Operette morali
eBook - ePub

Operette morali

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Le Operette morali, arduo libro di emblemi d'azione umane, resoconto di esplorazioni nel ghiaccio del sublime naturale, ci dicono che l'opera dell'uomo è innanzitutto un movimento all'interno dell'essere, cioè, per Leopardi, della natura stessa. Se la natura persegue ciecamente i suoi fini, l'uomo, che ha cuore e occhi, deve sottrarre all'oscurità e al silenzio il proprio passare e renderlo opera. Chi opera è simile a Copernico, non ai suoi avversari, che vanno "raziocinando a rovescio, e argomentando in dispetto della evidenza delle cose"; chi opera non sogna, ma vede e sente le cose. Al contrario di filosofi e teologi e, nel suo secolo, progressisti e spiritualisti, Leopardi lascia da parte le "cose intorno alle quali si ha pochissimo lume", cioè la metafisica, e fissa lo sguardo sulle cose che appaiono. Erede della "saggezza" di Guicciardini e dell'insofferenza galileiana al principio di autorità, oppone ai "sogni fisici" - i miti cosmologici di Platone, ad esempio - il suo poetico empirismo."

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Operette morali di Giacomo Leopardi, Giorgio Ficara in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804557289
eBook ISBN
9788852033131

Detti memorabili di Filippo Ottonieri

Capitolo primo

Filippo Ottonieri, del quale prendo a scrivere alcuni ragionamenti notabili, che parte ho uditi dalla sua propria bocca, parte narrati da altri; nacque, e visse il più del tempo, a Nubiana, nella provincia di Valdivento;1 dove anche morì poco addietro; e dove non si ha memoria d’alcuno che fosse ingiuriato da lui, nè con fatti nè con parole. Fu odiato comunemente da’ suoi cittadini; perchè parve prendere poco piacere di molte cose che sogliono essere amate e cercate assai dalla maggior parte degli uomini; benchè non facesse alcun segno di avere in poca stima o di riprovare quelli che più di lui se ne dilettavano e le seguivano. Si crede che egli fosse in effetto, e non solo nei pensieri, ma nella pratica, quel che gli altri uomini del suo tempo facevano professione di essere; cioè a dire filosofo. Perciò parve singolare dall’altra gente; benchè non procurasse e non affettasse di apparire diverso dalla moltitudine in cosa alcuna. Nel quale proposito diceva, che la massima singolarità che oggi si possa trovare o nei costumi, o negl’instituti, o nei fatti di qualunque persona civile; paragonata a quella degli uomini che appresso agli antichi furono stimati singolari, non solo è di altro genere, ma tanto meno diversa che non fu quella, dall’uso ordinario de’ contemporanei, che quantunque paia grandissima ai presenti, sarebbe riuscita agli antichi o menoma o nulla, eziandio ne’ tempi e nei popoli che furono anticamente più inciviliti o più corrotti. E misurando la singolarità di Gian Giacomo Rousseau, che parve singolarissimo ai nostri avi, con quella di Democrito e dei primi filosofi cinici, soggiungeva, che oggi chiunque vivesse tanto diversamente da noi quanto vissero quei filosofi dai Greci del loro tempo, non sarebbe avuto2 per uomo singolare, ma nella opinione pubblica, sarebbe escluso, per dir così, dalla specie umana. E giudicava che dalla misura assoluta della singolarità possibile a trovarsi nelle persone di un luogo o di un tempo qualsivoglia, si possa conoscere la misura della civiltà degli uomini del medesimo luogo o tempo.
Nella vita, quantunque temperatissimo, si professava epicureo, forse per ischerzo più che da senno. Ma condannava Epicuro; dicendo che ai tempi e nella nazione di colui, molto maggior diletto si poteva trarre dagli studi della virtù e della gloria, che dall’ozio, dalla negligenza, e dall’uso delle voluttà del corpo; nelle quali cose quegli riponeva il sommo bene degli uomini. Ed affermava che la dottrina epicurea proporzionatissima all’età moderna, fu del tutto aliena dall’antica.
Nella filosofia, godeva di chiamarsi socratico; e spesso, come Socrate, s’intratteneva una buona parte del giorno ragionando filosoficamente ora con uno ora con altro, e massime con alcuni suoi familiari, sopra qualunque materia gli era somministrata dall’occasione. Ma non frequentava, come Socrate, le botteghe de’ calzolai, de’ legnaiuoli, de’ fabbri e degli altri simili; perchè stimava che se i fabbri e i legnaiuoli di Atene avevano tempo da spendere in filosofare, quelli di Nubiana, se avessero fatto altrettanto, sarebbero morti di fame. Nè anche ragionava, al modo di Socrate, interrogando e argomentando di continuo; perchè diceva che, quantunque i moderni sieno più pazienti degli antichi, non si troverebbe oggi chi sopportasse di rispondere a un migliaio di domande