Le parole e i giorni
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Le parole e i giorni

Nuovo breviario laico

  1. 420 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Le parole e i giorni

Nuovo breviario laico

Informazioni su questo libro

La cultura umana ha accumulato nei secoli parole preziose, essenziali, cariche di poesia e saggezza, in grado di creare o allargare spazi di intima riflessione. È da questo tesoro di inestimabile valore che Gianfranco Ravasi attinge, proponendo una scelta di citazioni letterarie, poetiche e filosofiche da cui trae lo spunto per brevi e appassionati commenti. William Shakespeare, Lev Tolstoj, Catullo, Simone Weil, Confucio, Albert Einstein, ma anche Woody Allen, Che Guevara, Giorgio Gaber: pensieri, intuizioni che illuminano interiormente, aiutando ciascuno di noi a coltivare, ogni giorno dell'anno, un'"oasi di silenzio" nel fragoroso deserto di apatia morale e di superficialità che ci circonda. Un universo di parole che invitano a confrontarsi personalmente con i temi fondamentali dell'umanità e dell'esistenza, con i doveri di amore, verità e giustizia che ognuno ha nei confronti di se stesso, della propria storia, dei propri simili e della casa comune che è il mondo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804597032
eBook ISBN
9788852032240

Marzo

Molti, se porgi un dito, ti prendono il braccio:
sono quelli che, se ti occorre un braccio,
non porgeranno un dito.
GUIDO MAZZONI

1 marzo

PARLARE DI SÉ

Persino quando si è sul banco degli accusati, è sempre interessante sentir parlare di sé.
ALBERT CAMUS
Se vuoi che la gente pensi bene di te, non parlare bene di te stesso.
BLAISE PASCAL
Prima di attribuire ai loro autori le due citazioni che qui propongo, vorrei evocare un ironico raccontino ebraico. Un santo rabbi sta chiudendo i suoi giorni nel suo letto: accanto a lui i discepoli e la moglie. Egli ha gli occhi chiusi ma la mente è ancora ben vigile e segue i discorsi di coloro che lo circondano. Uno loda la sua bontà, un altro la sua generosità, un altro ancora la sua sapienza; c’è chi esalta la giustizia e chi la pietà o la temperanza. Alla fine i discepoli se ne vanno e la moglie s’accorge che il rabbi si agita. Accosta l’orecchio e sente che il moribondo con un fil di voce ma con stizza dice: «Ma nessuno ha parlato della mia grande umiltà!».
Esaltare se stessi, pensare solo a se stessi, celebrare le proprie opere, coltivare un Io smisurato è la grande tentazione che affiora in mille modi e che sboccia da quel peccato fondamentale che è la superbia. Sopra abbiamo accostato due frasi analoghe. La prima è tratta dal romanzo Lo straniero (1942) dello scrittore francese Albert Camus (1913-1960): il protagonista Meursault durante il processo che lo condannerà alla ghigliottina sente difensori e accusatori parlare della sua vicenda di assassino e si lascia conquistare da questo interesse attorno alla sua persona. Anche nel pericolo, l’uomo non cessa di mettersi al centro. Ma concludiamo con l’altra frase: è un consiglio del grande Pascal che invita tutti alla modestia e all’umiltà, la qualità che si possiede veramente quando non si è convinti di averla.

2 marzo

IN UN PARCO DI PARIGI

Migliaia e migliaia di anni di tempo / non racchiudono il minuscolo secondo di eternità / di quando mi hai baciato / di quando ti ho baciata / un mattino, nella luce di un sole invernale, / in un parco di Parigi, / a Parigi su questa terra / che è una stella.
JACQUES PRÉVERT
La scena di due innamorati che si baciano teneramente in un parco, indifferenti ai passanti, al sole e alla pioggerellina che cade su di loro, è spesso davanti agli occhi di tutti. Su questo quadretto si può fare molta retorica, si intessono canzonette, si muove anche la tenera ironia dei «fidanzatini» disegnati da Peynet. I versi del poeta francese Jacques Prévert (1900-1977) – che, tra l’altro, ha scritto anche canzoni molto intense – vanno un po’ oltre tutto questo e cercano di cogliere il cuore del vero amore. Quando lo si vive in pienezza, il tempo si dissolve e si pregusta l’eternità: si è come immessi in un istante perfetto e pieno, ci si trova dalla parte del divino.
Non per nulla san Giovanni ha scelto la definizione teologica: «Dio è amore», come la più completa ed essenziale. In quel momento non temi più la morte e il male; e la città sguaiata, maleodorante e sgraziata che ti circonda diventa come una stella. È per questo che l’amore autentico è un po’ la prova dell’esistenza di Dio: è una realtà così perfetta e assoluta, capace di creare e guarire, di illuminare e di trasfigurare, da non essere un semplice prodotto della nostra carne e della nostra psiche, ma da rivelarsi piuttosto come un miracolo, una grazia, un dono che viene dall’alto. È, allora, necessario custodire questa realtà quando essa è infusa in noi, senza sporcarla, senza umiliarla e dissolverla. E questo dono non è solo riservato agli innamorati ma a tutti coloro che si lasciano attraversare dalla luce di Dio.

