Alla fine del quarto libro di Terramare, L’isola del drago, la storia era giunta a quello che ritenevo fosse il presente. E, proprio come nel presente del cosiddetto mondo reale, non sapevo cosa sarebbe successo in seguito. Potevo supporre, predire, temere, sperare, però non sapevo.
Incapace di continuare la storia di Tehanu (perché non era ancora avvenuta) e presumendo scioccamente che la storia di Ged e Tenar fosse giunta al “vissero felici e contenti”, diedi al volume un sottotitolo: “L’ultimo libro di Terramare”.
Oh, che scrittrice sciocca! Il presente si muove. Perfino nel tempo narrativo, nel tempo onirico, nel “c’era una volta”, ora non è allora.
Sette o otto anni dopo la pubblicazione dell’Isola del drago, mi fu chiesto di scrivere una storia ambientata a Terramare. Una semplice occhiata di sfuggita al luogo mi disse che là erano successe varie cose mentre non stavo guardando. Era ora di tornare indietro e scoprire cosa stesse accadendo in quel momento.
Volevo anche informazioni su altre cose successe prima che Ged e Tenar nascessero. Parecchie cose riguardanti Terramare, i maghi, l’isola di Roke e i draghi, avevano cominciato a lasciarmi perplessa. Per capire gli eventi correnti, era necessario svolgere qualche ricerca storica, trascorrere un po’ di tempo negli Archivi dell’Arcipelago.
Il metodo per svolgere una ricerca su una serie di episodi storici inesistenti consiste nel narrare la storia e scoprire cosa sia accaduto. Credo che questo non sia tanto diverso da ciò che fanno gli storici del cosiddetto mondo reale. Anche se siamo presenti a qualche evento storico lo comprendiamo e riusciamo davvero a ricordarlo, finché non siamo in grado di raccontarlo come storia? E per avvenimenti di epoche o luoghi al di fuori della nostra esperienza, non abbiamo nulla su cui basarci se non le storie che altri ci raccontano. Gli eventi passati, dopotutto, esistono solo nel ricordo, che è una forma di immaginazione. L’evento è reale adesso, ma quando appartiene ormai all’allora, la continuazione della sua realtà dipende interamente da noi, dalla nostra energia e dalla nostra onestà. Se lasciamo che esca dalla memoria, solo l’immaginazione può ripristinarne almeno un barlume. Se mentiamo sul passato, costringendolo a raccontare la storia che vogliamo noi, ad assumere il significato che vogliamo noi, il passato perde la propria realtà, diventa un falso. Portare con noi il passato nel corso degli anni nei grandi contenitori del mito e della storia è un’impresa ardua; ma come dice Lao Tzu, i saggi procedono marciando con le salmerie.
Quando si costruisce o si ricostruisce un mondo mai esistito, una storia del tutto immaginaria, la ricerca è di tipo alquanto diverso, ma l’impulso e le tecniche di base sono piuttosto simili. Si guarda quel che accade e si cerca di capire perché accade, si ascolta quello che ci dice la gente e si osserva ciò che la gente fa, si riflette seriamente su tutto quanto e si cerca di raccontarlo con onestà, perché la storia abbia peso e senso.
I cinque racconti di questo libro esplorano o ampliano il mondo creato dai primi quattro romanzi di Terramare. Ognuno è una storia a sé stante e completa, ma sarebbe opportuno leggerli dopo i romanzi, non prima.
Il trovatore si svolge circa trecento anni prima del periodo dei romanzi, in un’epoca fosca e travagliata; la sua storia fa luce su come siano nate alcune tradizioni e istituzioni dell’Arcipelago. Le ossa della Terra parla dei maghi che istruirono il mago che per primo istruì Ged, e dimostra che occorre più di un mago per fermare un terremoto. Rosascura e Diamante potrebbe svolgersi in qualsiasi momento nel corso dell’ultimo paio di secoli a Terramare; dopotutto, una storia d’amore può avvenire in qualsiasi momento, in qualunque luogo. Nell’Alta Palude è una storia appartenente ai sei anni, brevi ma movimentati, in cui Ged fu Arcimago di Terramare. E l’ultima storia, Libellula, che si svolge alcuni anni dopo la fine dell’Isola del drago, è il ponte tra quel libro e il successivo, I venti di Terramare. Un ponte di drago.
Perché la mia mente potesse spostarsi tra gli anni e i secoli senza scompigliare le cose, e per limitare al massimo le contraddizioni e le discrepanze mentre scrivevo queste storie, sono diventata (un po’) più sistematica e metodica, e ho riunito la mia conoscenza delle genti e della loro storia in “Una descrizione di Terramare”. La sua funzione è come quella della prima grande mappa dell’Arcipelago e delle Distese che disegnai quando cominciai a lavorare al Mago oltre trent’anni fa: dovevo sapere dove fossero le cose, e come muovermi da qui a là, sia nel tempo che nello spazio.
Dato che gli elementi romanzeschi di questo tipo, come le mappe di regni immaginari, sono di notevole interesse per alcuni lettori, includo la descrizione dopo i racconti. Ho anche ridisegnato le carte geografiche in questo libro, e mentre lo facevo ne ho scoperta con gioia una vecchissima negli Archivi di Havnor.