continuate, e di ascoltare un centinaio di conclusioni. E per verità non avea di Socrate altro che il parlare talvolta ironico e dissimulato. E cercando l’origine della famosa ironia socratica, diceva: Socrate nato con animo assai gentile, e però con disposizione grandissima ad amare; ma sciagurato oltre modo nella forma del corpo; verisimilmente fino nella giovanezza disperò di potere essere amato con altro amore che quello dell’amicizia, poco atto a soddisfare un cuore delicato e fervido, che spesso senta verso gli altri un affetto molto più dolce. Da altra parte, con tutto che egli abbondasse di quel coraggio che nasce dalla ragione, non pare che fosse fornito bastantemente di quello che viene dalla natura, nè delle altre qualità che in quei tempi di guerre e di sedizioni, e in quella tanta licenza degli Ateniesi, erano necessarie a trattare nella sua patria i negozi pubblici. Al che la sua forma ingrata e ridicola gli sarebbe anche stata di non piccolo pregiudizio appresso a un popolo che, eziandio nella lingua, faceva pochissima differenza dal buono al bello, e oltre di ciò deditissimo a motteggiare. Dunque in una città libera, e piena di strepito, di passioni, di negozi, di passatempi, di ricchezze e di altre fortune; Socrate povero, rifiutato dall’amore, poco atto ai maneggi pubblici; e nondimeno dotato di un ingegno grandissimo, che aggiunto a condizioni tali, doveva accrescere fuor di modo ogni loro molestia; si pose per ozio a ragionare sottilmente delle azioni, dei costumi e delle qualità de’ suoi cittadini: nel che gli venne usata una certa ironia; come naturalmente doveva accadere a chi si trovava impedito di aver parte, per dir così, nella vita. Ma la mansuetudine e la magnanimità della sua natura, ed anche la celebrità che egli si venne guadagnando con questi medesimi ragionamenti, e dalla quale dovette essergli consolato in qualche parte l’amor proprio; fecero che questa ironia non fu sdegnosa ed acerba, ma riposata e dolce.
Così la filosofia per la prima volta, secondo il famoso detto di Cicerone,3 fatta scendere dal cielo, fu introdotta da Socrate nelle città e nelle case; e rimossa dalla speculazione delle cose occulte, nella quale era stata occupata insino a quel tempo, fu rivolta a considerare i costumi e la vita degli uomini, e a disputare delle virtù e dei vizi, delle cose buone ed utili, e delle contrarie. Ma Socrate da principio non ebbe in animo di fare quest’innovazione, nè d’insegnar che che sia, nè di conseguire il nome di filosofo; che a quei tempi era proprio dei soli fisici o metafisici; onde egli per quelle sue tali discussioni e quei tali colloqui non lo poteva sperare: anzi professò apertamente di non saper cosa alcuna; e non si propose altro che d’intrattenersi favellando dei casi altrui; preferito questo passatempo alla filosofia stessa, niente meno che a qualunque altra scienza ed a qualunque arte, perchè inclinando naturalmente alle azioni molto più che alle speculazioni, non si volgeva al discorrere, se non per le difficoltà che gl’impedivano l’operare. E nei discorsi, sempre si esercitò colle persone giovani e belle più volentieri che cogli altri; quasi ingannando il desiderio, e compiacendosi d’essere stimato da coloro da cui molto maggiormente avrebbe voluto essere amato. E perciocchè tutte le scuole dei filosofi greci nate da indi in poi, derivarono in qualche modo dalla socratica, concludeva l’Ottonieri, che l’origine di quasi tutta la filosofia greca, dalla quale nacque la moderna, fu il naso rincagnato, e il viso da satiro, di un uomo eccellente d’ingegno e ardentissimo di cuore. Anche diceva, che nei libri dei Socratici, la persona di Socrate è simile a quelle maschere, ciascuna delle quali nelle nostre commedie antiche, ha da per tutto un nome, un abito, un’indole; ma nel rimanente varia in ciascuna commedia.4
Non lasciò scritta cosa alcuna di filosofia, nè d’altro che non appartenesse a uso privato. E dimandandolo alcuni perchè non prendesse a filosofare anche in iscritto, come soleva fare a voce, e non deponesse i suoi pensieri nelle carte, rispose: il leggere è un conversare, che si fa con chi scrisse. Ora, come nelle feste e nei sollazzi pubblici, quelli che non sono o non credono di esser parte dello spettacolo, prestissimo si annoiano; così nella conversazione è più grato generalmente il parlare che l’ascoltare. Ma i libri per necessità sono come quelle persone che stando cogli altri, parlano sempre esse, e non ascoltano mai. Per tanto è di bisogno che il libro dica molto buone e belle cose, e dicale molto bene; acciocchè dai lettori gli sia perdonato quel parlar sempre. Altrimenti è forza che così venga in odio qualunque libro, come ogni parlatore insaziabile.