3 marzo

IL CINICO E I FIORI

Il cinico è uno che, sentendo profumo di fiori, si guarda attorno in cerca di una bara.
HENRY L. MENCKEN
Propongo una frase impietosa e provocatoria: devo riconoscere, però, che mi ha divertito perché chi me l’ha citata (riferendola a uno spietato giornalista americano del secolo scorso, Henry L. Mencken) è una persona che sa accostare un motto dietro l’altro, seguendo il filo di un’ironia implacabile che non teme di tingersi anche di nero. Devo, infatti, ammettere che un pizzico di cinismo ce lo portiamo tutti dentro l’anima. Qualcuno dirà che è necessario per sopravvivere in un mondo di lupi; qualche altro affermerà che dev’essere l’indispensabile dote di chi comanda o ha responsabilità; altri ancora pensano – e mi pare che lo dichiarasse Lenin – che il cinismo è nella realtà stessa delle cose e della storia.
Sta di fatto, però, che imboccare questa strada è pericoloso perché essa è scivolosa e non si sa mai fino a quale approdo ti conduce. Una delle mete più scontate è, comunque, quella della spregiudicatezza e persino della crudeltà. Oscar Wilde aveva coniato una memorabile definizione del cinico: è «colui che sa il prezzo di ogni cosa e il valore di nessuna». Il rischio maggiore è appunto quello di calcolare freddamente ogni persona ed evento solo per quanto ti possano essere utili. Si perde, così, ogni umanità e amore e anche ogni senso di bellezza e di poesia. Sì, il profumo dei fiori non è più un’evocazione di armonia e splendore, ma il rimando al cuscino floreale di una bara. Il cinico sta più dalla parte della morte che da quella della vita.

4 marzo

LA MEDIOCRITÀ

La poesia è l’unica arte in cui la mediocrità è imperdonabile.
EZRA POUND
Lui, sì, era stato un grande (ancorché discusso) poeta e quindi poteva permettersi di formulare questa legge sacrosanta che vorrei meditassero tutti quelli che si accingono a scrivere «poesie di getto», convinti di avere dentro di sé il sacro fuoco dell’ispirazione. La frase è di Ezra Pound, nato nel 1885 negli Stati Uniti e morto a Venezia nel 1972. Ma lasciamo in pace i poeti mediocri che, certo, non si scoraggeranno per tale monito e puntiamo la nostra attenzione su questo difetto dell’anima, la mediocrità appunto. Intendiamoci bene: c’è stato un grande poeta come Orazio che ha esaltato nelle sue Odi (II,10,5) la famosa aurea mediocritas, la quale però era ben altro, ossia la ricerca di un ideale giusto mezzo tra gli estremi e gli eccessi.
No, quella che ci deve insospettire, invece, è la mediocrità che significa inettitudine, piattezza, pigrizia, anonimato, grigiore. Ai nostri giorni questo atteggiamento è stato assunto a stile di vita: quanti comportamenti sono ormai superficiali, insignificanti, dozzinali. «Mediocre» in questo senso non è certamente la ricerca del mezzo e dell’equilibrio; è invece il ricorso al minimo, al disimpegno, alla trasandatezza ostentata. Questa mediocrità, infatti, non si vergogna di se stessa, anzi, si ostenta e si contrabbanda come vera tranquillità dell’anima, quando in realtà è incoscienza, si spaccia come criterio giusto mentre è solo comodità propria, si presenta come rifiuto degli eccessi quando è in verità vuoto interiore. Il cristianesimo non è una religione per mediocri, come la vera arte e l’umanità autentica non possono alimentarsi e vivere di una piattezza senza fremiti, di una sazietà di cose, di un buon senso banale.

