
- 280 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il ciclo di Landover - 2. L'unicorno nero
Informazioni su questo libro
Da quando ha comprato il regno di Landover dal mago Meeks è passato un anno e, dopo tanti problemi, Ben Holiday spera di godersi un po' di pace insieme con i suoi bizzarri e fedeli amici: un mago maldestro, una bella fanciulla capace di trasformarsi in albero e un cane parlante. Invece dei sogni terrificanti cominciano a disturbare il loro sonno. Non è una coincidenza, ma una nuova minaccia di Meeks, che può essere sventata solo dal mitico Paladino.
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Informazioni
Print ISBN
9788804380115eBook ISBN
97888520329501
Sogni…
«Stanotte ho fatto un sogno» annunciò Ben Holiday agli amici, quella mattina a colazione.
Tanto valeva che annunciasse un bollettino meteorologico. Il mago Questor Thews parve non sentirlo affatto, con il viso affilato da gufo corrugato nello sforzo di riflettere e lo sguardo fisso verso un punto invisibile nello spazio, all’incirca sei metri più in alto del tavolo della colazione. I coboldi Bunion e Parship si limitarono ad alzare gli occhi dal piatto. Lo scrivano Abernathy riuscì a esprimere una cortese curiosità , ma per un cane dal pelo raso la cui espressione abituale era di cortese curiosità non era un’impresa particolarmente difficile.
Soltanto la silfide Willow, appena entrata nella sala da pranzo del castello di Sterling Silver per sedersi accanto a lui, mostrò un autentico interesse, un cambiamento improvviso di espressione, stranamente inquietante.
«Ho sognato casa mia» continuò lui, deciso a insistere sull’argomento. «Ho sognato il vecchio mondo.»
«Prego?» Ora Questor lo stava guardando, evidentemente tornato dal pianeta dove si trovava fino a poco tempo prima. «Chiedo scusa, ma mi è sembrato di sentire che dicesse qualcosa su…»
«Che cosa esattamente ha sognato del vecchio mondo, Alto Signore?» lo interruppe spazientito Abernathy, mentre la sua cortese curiosità si tramutava in lieve disapprovazione. Guardò con intenzione Ben da sopra l’orlo degli occhiali. Lo guardava sempre così, quando Ben accennava al vecchio mondo.
Ben continuò. «Ho sognato Miles Bennett. Ricordate che vi ho parlato di Miles, il mio vecchio socio nello studio legale? Be’, l’ho sognato. Ho sognato che era nei guai. Non è stato un sogno completo; non c’era un vero principio o una vera fine. Era come se fossi arrivato a metà della storia. Miles era nel suo ufficio, occupato a lavorare, a esaminare dei documenti. C’erano telefonate in arrivo, messaggi che venivano consegnati, persone nell’ombra, dove non potevo scorgerle con chiarezza. Ma potevo vedere che Miles era letteralmente frenetico. Aveva un aspetto orribile. Non faceva che chiedere di me, non faceva che chiedere dov’ero, perché non ero lì. Io lo chiamavo, ma lui non mi sentiva. Poi c’è stata una specie di distorsione, un oscuramento, una deformazione della scena che guardavo. Miles continuava a chiamare, chiedendo di me, poi qualcosa si è frapposto fra noi, e mi sono svegliato.»
Lanciò una rapida occhiata alle facce attorno a lui. Ormai lo ascoltavano tutti. «Ma questo non è proprio tutto» si affrettò ad aggiungere. «Si sentiva… qualche disastro imminente, in agguato dietro tutta quella serie di immagini. Si avvertiva un’intensità spaventosa. Era così… reale.»
«Certi sogni sono così, Alto Signore» osservò Abernathy, scrollando le spalle. Spinse indietro gli occhiali sul naso e incrociò con sussiego le zampe anteriori sul petto ricoperto dal panciotto. Era un cane inappuntabile. «I sogni sono spesso manifestazioni delle nostre paure inconscie, ho letto.»
«Questo no» insistette Ben. «Questo era qualcosa di più del solito sogno del tipo coltivato in serra. Somigliava a una premonizione.»
Abernathy tirò su col naso. «E immagino che ora mi dirà che sull’onda di questo sogno inquietante sul piano emotivo, ma infondato alla luce della ragione, si sente in dovere di tornare al suo vecchio mondo.» Lo scrivano ormai non faceva nessuno sforzo per nascondere il suo turbamento, vedendo i suoi più gravi timori sul punto di realizzarsi.