Nel corso degli anni, da quando cominciai a scrivere di Terramare, sono cambiata, naturalmente, e così pure le persone che leggono i libri. Tutte le epoche sono epoche mutevoli, però la nostra è un’epoca di massiccia e rapida trasformazione morale e mentale. Gli archetipi diventano gravami, il semplice si complica, il caos acquista eleganza, e si scopre che quello che tutti ritengono vero è invece quello che pensavano alcuni.
È sconvolgente. Per quanto amiamo la transitorietà, il guizzo ammaliante dell’elettronica, desideriamo ardentemente anche l’inalterabile. Adoriamo le vecchie storie per la loro immutabilità. Artù sogna eternamente ad Avalon. Bilbo può andare e tornare, e c’è sempre l’amata e familiare Contea. Don Chisciotte si accinge per sempre a uccidere un mulino a vento… Così la gente si rivolge ai regni fantastici in cerca di stabilità, antiche verità, semplicità immutabili.
E le fabbriche del capitalismo forniscono tutto quanto. L’offerta soddisfa la domanda. Il fantasy diventa una merce, un’industria.
Il fantasy mercificato non corre rischi: non inventa nulla, ma imita e banalizza. Procede privando le vecchie storie della loro complessità intellettuale ed etica, trasformando la loro azione in violenza, i loro protagonisti in pupazzi, e il loro contenuto veritiero in insulsaggini sentimentali. Gli eroi brandiscono spade, laser e bacchette magiche, meccanicamente come mietitrebbie, mietendo profitti. Le scelte morali causa di profondo turbamento sono ritoccate, rese gradevoli e sicure. Le idee dei grandi narratori, concepite con passione, sono copiate, trasformate in stereotipi, ridotte in giocattoli, stampate in plastica multicolore, pubblicizzate, vendute, rotte, buttate via, sostituibili, intercambiabili.
Quello su cui contano i mercificatori del fantasy, quello che sfruttano, è l’insuperabile immaginazione del lettore, bambino o adulto, che dà vita anche a quelle cose morte… per un po’, in parte.
L’immaginazione, come tutto ciò che è vivo, vive adesso, e vive grazie al vero cambiamento. Come tutte le cose che facciamo o abbiamo, può essere cooptata o degradata; ma sopravvive allo sfruttamento commerciale e didattico. La terra dura più degli imperi. I conquistatori possono lasciare un deserto dove prima c’erano foreste e prati, ma la pioggia continua a scendere, i fiumi continuano a scorrere verso il mare. I regni instabili, mutevoli e falsi del “C’era una volta” fanno parte della storia e del pensiero umano quanto le nazioni dei nostri atlanti caleidoscopici, e alcuni sono più duraturi.
Abitiamo sia i regni reali che quelli immaginari da parecchio tempo. Ma viviamo in entrambi i luoghi in modo diverso rispetto ai nostri genitori o ai nostri antenati. L’incantesimo cambia con l’età, e a seconda dell’epoca.
Conosciamo una dozzina di Artù differenti, adesso, tutti autentici. La Contea è mutata irrevocabilmente perfino durante la vita di Bilbo. Don Chisciotte ha cavalcato fino in Argentina e là ha incontrato Jorge Luis Borges. Plus c’est la même chose, plus ça change.
Per me è stata una gioia tornare a Terramare e trovarlo ancora là, del tutto familiare, eppure cambiato e in costante mutamento. Quello che pensavo sarebbe successo non è quanto sta accadendo, la gente è diversa da come mi aspettavo, e mi smarrisco su isole che credevo di conoscere a memoria.
Questo dunque è il resoconto delle mie esplorazioni e delle mie scoperte: racconti di Terramare per chi ha amato o pensa di poter amare il luogo, ed è disposto ad accettare queste ipotesi: le cose cambiano, autori e maghi non sono sempre affidabili, nessuno può spiegare un drago.
Questa è la prima pagina del Libro dell’Oscurità, scritto circa seicento anni fa a Berila, Enlad:
Dopo che Elfarran e Morred perirono e l’isola di Solea sprofondò nel mare, il Consiglio dei Saggi governò per il fanciullo Serriadh finché questi non salì al trono. Il suo regno fu prospero ma breve. I re che gli succedettero a Enlad furono sette, e con loro crebbero la pace e la ricchezza. Poi arrivarono i draghi a razziare le Terre occidentali, e i maghi tentarono invano di contrastarli. Re Akambar trasferì la corte da Berila alla città di Havnor, da dove inviò la propria flotta contro gli invasori provenienti dalle Terre di Kargad, ricacciandoli a est. Ma essi attaccarono ancora, compiendo incursioni e spingendosi fino al Mare di Mezzo. Dei quattordici sovrani di Havnor l’ultimo fu Maharion, che concluse la pace sia con i draghi che con i Karg, ma a caro prezzo. E dopo che l’Anello delle Rune fu spezzato, ed Erreth-Akbe morì con il grande drago, e Maharion il Prode fu ucciso a tradimento, sembrò che nulla di buono accadesse nell’Arcipelago.