5 marzo

IL GRANDE FRATELLO

Se i fatti dicono il contrario, allora bisogna alterare i fatti. Così la storia si riscrive di continuo. Questa quotidiana falsificazione del passato, intrapresa e condotta dal Ministero della Verità, è necessaria alla stabilità del regime.
GEORGE ORWELL
Se si cita il titolo Fattoria degli animali, quasi tutti sanno che l’autore è lo scrittore inglese George Orwell (1903-1950); meno numerosi sono quelli che conoscono l’ultimo suo romanzo intitolato lapidariamente 1984, anche se l’hanno sentito nominare per un’altra ragione che subito diremo. In quest’opera si ha la descrizione di un futuro allora distante, contrassegnato da tre immensi superstati, l’Oceania (che ha per capitale Londra), l’Eurasia e l’Estasia. Orwell si fissa sul primo, retto da un «Grande Fratello», che oggi è noto solo per la sua ripresa nell’omonima squallida trasmissione televisiva. In realtà quella figura incarnava il potere totalitario onnipresente, i cui ingranaggi stritolavano le libertà individuali e secernevano una serie di «verità», codificate appunto da un Ministero che emetteva slogan di questo tipo: «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza», «La pace è guerra» e così via.
Lasciamo a chi non ha ancora letto questo libro di scoprire la sorte dell’unico che oserà sfidare il Grande Fratello. Noi ora ci fermiamo solo sulla considerazione sopra citata che non è soltanto praticata dal cosiddetto revisionismo storico, pronto a cambiare i dati retrospettivi della realtà. La verità è che noi tutti siamo avvolti da una sottile rete di comunicazioni che hanno lo scopo di ridisegnare la realtà, i valori, le scelte così da catturare e orientare anima e cuore delle persone verso sbocchi interessati e talora inconfessabili. Tenere alto il vessillo della consapevolezza, della critica, della coscienza contro le falsificazioni è, allora, necessario, anche se sembra più facile accodarsi alla deriva dei luoghi comuni dominanti. Per questo, riflettere e giudicare, vagliare e meditare sono atti decisivi di libertà.

6 marzo

IL FUOCO DELL’IRA

L’ira dell’uomo eccellente dura un momento, quella dell’uomo mediocre due ore, quella dell’uomo volgare un giorno e una notte, quella del malvagio non cessa mai.
SUBHASHITARNAVA
Nella letteratura indiana esiste un genere letterario denominato subhashita basato su strofe costruite con aforismi di indole morale. Una di queste raccolte è la Subhashitarnava, composta nel XVII secolo nell’attuale Sri Lanka. Ne sto leggendo una versione inglese dalla quale estraggo questa significativa riflessione sui diversi gradi di durata della collera. Questa gradazione, come è evidente, è inversamente proporzionale alla grandezza di una persona. Tanto più alta è la nobiltà spirituale di un individuo tanto più breve è la sua ira. Nel suo Mattino (prima parte del poema Il giorno) il nostro Parini similmente osservava che «quasi foco di paglia è il foco d’ira in nobil cor».
Al contrario, chi è gretto, meschino o semplicemente cattivo alimenta senza posa quel fuoco, seminando attorno a sé cenere e morte. L’ira che si inturgidisce e non si spegne, infatti, crea solo distruzione e oscurità. A questo punto vorremmo, però, aggiungere una distinzione: anche se spesso usati come sinonimi, in realtà collera e sdegno non sono del tutto sovrapponibili. La furia dell’ira che assalta l’altro è qualcosa di negativo; lo sdegno che denuncia il male e si schiera dalla parte della giustizia calpestata è una virtù. E questo ce lo insegnano per primi i profeti. Ma anche lo stesso Cristo non ha esitato a scagliare i suoi «Guai!» contro tutte le ipocrisie e le perversioni morali del suo tempo (si legga, ad esempio, Matteo 23). Impariamo, allora, non solo a spegnere la fiamma dell’ira ma anche ad alimentare quella dello sdegno morale, del disgusto per la corruzione, del giudizio etico.