Ben esitò. Era trascorso più di un anno da quando era passato attraverso le nebbie del mondo fatato nel cuore delle foreste dei monti Blue Ridge, 35 chilometri a sud-ovest di Waynesboro, in Virginia, per entrare nel regno di Landover. Per quel privilegio aveva pagato un milione di dollari, rispondendo a un annuncio nel catalogo di un grande magazzino, spinto più dalla disperazione che dalla ragione. Era arrivato a Landover come re, ma farsi accettare dagli abitanti del paese non era stato tanto facile. Gli attacchi alla sua rivendicazione del trono erano piovuti da ogni parte. Era stato quasi distrutto da creature la cui stessa esistenza, un tempo, avrebbe ritenuto impossibile. La magia, il potere che governava tutto in quel mondo stranamente affascinante, era la spada a doppio taglio che era stato costretto a impugnare per poter sopravvivere. La realtà aveva ricevuto un nuovo assetto per lui, da quando aveva preso la decisione di entrare nelle nebbie, e la vita che aveva condotto come avvocato a Chicago, nell’Illinois, sembrava estremamente lontana dalla sua esistenza attuale. Tuttavia quella vita di un tempo non era del tutto dimenticata, e di tanto in tanto lui pensava di tornare indietro.
I suoi occhi incontrarono quelli dello scrivano. Non sapeva che risposta dare. «Ammetto di essere preoccupato per Miles» disse alla fine.
Nella sala da pranzo regnava un silenzio assoluto. I coboldi avevano smesso di mangiare, con le facce da scimmia immobilizzate in quel loro mezzo sogghigno terrificante che scopriva tutta la rispettabile dentatura. Abernathy si era irrigidito sulla sedia. Willow era impallidita, ed era evidente che stava per parlare.
Ma fu Questor a prendere la parola per primo. «Un momento, Alto Signore» suggerì con aria pensierosa, portandosi alle labbra un dito ossuto.
Si alzò da tavola, allontanò dalla sala i servitori che stavano in piedi ai lati senza farsi notare, e chiuse bene le porte dietro di loro. I sei amici erano soli nella sala da pranzo, grande come un antro, ma evidentemente a Questor non bastava. La grande entrata ad arco in fondo alla sala si apriva su un corridoio che dava sul resto del castello. Questor si avvicinò in silenzio all’arco per sbirciare all’esterno.
Ben osservava incuriosito, chiedendosi perché mai Questor fosse così diffidente. Era vero, non era come ai vecchi tempi, quando erano soltanto in sei a vivere a Sterling Silver. Ormai c’era un numeroso seguito di persone di ogni età e rango, soldati e guardie, messaggeri e ambasciatori, scudieri e altri servitori assortiti che formavano la sua corte, inciampando in continuazione l’uno nell’altro e intromettendosi nella sua vita privata nei momenti meno opportuni. Ma non era la prima volta che l’argomento del suo ritorno al vecchio mondo veniva discusso apertamente, e in pratica da tutti. Non si poteva dire che il popolo ignorasse ancora che lui non era nativo di Landover.
Sorrise con malinconia. Ah, be’… non c’era niente di male a essere cauti.
Si stirò, sciogliendo i muscoli ancora irrigiditi dal sonno. Era un uomo dall’aspetto normale, di statura e corporatura media, con il peso ben distribuito. I suoi movimenti erano agili e precisi: da giovane era stato pugile e conservava ancora gran parte dell’abilità di un tempo. Aveva il viso scurito dal sole e dal vento, con gli zigomi e la fronte alti, il naso aquilino, leggermente stempiato. I segni dell’età cominciavano ad apparire all’angolo degli occhi, ma gli occhi erano di un azzurro limpido e luminoso.
Il suo sguardo si spostò verso il soffitto. Il sole del mattino entrava a fiotti dalle vetrate alte e danzava sul legno lucido e sulla pietra. Il calore del castello s’insinuò in lui: lo sentì agitarsi irrequieto. Sterling Silver era sempre in ascolto. Lui sapeva che aveva sentito il racconto del sogno e che reagiva con un certo scontento. Era come una madre in ansia per il figlio cagionevole e sventato. Era come una madre che cercava sempre di tenere il figlio al sicuro accanto a sé. Era scontento quando lui parlava di andarsene.
