
- 448 pagine
- Italian
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I racconti di Canterbury
Informazioni su questo libro
Composti tra il 1386 e il 1400, I racconti di Canterbury costituiscono una raccolta incompiuta di ventuno novelle raccontate da un gruppo di pellegrini diretti al reliquiario di Thomas Becket a Canterbury. Grandiosa e multiforme epopea della società medioevale inglese, il capolavoro di Chaucer unisce alla caratterizzazione dei personaggi una rara penetrazione psicologica che, analizzando la persona del narratore, prepara il lettore al racconto che verrà narrato. Caposaldo della letteratura universale, I racconti di Canterbury, presentati nella versione in prosa di Ermanno Barisone, sono sia un vivido affresco dell'epoca in cui l'autore vive, sia la rappresentazione simbolica dell'itinerario spirituale dell'uomo sulla via della vita.
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Informazioni
Print ISBN
9788804534419eBook ISBN
9788852034480Frammento VII
RACCONTO DEL MARINAIO*
Qui comincia il Racconto del Marinaio
Viveva una volta a Saint-Denis1 un mercante ch’era ricco e che perciò la gente riteneva saggio. Costui aveva una moglie d’eccezionale bellezza, la quale amava dar feste e stare in compagnia, il che costa assai più caro di quanti sorrisi e riverenze si possano fare ai banchetti e ai balli: i saluti e i complimenti passano come un’ombra sul muro, ma guai a chi deve pagare tutto! Povero marito, è lui che deve pagare, che deve vestirci2 e farci andare in ghingheri, grandeggiando proprio per suo decoro, mentre noi, tutte eleganti, balliamo allegramente. E se per caso lui non può, oppure non gli va di fare una spesa di quel genere, perché pensa che siano soldi buttati, bisogna allora che qualcun altro ci paghi il conto o ci presti del denaro, e la faccenda diventa pericolosa...
Questo signor mercante aveva una gran bella casa e, vuoi per la sua generosità vuoi perché sua moglie era bella, in quella casa bazzicava sempre tanta gente, che davvero c’era da farsene meraviglia... Ma per ora andiamo avanti col racconto. Fra tutti i suoi ospiti, importanti o meno, c’era un monaco, bell’uomo e aitante (credo che avesse una trentina d’anni), il quale era sempre là di continuo. Questo monaco giovanotto, infatti, con la sua bella faccia, s’era presa una tale confidenza con quel buon uomo, già fin da quando l’aveva conosciuto la prima volta, che in quella casa era proprio di famiglia, come può esserlo un vero amico. Anzi, siccome questo buon uomo e il monaco di cui vi parlo erano nati tutt’e due nello stesso paese, il monaco insisteva che fossero cugini; e l’altro non diceva mai di no, ma n’era contento come un fringuello all’alba e ne provava in cuor suo un gran piacere. Arrivarono così a giurarsi eterna amicizia, e ciascuno promise all’altro che gli sarebbe rimasto fratello per tutta la vita.
Quanto a spese, anche padre Giovanni era generoso, almeno in quella casa, e cercava in tutti i modi di rendersi gradito, senza mai stare a lesinare. Non si scordava neppure dell’ultimo garzone e, appena arrivava, dava una cosetta onesta a tutti, secondo il grado, dal padrone a tutta la servitù; cosicché tutti erano contenti appena lo vedevano, come tanti uccelli allo spuntar del sole. Ma per ora basta con questa storia...
Capitò che un giorno il mercante decidesse di preparare le sue cose per recarsi nella città di Bruges3 a comprare una partita di merce. Mandò perciò subito a Parigi un galoppino, a pregare padre Giovanni di venire, a tutti i costi, a Saint-Denis, a passarvi un giorno o due allegramente con lui e sua moglie, prima appunto che lui partisse per Bruges.
Il valente monaco di cui vi parlo, dato ch’era un uomo di gran prudenza e aveva anche un ufficio a cui badare, chiese e ottenne un permesso dal suo abate e, con la scusa d’andare a sorvegliare le fattorie e i granai lontani dal convento, poté recarsi subito a Saint-Denis. E chi fu meglio accolto di messer padre Giovanni, nostro caro cugino, tutto garbo e cortesia? Aveva con sé un otricello di malvasia e un altro pieno di vernaccia dolce4 e, secondo il suo solito, anche della selvaggina. E lasciamoli dunque mangiare e bere e divertirsi per un giorno o due, questo mercante e questo monaco...
