero da non notare quasi il loro saluto. Poi la signorina Foley, la segretaria del direttore generale, calma e padrona di sé, sempre con quel misterioso sorriso sulle labbra. La signorina Foley ricordava a Brenda una compagna di scuola, Mona Rigby, che veniva sempre scelta per fare la parte della Madonna nella rappresentazione della Natività a Natale. Lei non aveva mai provato simpatia per Mona Rigby – che non sarebbe stata scelta due volte per quella parte ambita, se il corpo insegnante avesse saputo su di lei quel che sapeva Brenda – e non era certa di provare simpatia per la signorina Foley. Poi uno che le era simpatico, il signor Middlemass, il perito in documenti, con la giacca buttata sulle spalle, che saliva gli scalini tre alla volta e lanciava il suo saluto verso il banco. Dopo di ciò, sarebbero arrivati gli altri più o meno alla rinfusa. Il salone d’ingresso si sarebbe popolato di gente, quasi come una stazione ferroviaria di testa, e nel cuore di quell’apparente caos, intento a controllare e smistare, aiutare e spiegare, c’era il personale del banco dell’accettazione.
Come a segnalare che il giorno lavorativo stava per cominciare, il telefono squillò. La mano dell’ispettore Blakelock calò sul ricevitore. Ascoltò in silenzio per quello che sembrò un tempo più lungo del solito, poi lo udì parlare.
«Non credo che sia qui, signor Lorrimer. Lei dice che non è tornato a casa la notte scorsa?»
Di nuovo silenzio. L’ispettore Blakelock si allontanò un poco da lei e chinò la testa con aria di congiura sulla cornetta come se ascoltasse una confidenza. Poi posò il ricevitore sul banco e si rivolse a Brenda:
«È il vecchio padre del dottor Lorrimer. È preoccupato. A quanto sembra, il dottor Lorrimer non ha preso il tè stamattina presto, e pare che non sia tornato a casa la notte scorsa. Il letto è intatto.»
«Be’, qui non può essere. Voglio dire, abbiamo trovato il portone chiuso a chiave quando siamo arrivati.»
Non potevano esserci dubbi su questo. Quando lei aveva girato l’angolo della casa dopo aver messo la bicicletta sul retro, nella costruzione delle vecchie stalle, l’ispettore Blakelock era in piedi davanti al portone, quasi stesse aspettandola. Poi, quando lo aveva raggiunto, aveva puntato il fascio della torcia elettrica sulle serrature e inserito le tre chiavi, prima la Yale, poi la Ingersoll e infine quella della serratura di sicurezza che staccava il sistema di allarme elettronico collegato con il posto di polizia di Guy’s Marsh. Poi erano entrati insieme nell’ingresso non illuminato. Lei era andata nello spogliatoio sul retro dell’edificio per indossare il camice bianco, e lui si era recato al quadro comandi nell’ufficio dell’ispettore capo Martin per disinserire il sistema che proteggeva le porte interne delle stanze più importanti del laboratorio.
Fece una risatina e disse:
«La signora Bidwell non si è presentata per le pulizie e ora manca anche il dottor Lorrimer. Forse saranno fuggiti via insieme. Grande scandalo allo Hoggatt.»
Non era una battuta molto spiritosa, e non si sorprese che l’ispettore Blakelock non ridesse. Lui disse: «Non è detto che il portone chiuso a chiave significhi qualcosa. Il dottor Lorrimer ha le sue chiavi. Se si fosse rifatto il letto e poi fosse venuto particolarmente presto questa mattina, probabilmente avrebbe chiuso di nuovo il portone e inserito l’allarme interno».
«Ma come avrebbe potuto entrare nel laboratorio di biologia, allora?»
«Avrebbe dovuto aprire la porta e poi lasciarla aperta una volta riattaccato l’allarme. Non sembra probabile. Quando è qui da solo, di solito si serve della Yale.»
Riportò il ricevitore all’orecchio e disse:
«Rimanga un attimo all’apparecchio, per favore, signor Lorrimer. Non credo che sia qui, ma controllo subito.»
«Vado io» disse Brenda, desiderosa di dimostrare buona volontà. Senza nemmeno alzare la ribalta, scivolò sotto il banco. Voltandosi, lo vide con impressionante chiarezza, con l’istantanea luminosità di una foto con il flash: l’ispettore Blakelock, con la bocca semiaperta per ribattere, le braccia tese verso di lei in un gesto, rigido e istrionico, di protezione o divieto. Ma ora, senza comprendere, rise e corse su per l’ampio scalone. Il laboratorio di biologia era sul retro al primo piano e si estendeva con l’annessa sala esami per quasi tutta la lunghezza dell’edificio. La porta era chiusa. Girò il pomolo e l’aperse con una spinta, cercando a tastoni sul muro l’interruttore della luce. Lo trovò con le dita e lo schiacciò. I due lunghi tubi fluorescenti appesi al soffitto lampeggiarono, poi brillarono fiocamente e infine risplendettero di luce ferma.
Vide il corpo immediatamente. Giaceva nello spazio tra i due grandi tavoli centrali per gli esami, la faccia verso terra, la mano sinistra che sembrava ghermire il pavimento, il braccio destro ripiegato sotto di lui. Aveva le gambe tese. Ella emise uno strano e breve suono tra il grido e il gemito e si inginocchiò accanto a lui. I capelli sopra l’orecchio sinistro erano arruffati e ispidi come il pelo del suo gattino dopo che si era lavato, ma non riusciva a vedere il sangue sui capelli scuri. Ma sapeva che era sangue. Già era diventato nero sul colletto del camice bianco e una piccola pozza si era staccata e coagulata sul pavimento del laboratorio. Era visibile solo l’occhio sinistro, fisso e offuscato e ritratto, come l’occhio di un vitello morto. Timidamente gli toccò la guancia. Era fredda. Ma lei lo sapeva, non appena aveva visto quell’occhio invetrato, che questa era la morte.