Lanciò un’occhiata di sottecchi agli amici: Questor Thews, il mago la cui magia faceva spesso cilecca, uno spaventapasseri lacero dalle vesti ornate di toppe multicolori e dai gesti ingarbugliati; Abernathy, lo scrivano di corte trasformato in un terrier dal pelo raso per un incantesimo di Questor e rimasto tale perché non si era trovato l’incantesimo per farlo tornare uomo, un cane in vesti da gentleman; Willow, la bellissima silfide che era metà donna e metà albero, una creatura del mondo delle fate, con una magia tutta sua; e infine Bunion e Parsnip, i coboldi che sembravano scimmie dalle grandi orecchie in calzoni corti, l’uno messaggero e l’altro cuoco. Al principio li aveva trovati tutti così strani. Un anno dopo, li trovava consolanti e rassicuranti e si sentiva tranquillo in loro compagnia.
Scosse la testa. Viveva in un mondo di draghi e di streghe, di gnomi, di orchi e di altre creature strane, di castelli viventi e di magia delle fate. Viveva in un mondo di fantasia di cui era il re, era quello che un tempo aveva sognato di essere. Il vecchio mondo era ormai relegato nel dimenticatoio, la vecchia vita era finita. Strano, quindi, che pensasse ancora così spesso a quel mondo e a quella vita, a Miles Bennett e a Chicago, allo studio legale, alle responsabilità e agli obblighi che si era lasciato alle spalle. I fili dell’arazzo del sogno della notte precedente s’intrecciavano con i ricordi e lo tormentavano senza tregua. Non riusciva a dimenticare facilmente, a quanto pareva, quello che aveva occupato tanti anni della sua vita.
Questor Thews si schiarì la gola.
«Stanotte ho fatto un sogno anch’io, Alto Signore» dichiarò il mago, di ritorno dal suo giro di ricognizione. Ben alzò gli occhi di scatto. La figura alta, avvolta nella lunga veste, s’incurvò sulla sedia dallo schienale alto, gli occhi verdi limpidi e distanti. Le dita ossute di una mano tormentavano il mento barbuto, e la voce era un sibilo guardingo. «Il mio sogno riguardava i libri di magia scomparsi!»
Ora Ben capiva la prudenza dell’altro. Pochi, a Landover, erano al corrente dei libri magici. I libri erano appartenuti al fratellastro di Questor, il precedente mago di corte di Landover, un individuo che Ben aveva conosciuto nel vecchio mondo sotto il nome di Meeks. Era stato Meeks, in combutta con uno scontento erede al trono, che aveva venduto a Ben il regno di Landover per un milione di dollari, certo che Ben sarebbe caduto vittima di una delle innumerevoli trappole preparate per distruggerlo, certo che quando Ben fosse stato finalmente eliminato il regno sarebbe tornato a lui per essere rivenduto. Meeks aveva pensato di farsi alleato Questor, servendosi della promessa di conoscenza rappresentata dai libri di magia nascosti come di una carota per guadagnare il fratellastro alla sua causa. Invece Questor e Ben erano diventati alleati, sfuggendo a tutte le trappole predisposte da Meeks e recidendo per sempre i legami del vecchio mago con Landover.
Ben fissò Questor negli occhi. Sì, Meeks se n’era andato, ma i libri di magia erano ancora nascosti in qualche punto della valle.
«Ha sentito che cosa ho detto, Alto Signore?» Gli occhi di Questor scintillarono di eccitazione. «I libri scomparsi… la magia spigolata dai maghi di Landover fino dall’alba della creazione! Credo di sapere dove sono! Ho visto in sogno dov’erano!» Gli occhi danzavano. La voce si ridusse a un bisbiglio. «Sono nascosti nelle segrete della fortezza in rovina di Mirwouk, lassù fra i monti Melchor! Nel sogno, seguivo una torcia che non era portata da nessuna mano, la seguivo nel buio, attraverso tunnel e scale, fino a una porta istoriata con cartigli e rune. La porta si è aperta: c’era un pavimento di blocchi di pietra, e uno era contrassegnato con un segno speciale. Ha ceduto al tocco della mia mano, e i libri erano là ! Ricordo tutto… come se fosse accaduto davvero!»