Il terzo giorno, il mercante si alzò e con calma si mise a pensare a quello che gli occorreva, poi andò nel suo studio per fare nel miglior modo i conti dell’annata, per vedere come andassero gli affari, quanto avesse speso di suo e se avesse fatto progressi o no. Si mise davanti, sul tavolo dei conti, i suoi registri e tutte le sue borse: aveva un tesoro molto ricco e un bel gruzzolo, perciò chiuse bene la porta dello studio, anche perché non voleva che nel frattempo qualcuno lo distogliesse dai suoi conti; e così rimase là seduto fin dopo le nove.
Anche padre Giovanni s’era alzato all’alba, ed ora passeggiava avanti e indietro nel giardino, recitando le sue cose con devozione.
Allora anche la brava moglie, senza farsene accorgere, andò a passeggiare nel giardino, proprio là dove lui camminava in raccoglimento, e lo salutò come aveva fatto altre volte. Aveva con sé una bambina che lei poteva comandare come voleva e far filare a bacchetta, perché era ancora piccina. «Padre Giovanni, cugino mio caro,» disse «che vi prende ad alzarvi così presto?»
«Cara nipote,» rispose lui «cinque ore di sonno per notte dovrebbero bastare, a meno che uno non sia un vecchio rammollito, come certi uomini sposati che stanno lì fermi a covare, come una lepre frolla in una tana, che ha paura di tutti i cani, grossi o piccoli che siano... Ma voi, piuttosto, cara nipote, perché siete così pallida? Eh, certo m’immagino che il vostro brav’uomo v’abbia fatto fare una notte di strapazzi, e perciò ora avreste bisogno d’andare subito a riposare!» E così dicendo, scoppiò a ridere allegramente e si fece tutto rosso a questo pensiero.
La bella moglie si mise a scuotere la testa, e disse: «Eh, solo Dio lo sa!». Poi soggiunse: «No, cugino mio, per me le cose non stanno così. Anzi, per quel Dio che m’ha dato l’anima e la vita, non c’è moglie in tutto il regno di Francia che abbia meno soddisfazioni di me in quel penoso trastullo. Io sì che potrei dire “ahimè, disgraziata, che sono nata!”, ma a nessuno» sospirò «ho il coraggio di raccontare come mi vanno le cose. Così penso di andarmene da questo paese, o di farla finita una buona volta, tanto sono stufa di paure e di crucci!».
Il monaco, guardando fissa negli occhi la donna, le disse: «Ahimè, nipote mia, Dio non voglia che voi, per qualsiasi dispiacere o timore, commettiate qualche insano gesto. Ditemi piuttosto la vostra pena: forse potrei consigliarvi o aiutarvi nel vostro affanno. Su, ditemi tutto quello che vi tormenta, tanto resterà un segreto. Vi giuro, qui sul mio breviario, che finché vivrò non tradirò mai in alcun modo una vostra confidenza!».
«E lo stesso io dico a voi,» replicò lei «vi giuro su Dio e su questo breviario che, neanche se mi facessero a pezzi e a costo d’andare all’inferno, non tradirò mai una parola di quello che mi direte, e questo non tanto perché siamo cugini o conoscenti, ma sinceramente, per affetto e per fiducia.» Così giurarono, poi si diedero un bacio, e ciascuno disse all’altro quello che gli premeva.
«Cugino,» disse lei «se avessi tempo, cosa che non ho, vi racconterei qui subito in questo posto la storia della mia vita, quello che ho sofferto da quando sto con mio marito, anche se lui è vostro cugino...»
«Ma per Dio e per San Martino,» fece il monaco «è mio cugino come lo è quella foglia lì appesa a quell’albero! Io lo chiamo così, per San Dionigi di Francia, soltanto per avere qualche motivo in più per venire qui da voi... In realtà siete voi colei ch’io amo più d’ogni altra al mondo, vi do la mia parola di religioso! Ma ora ditemi la vostra pena, prima che lui scenda: poi sbrigatevi e andate subito via.»