Dopo, non ricordò di aver chiuso la porta del laboratorio o di essere scesa per le scale. L’ispettore Blakelock era ancora dietro al banco, rigido come una statua, il ricevitore del telefono in mano. Guardandolo in faccia, le venne da ridere: era così buffo. Cercò di parlargli, ma le parole non volevano uscirle di bocca. La mascella si muoveva senza controllo farfugliando, e i denti battevano uno contro l’altro. Fece un gesto. Lui disse qualcosa che ella non afferrò, mollò il ricevitore sul banco e si precipitò su per le scale. Lei si diresse barcollando alla massiccia sedia a braccioli vittoriana appoggiata alla parete fuori dell’ufficio dell’ispettore capo Martin, la sedia del colonnello Hoggatt. Il ritratto la guardava. Mentre lei l’osservava, l’occhio sinistro sembrò spalancarsi, le labbra si stirarono in un ghigno.
Un gelo terribile le invase il corpo. Sembrava che il suo cuore fosse cresciuto smisuratamente, e martellava contro la gabbia toracica. Respirava avidamente, eppure le mancava l’aria. Poi si rese conto del crepitare del telefono. Alzandosi lentamente come un automa, si diresse al banco e tirò su il ricevitore. La voce del signor Lorrimer, esile e querula, belava all’altro capo. Provò a dire la solita frase: “Qui il laboratorio Hoggatt. Centralino”, ma non le uscirono le parole. Rimise il ricevitore sulla forcella e ritornò verso la sedia.
Dopo, non ricordò di aver sentito il lungo scampanio del campanello del portone, di aver attraversato l’ingresso irrigidita per rispondervi. Improvvisamente la porta si aperse di schianto e l’ingresso si riempì di persone e risuonò di voci. La luce sembrava essersi fatta più forte, il che era strano, ed ella li vide tutti come attori su un palcoscenico illuminato a giorno, i volti resi grotteschi e ravvivati dal trucco, ogni parola chiara e comprensibile come dalla prima fila della platea. La signora Bidwell, la donna delle pulizie, il suo impermeabile con il colletto di finta pelliccia, gli occhi accesi di sdegno, la voce acuta.
«Che cosa diavolo succede qui? Un maledetto cretino ha telefonato al mio vecchio e gli ha detto che non era il caso che venissi qui oggi, che la signora Schofield aveva bisogno di me. Chi è che ha voglia di fare scherzi idioti?»
L’ispettore Blakelock stava scendendo le scale, lentamente e con passo studiato: entrava in scena il protagonista. Fecero capannello e guardarono su verso di lui, il dottor Howarth, Clifford Bradley, la signorina Foley, la signora Bidwell. Il direttore fece un passo avanti. Sembrava che stesse per svenire. Disse: «Be’, Blakelock?».
«È il dottor Lorrimer, signore. Morto. Assassinato.»
Certo non avevano ripetuto quella parola all’unisono, guardandosi in volto l’un l’altro come un coro greco. Ma essa sembrò riecheggiare nella tranquillità dell’ingresso, perdendo significato, una parola fattasi risonante gemito. Assassinio. Assassinio. Assassinio.
Vide il dottor Howarth correre verso le scale. L’ispettore Blakelock si voltò per accompagnarlo, ma il direttore disse: «No, rimani qui. Che nessuno si allontani dall’ingresso. Telefona al capo della polizia e al dottor Kerrison. Poi chiamami il ministero degli Interni».
Improvvisamente sembrarono notare Brenda per la prima volta. La signora Bidwell le si avvicinò e chiese: «Allora l’hai trovato tu? Povera piccola!».
Improvvisamente non fu più una recita. Le luci si spensero. Le facce divennero amorfe, comuni. Brenda ansimò. Sentì le braccia della signora Bidwell che le cingevano le spalle. Si trovò l’odore dell’impermeabile contro il volto. La pelliccia era morbida come la zampa del suo gattino. E, finalmente, Brenda scoppiò a piangere.

2

In una clinica universitaria londinese vicino al fiume, dalla quale nei momenti di maggior masochismo poteva intravedere la finestra del suo ufficio, il dottor Charles Freeborn, sovrintendente del servizio di scienza legale, giaceva rigido nello stretto lettino per tutta la lunghezza del suo metro e novanta, il naso aguzzo puntato verso l’alto sopra il preciso risvolto del lenzuolo, i capelli bianchi come una nuvola contro il guanciale ancor più bianco. Il letto era troppo corto per lui, inconveniente al quale aveva ovviato sporgendo gli alluci dalla spalliera del fondo. L’armadietto accanto al letto conteneva il conglomerato di omaggi, oggetti necessari e piccoli diversivi considerato indispensabile per una breve permanenza in ospedale. Includevano un vaso di rose dall’aspetto ufficiale, inodori ma rigogliose, attraverso i cui fiori funerei e innaturali il comandante Adam Dalgliesh intravide un viso tanto immobile, con gli occhi rovesciati verso l’alto e fissi sul soffitto, che fu per un attimo sorpreso dall’illusione di visitare un morto.
Rammentando che Freeborn stava s...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Morte di un medico legale
  3. Parte prima. Chiamata per un delitto
  4. Parte seconda. Morte in camice bianco
  5. Parte terza. Un empirista
  6. Parte quarta. Morte per impiccagione
  7. Parte quinta. La cava di clunch
  8. Copyright