Molti rivendicarono il trono di Maharion, ma nessuno riuscì a conservarlo, e le dispute dei contendenti divisero la lealtà in tante fazioni. Non esistevano più comunanza e giustizia, solo il volere dei ricchi. Uomini di nobile casato, mercanti, pirati, chiunque potesse assoldare soldati e maghi si proclamava signore, rivendicando terre e città come proprie. I signori della guerra rendevano schiave le popolazioni assoggettate, e chi era al loro soldo era in realtà schiavo, perché il padrone era la sua unica protezione dai signori della guerra rivali che s’impossessavano delle terre, e dai pirati che attaccavano i porti, e dalle bande e orde di miserabili senza legge, privati dei mezzi di sostentamento, che venivano spinti dalla fame a razziare e rubare.
Il Libro dell’Oscurità, scritto nel periodo finale dell’epoca di cui parla, è una raccolta di storie contraddittorie, biografie parziali e leggende confuse. Ma è il miglior documento sopravvissuto agli anni oscuri. Desiderosi di lodi, non di storia, i signori della guerra bruciavano i libri da cui i poveri e gli impotenti avrebbero potuto apprendere cosa fosse il Potere.
Ma quando i libri del sapere di un mago finivano in mano a un signore della guerra, era probabile che questi li trattasse con cautela, mettendoli sotto chiave perché non nuocessero o dandoli a un mago al suo servizio affinché li usasse come desiderava. Ai margini degli incantesimi e delle liste di parole e nei risguardi di tali libri del sapere, un mago o il suo apprendista potevano registrare una calamità, una carestia, una scorreria, un cambiamento di padrone, unitamente agli incantesimi operati in tali occasioni e il loro successo o insuccesso. Queste annotazioni casuali rivelano qui e là qualche momento chiaro, anche se tra quei momenti tutto è oscuro. Sono come fugaci apparizioni di una nave illuminata in alto mare, al buio, con la pioggia.
E ci sono canzoni, vecchi lai e ballate provenienti da piccole isole e dai tranquilli territori montani di Havnor, che raccontano la storia di quegli anni.
Ad Havnor, Porto Grande è la città al centro del mondo, e le sue torri bianche sovrastano la baia; sulla torre più alta, la spada di Erreth-Akbe riflette i primi e gli ultimi raggi del sole. Attraverso quella città passano tutti i traffici e i commerci e il sapere e le arti di Terramare, una ricchezza non accaparrata. Là siede il re, tornato dopo la riparazione dell’Anello, in segno di risanamento. E in quella città, negli ultimi tempi, uomini e donne delle isole parlano con i draghi, in segno di cambiamento.
Ma Havnor è anche la Grande Isola, una terra vasta e ricca; e nei villaggi dell’interno, nelle fattorie sulle pendici del Monte Onn, le cose non cambiano mai molto. Là, è probabile che una canzone che merita di essere cantata venga cantata ancora. Là, i vecchi nella taverna parlano di Morred come se lo avessero conosciuto quando anch’essi erano giovani e prodi. Là, le ragazze che escono per riportare a casa le vacche dal pascolo raccontano storie delle donne della Mano, dimenticate in qualsiasi altra parte del mondo, perfino a Roke, ma ricordate tra quei sentieri e quei campi silenti e assolati, e nelle cucine accanto ai focolari dove le donne lavorano e conversano.
Nel periodo dei re, i magi si radunavano nella corte di Enlad e in seguito nella corte di Havnor per consigliare il sovrano e per consultarsi, usando le loro arti per raggiungere scopi che ritenevano concordemente buoni. Ma negli anni oscuri, i maghi vendettero le loro capacità al miglior offerente, utilizzando i propri poteri per scontrarsi in duelli e combattimenti di stregoneria, incuranti del male che arrecavano, o peggio che incuranti. Calamità e carestie, il prosciugamento di sorgenti, estati senza pioggia e anni senza estate, la nascita di agnelli e vitelli malati e deformi, il parto di bambini insani e malformati tra le genti delle isole, tutte queste cose erano attribuite alle pratiche di maghi e streghe, e fin troppo spesso giustamente.
Così diventò pericoloso praticare la stregoneria, se non sotto la protezione di un signore della guerra potente; e anche allora, se s’imbatteva in qualcuno dai Poteri maggiori dei suoi, un mago rischiava di essere distrutto. E se un mago abbassava la guardia tra la gente comune, pure il popolo avrebbe potuto distruggerlo se fosse stato in grado di farlo, vedendo in lui la causa dei peggiori mali patiti, un essere maligno. In quegli anni, nell’opinione della maggior parte della gente, tutta la magia era nera.
Fu allora che la stregoneria rurale, e soprattutto quella praticata dalle donne, si fece la cattiva fama di cui avrebbe continuato a godere in seguito. Le streghe pagarono a caro prezzo la pratica delle arti che consideravano loro. La cura di bestie e donne gravide, il parto, l’insegnamento di canti e riti, la fertilità e l’ordine del campo e dell’orto, la costruzione e la cura...