«Amor mio caro,» disse lei «o padre Giovanni mio! Forse sarebbe meglio ch’io tenessi per me questo segreto, ma non ne posso più, devo mandarlo fuori. Come uomo, mio marito è con me il peggiore che ci sia mai stato da che mondo è mondo. Ma siccome sono sua moglie, non è bello che spiattelli in giro come vanno le nostre faccende private, sia a letto che altrove. Dio con la sua grazia mi guardi dal raccontare certe cose! Da quanto capisco, una donna non dovrebbe dir altro che bene di suo marito, ma tutto questo io lo confido a voi soltanto. Insomma, m’aiuti Iddio, lui non vale proprio niente, neppure quanto un moscerino!... Ma ciò che più mi secca è la sua taccagneria. Sapete bene che, proprio per natura, noialtre donne desideriamo sei cose dai nostri mariti: li vogliamo arditi, saggi, ricchi, generosi, obbedienti alla moglie e freschi a letto. E invece, sangue di Cristo, per vestirmi in modo da fargli fare bella figura, domenica prossima dovrò pagare cento franchi, se no, sarò spacciata! Oh, preferirei piuttosto non esser nata, ch’esser fatta segno alle maldicenze o alle sgarberie! E se poi lo venisse a sapere mio marito, sarei rovinata: perciò vi prego, prestatemi voi questa somma, se no, veramente sono morta. Ve ne scongiuro, padre Giovanni, prestatemi questi cento franchi! Perdio, non vi farò mancare la mia riconoscenza, se avrete la bontà di far ciò che vi chiedo! Perché un giorno vedrete che vi pagherò, e vi farò qualunque piacere e servizio che so fare, tutto quello che voi vorrete chiedermi. Se non lo farò, Dio mi mandi un castigo ancora più orribile di quello contro Ganellone di Francia!»5
Il monaco, tutto gentile, così le rispose: «Oh, veramente, signora mia cara, mi fate tanta compassione... Vi giuro e vi do la mia parola che, appena vostro marito sarà partito per le Fiandre, vi libererò io da questa vostra preoccupazione! Senz’altro vi porterò i cento franchi!». Così dicendo, la prese per i fianchi e se l’abbracciò stretta, baciandola più volte. Poi le disse: «Andate ora, piano e senza far rumore, e fate presto a preparare il pranzo; il mio cilindro6 segna già le nove... Su, andate, e siatemi fedele com’io sarò con voi!».
«Ma certo, signor mio, Dio me ne guardi altrimenti...» disse lei. E se n’andò, vispa come una cinciallegra, a ordinare ai cuochi di sbrigarsi perché il pranzo fosse pronto ben presto. Poi corse su da suo marito e bussò forte alla porta dello studio.
«Qui est là?» chiese lui.
«Pietro, sono io!» rispose lei «ma via, signore, fino a quando starete a digiuno? Per quanto tempo ne avete ancora con i vostri conti e le vostre somme, i vostri registri e la vostra roba? Che il diavolo se li porti, tutti questi bilanci! E sì che, perdinci, non è che vi manchi la grazia di Dio! Su, venite giù e per oggi lasciate stare le vostre borse! Non vi vergognate a lasciar padre Giovanni tutto il giorno come un derelitto, senza mangiare? Via, andiamo a messa e poi mettiamoci a tavola.»
«Tu moglie» disse lui «non puoi neanche figurarti il gran da fare che abbiamo noi. Di noi che siamo nel commercio, Dio mi protegga e Sant’Ivo mi mandi un po’ di bene, sì e no dieci su dodici riusciremo a mantenerci a galla, pur lavorando sodo di continuo finché campiamo. Se no, non ci rimane che far buona cera a cattivo gioco, a meno che non ce la squagliamo prima, con la scusa di andare in pellegrinaggio! Ecco perché in questo balordo mondo ho tanta necessità di stare con gli occhi aperti: nel commercio bisogna sempre aver paura dei rovesci della fortuna. Domattina all’alba partirò per le Fiandre e tornerò al più presto. Perciò mia cara moglie, mi raccomando, cerca di essere gentile e cortese con tutti, curati della nostra roba e governa la casa onestamente. Ad ogni modo, hai tutto quello che serve in una casa di benestanti: non ti manca né il vestiario né il mangiare, e non ti scarseggia davvero il denaro nella borsa.» Così dicendo, chiuse la porta dello studio e scese, senza perdere più tempo. Fu detta una messa breve, le tavole furono preparate alla svelta; insomma, in un momento quelli erano a sedere e il mercante offrì al monaco un eccellente pranzo.