7 marzo

LA SINCERITÀ CHE FERISCE

Gli amici si dicono sinceri, ma in realtà sinceri sono i nemici.
ARTHUR SCHOPENHAUER
Pochi immaginano – al di là degli addetti ai lavori – che un filosofo serioso e rigoroso come il tedesco Arthur Schopenhauer abbia composto un saggio intitolato L’arte di insultare. Per amore del cielo, lungi da noi l’idea di favorire una simile arte, soprattutto ai nostri giorni in cui questo esercizio è praticato con uno zelo degno di miglior causa, a partire dal mondo della politica. Eppure, sotto sotto, scavando in alcuni insulti, spogliandoli del loro manto di astio, si vede brillare – sia pure compressa e umiliata – una gemma di verità. È questo che Schopenhauer vuole dirci con la citazione che abbiamo tratto da quel suo saggio.
Se proviamo a essere schietti con noi stessi, dobbiamo confessare che più di una volta nella vita non siamo stati sinceri con gli amici, talora per affetto, altre volte per non perderli, e forse in qualche caso per interesse e quieto vivere. È scontato, invece, che il nemico non esiti a scagliare contro il suo avversario fango, ma spesso gli scaglia contro anche quella verità che ferisce ma che è dall’amico o ignorata o celata. Bisognerebbe, allora, tentare almeno qualche volta di dire agli amici quello che pensiamo di loro senza reticenze e invitarli a fare lo stesso con noi. Proposito nobile e santo, ma ho il sospetto che, pur con tutte le cautele adottate, ben poche amicizie resisterebbero. E allora siamo votati all’ipocrisia? O è giusto rischiare di perdere un’amicizia secondo l’asserto dell’Amicus Plato sed magis amica veritas (Platone sarà pure un amico, ma più amica dev’essere la verità)?

8 marzo

L’ETÀ DELLE DONNE

Mai fidarsi di una donna che dice la sua vera età. Una donna capace di dire quello è capace di tutto.
OSCAR WILDE
Nel lungo elenco delle utilissime «Garzantine», enciclopedie specifiche dei vari generi del sapere (oltre all’«Universale» più generale), ce n’è una intitolata Enciclopedia delle Citazioni. Se si va alla voce «Donna», si trovano ben 174 frasi: ebbene, tranne un paio, sono tutte piene di sarcasmi vari contro il mondo femminile e la cosa si ripete negli altri lemmi dedicati alle «Belle donne», alle «Virtù femminili», alla «Parità dei sessi» e così via fino alla voce «Quarant’anni», dove ancora si infierisce sull’età nascosta dalle donne. È ciò che anche noi in pratica abbiamo fatto, citando qui sopra una battuta di Oscar Wilde che, come è noto, non aveva particolare predisposizione per il genere femminile.
Abbiamo, allora, voluto accodarci a una tradizione maschilista che ha percorso i secoli e che inzacchera pure la Bibbia, la quale è pur sempre Parola divina ma incarnata in contesti umani e storici? No, è invece nostra intenzione parlare di questo vezzo femminile – per altro praticato anche dai maschi che ora ricorrono a enormi quantità di prodotti di bellezza così da mascherare l’avanzata del tempo – per tutt’altra finalità. La bellezza di un volto amato non sfiorisce agli occhi dell’innamorato vero, anche quando su quel viso si depongono le tracce dell’autunno della vita. Tommaso Moro, il famoso cancelliere di Enrico VIII, obiettore di coscienza nei confronti del suo re e quindi decapitato, ci ha lasciato un dolce epigramma sul volto tenero della moglie attraversato dalla ragnatela delle rughe. C’è, infatti, una delicatezza e un fascino che permangono, se l’amore continua a trasfigurare anima e corpo.

9 marzo

LO STOMACO VUOTO

Un uomo nell’arco di nove mesi della sua vita può pensare a molte cose, dalla più alta speculazione filosofica sino al più basso anelito per un piatto di minestra, in totale correlazione con lo stato di vacuità dello stomaco.
ERNESTO «CHE» GUEVARA
Più di un lettore si sorprenderà per la citazione che ho proposto per questa riflessione. Anzi, più del contenuto, che registra un’indubbia verità, lo meraviglierà il fatto che in quest’oasi, spesso spirituale, abbiamo introdotto un personaggio mitico, un’icona «laica», un vessillo persino di lotta e guerriglia. Queste parole sono, infatti, tratte dagli Appunti di viaggio di Ernesto «Che» Guevara, protagonista della rivoluzione cubana con Castro e morto in Bolivia nel 1967 a 39 anni. Ciò non toglie che, al di là della connotazione materialistica, la sua considerazione abbia un fondo di verità. Certamente l’uomo non è solo ciò che mangia, come recitava la famosa battuta del filosofo tedesco ottocentesco L...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le parole e i giorni
  3. Introduzione
  4. Gennaio
  5. Febbraio
  6. Marzo
  7. Aprile
  8. Maggio
  9. Giugno
  10. Luglio
  11. Agosto
  12. Settembre
  13. Ottobre
  14. Novembre
  15. Dicembre
  16. Indice degli autori
  17. Indice analitico
  18. Copyright