Ora fu il turno di Ben di mostrarsi dubbioso. Cominciò a dire qualcosa in risposta, ma s’interruppe, non sapendo che cosa dire. Sentì Willow agitarsi irrequieta, vicino a lui.
«Non sapevo se parlare del sogno o no, in tutta franchezza» confidò il mago, incespicando nelle parole. «Pensavo che forse avrei dovuto aspettare finché fossi riuscito a scoprire se il sogno era vero o falso, prima di dire qualcosa. Ma poi lei ha parlato del suo sogno, e io…» Esitò. «Il mio sogno somigliava al suo, Alto Signore. Non era tanto un sogno quanto una premonizione. Era stranamente intenso, convincente per la sua nitidezza. Non era spaventoso come il suo era… esaltante!»
Abernathy, almeno, non si lasciò impressionare. «Tutto questo potrebbe essere effetto di qualcosa che hai mangiato, mago» suggerì con una certa scortesia.
Questor parve non udirlo. «Vi rendete conto di quello che significherebbe avere in mio possesso i libri magici?» chiese con ansia, il viso da rapace acceso dall’interesse. «Avete idea della magia che potrei padroneggiare?»
«A me sembra che ne padroneggi già fin troppa!» scattò Abernathy. «Vorrei rammentarti che è stato il tuo dominio della magia, o meglio il tuo scarso dominio, che mi ha ridotto nello stato attuale, qualche anno fa! Chi può dire quali danni potresti causare, se i tuoi poteri aumentassero ancora?»
«Danni? E che cosa mi dici del bene che potrei realizzare?» Questor si girò di scatto verso l’altro, protendendosi verso di lui. «E se trovassi il modo per farti ridiventare quello che eri?»
Abernathy rimase immobile. Un conto era mostrarsi scettici, un altro esserlo a proprio danno. Non c’era cosa al mondo che desiderasse di più che ridiventare un essere umano.
«Questor, ne sei sicuro?» chiese infine Ben.
«Sicuro quanto lei, Alto Signore» rispose il mago. Esitò. «Strano, però, che in una sola notte abbiamo fatto due sogni…»
«Tre» disse all’improvviso Willow.
La fissarono tutti: Questor, lasciando la frase in sospeso; Ben, tentando ancora di afferrare il senso della rivelazione di Questor; Abernathy e i coboldi senza parole. Aveva detto…?
«Tre» ripeté la silfide. «Ho fatto un sogno anch’io, ed è stato strano e inquietante e forse più vivido dei vostri.»
Ben vide di nuovo l’espressione inquieta, più accentuata, più intensa. Prima era preoccupato e non aveva prestato molta attenzione, ma Willow non era solita esagerare. Qualcosa l’aveva scossa, e lui vide nei suoi occhi un’ansia che confinava con la paura.
«Che cos’è che hai sognato?» le domandò.
Lei non rispose subito. Sembrava in preda ai ricordi. «Ero in viaggio attraverso terre che mi erano familiari e al tempo stesso sconosciute. Ero a Landover, e tuttavia ero in un altro luogo. Cercavo qualcosa. La mia gente era là , ombre indistinte che mi bisbigliavano parole incalzanti. Era necessario far presto, ma non capivo perché. Andavo semplicemente avanti, cercando.»
Fece una pausa. «Poi il giorno cedeva il passo all’oscurità , e il chiaro di luna inondava un bosco che s’innalzava tutt’intorno a me come un muro. Ormai ero sola. Ero tanto spaventata da non riuscire a invocare aiuto, anche se...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- L’Unicorno Nero
- Prologo
- 1. Sogni…
- 2. … e ricordi
- 3. Ombre…
- 4. … e incubi
- 5. Lo sconosciuto
- 6. Edgewood Dirk
- 7. L’elfo guaritore
- 8. La danza
- 9. La Madre Terra
- 10. La caccia
- 11. Ladri
- 12. La maschera
- 13. Strega e drago, drago e strega
- 14. Fuoco e fili d’oro
- 15. La ricerca
- 16. Mirwouk e i Flynt
- 17. La scoperta
- 18. La zampa del gatto
- 19. La rivelazione
- 20. Il combattimento
- 21. La leggenda
- Epilogo
- Copyright