Poco dopo il desinare, padre Giovanni, tutto serio, prese in disparte il commerciante e, senza che gli altri sentissero, gli disse: «Caro cugino, stando così le cose, vedo che ve ne andate a Bruges. Che Dio e Sant’Agostino vi proteggano e vi guidino! Mi raccomando, cugino mio, state attento col cavallo e regolatevi con prudenza nel mangiare, specialmente con questo caldo. Fra noi due non c’è bisogno di stare a far tanti convenevoli: buon viaggio, dunque, e che Dio vi ripari dai grattacapi! Se c’è qualcosa che a qualunque ora del giorno o della notte io possa fare per voi, purché in qualche modo me la comandiate, subito sarà fatta come voi desiderate... Ora però, prima che partiate, se permettete, avrei io qualcosa da chiedervi, e cioè d’imprestarmi, per una settimana o due, cento franchi... Mi servirebbero per comprare del bestiame da mettere in una delle nostre masserie: Dio m’aiuti, vorrei che provaste ad averne una anche voi! Ad ogni modo, state tranquillo, non mancherò al mio impegno: neanche se fossero mille franchi, tarderei a restituirveli. Ma, mi raccomando, che la cosa resti segreta, perché devo comprare queste bestie proprio stasera. Ed ora, di nuovo buon viaggio, mio carissimo cugino, e ancora tante grazie per il disturbo e la vostra accoglienza!».
Il nobile mercante, molto signorilmente, gli rispose e disse: «Ma figuratevi, padre Giovanni, cugino mio, quello che mi chiedete è una sciocchezza! Il mio denaro è vostro, quando ne avete bisogno. E non solo il mio denaro, ma anche la mia roba: prendete quello che volete, e Dio non voglia che facciate complimenti! Certo, e lo sapete abbastanza bene anche voi, per noi commercianti il denaro è il nostro aratro: tiriamo avanti a forza di crediti finché abbiamo un nome, ma finito il denaro, è finito il gioco. Ricordatevi dunque di ripagarmi, ma fatelo pure con vostro comodo: in ciò che posso, son ben contento di farvi un favore!».
Andò poi subito a prendere i cento franchi e, senza farsi notare, li consegnò a padre Giovanni. Così nessuno al mondo seppe di questo prestito, all’infuori del mercante e di padre Giovanni, i quali bevvero, chiacchierarono, passeggiarono un po’ e si svagarono, finché padre Giovanni non se ne tornò a cavallo nella sua badia.
Giunto il mattino, il mercante partì per le Fiandre, portandosi per buona guida il suo garzone, e arrivò felicemente a Bruges. E subito questo mercante, puntuale e spiccio, andò in giro per i suoi affari, comprando e prendendo a credito. Mai una volta andò a giocare a dadi o a ballare: insomma, per farla breve, se la passò proprio da mercante, e dunque lasciamolo stare.
La domenica dopo che lui era partito, padre Giovanni arrivò a Saint-Denis bello fresco, con barba e capelli fatti. E in tutta la casa non ci fu garzone o altro che non si sentisse felicissimo perché era tornato messer padre Giovanni. Ma andiamo subito dritti al punto: la bella mogliettina si mise d’accordo con padre Giovanni che, per quei cento franchi, lui l’avrebbe avuta tutta la notte a grembo in su fra le sue braccia. Detto, fatto: per tutta la notte se la spassarono in allegria, finché al mattino padre Giovanni se n’andò per la sua strada, dicendo alla servitù: «Addio, buona giornata!». Intanto nessuno di loro, o altri in paese, aveva il minimo sospetto di padre Giovanni, il quale se ne tornò a cavallo nella sua badia o dove altrimenti gli fece comodo; e per ora basta, smettiamola di parlare di lui.
Il mercante, quan...
Indice dei contenuti
- Copertina
- I racconti di Canterbury
- Introduzione di Ermanno Barisone
- Cronologia
- Bibliografia
- I RACCONTI DI CANTERBURY
- Frammento I
- Frammento II
- Frammento III
- Frammento IV
- Frammento V
- Frammento VI
- Frammento VII
- Frammento VIII
- Frammento IX
- Frammento X
- Copyright