Capitolo secondo

Non ammetteva distinzione dai negozi ai trastulli; e sempre che era stato occupato in qualunque cosa, per grave che ella fosse, diceva d’essersi trastullato. Solo se talvolta era stato qualche poco d’ora senza occupazione, confessava non avere avuto in quell’intervallo alcun passatempo.
Diceva che i diletti più veri che abbia la nostra vita, sono quelli che nascono dalle immaginazioni false; e che i fanciulli trovano il tutto anche nel niente, gli uomini il niente nel tutto.
Assomigliava ciascuno de’ piaceri chiamati comunemente reali, a un carciofo di cui, volendo arrivare alla castagna, bisognasse prima rodere e trangugiare tutte le foglie. E soggiungeva che questi tali carciofi sono anche rarissimi; che altri in gran numero se ne trovano, simili a questi nel di fuori, ma dentro senza castagna; e che esso, potendosi difficilmente adattare a ingoiarsi le foglie, era contento per lo più di astenersi dagli uni e dagli altri.
Rispondendo a uno che l’interrogò, qual fosse il peggior momento della vita umana, disse: eccetto il tempo del dolore, come eziandio del timore, io per me crederei che i peggiori momenti fossero quelli del piacere: perchè la speranza e la rimembranza di questi momenti, le quali occupano il resto della vita, sono cose migliori e più dolci assai degli stessi diletti. E paragonava universalmente i piaceri umani agli odori: perchè giudicava che questi sogliano lasciare maggior desiderio di se, che qualunque altra sensazione, parlando proporzionatamente al diletto; e di tutti i sensi dell’uomo, il più lontano da potere esser fatto pago dai propri piaceri, stimava che fosse l’odorato. Anche paragonava gli odori all’aspettativa de’ beni; dicendo che quelle cose odorifere che sono buone a mangiare, o a gustare in qualunque modo, ordinariamente vincono coll’odore il sapore; perchè gustati piacciono meno ch’a odorarli, o meno di quel che dall’odore si stimerebbe. E narrava che talvolta gli era avvenuto di sopportare impazientemente l’indugio di qualche bene, che egli era già certo di conseguire; e ciò non per grande avidità che sentisse di detto bene, ma per timore di scemarsene il godimento con fare intorno a questo troppe immaginazioni, che glielo rappresentassero molto maggiore di quello che egli sarebbe riuscito. E che intanto aveva fatta ogni diligenza, per divertire la mente dal pensiero di quel bene, come si fa dai pensieri de’ mali.
Diceva altresì che ognuno di noi, da che viene al mondo, è come uno che si corica in un letto duro e disagiato: dove subito posto, sentendosi stare incomodamente, comincia a rivolgersi sull’uno e sull’altro fianco, e mutar luogo e giacitura a ogni poco; e dura così tutta la notte, sempre sperando di poter prendere alla fine un poco di sonno, e alcune volte credendo essere in punto di addormentarsi; finchè venuta l’ora, senza essersi mai riposato, si leva.
Osservando insieme con alcuni altri certe api occupate nelle loro faccende, disse: beate voi se non intendete la vostra infelicità.
Non credeva che si potesse nè contare tutte le miserie degli uomini, nè deplorarne una sola bastantemente.
A quella questione di Orazio,5 come avvenga che nessuno è contento del proprio stato, rispondeva: la cagione è, che nessuno stato è felice. Non meno i sudditi che i principi, non meno i poveri che i ricchi, non meno i deboli che i potenti, se fossero felici, sarebbero contentissimi della loro sorte, e non avrebbero invidia all’altrui: perocchè gli uomini non sono più incontentabili, che sia qualunque altro genere: ma non si possono appagare se non della felicità. Ora, essendo sempre infelici, che maraviglia è che non sieno mai contenti?
Notava che posto caso che uno si trovasse nel più felice stato di questa terra, senza che egli si potesse promettere di avanzarlo in nessuna parte e in nessuna guisa; si può quasi dire che questi sarebbe il più misero di tutti gli uomini. Anche i più vecchi hanno disegni e speranze di migliorar condizione in qualche maniera. E ricordava un luogo di Senofonte (43), dove consiglia che avendosi a comperare un terreno, si compri di quelli che sono male coltivati: perchè, dice, un terreno che non è per darti più frutto di quello che dà, non ti rallegra tanto, quanto farebbe se tu lo vedessi andare di bene in meglio; e tutti quegli averi che noi veggiamo che vengono vantaggiando, ci danno molto più contento che gli altri.
All’incontro notava che niuno stato è così misero, il quale non possa peggiorare; e che nessun mortale, per infelicissimo che sia, può consolarsi nè vantarsi, dicendo essere in tanta infelicità, che ella non comporti accrescimento. Ancorchè la speranza non abbia termine, i beni degli uomini sono terminati; anzi a un di presso il ricco e il povero, il signore e il servo, se noi compensiamo le qualità del loro stato colle assuefazioni e coi desiderii loro, si trovano avere generalmente una stessa quantità di bene. Ma la natura non ha posto alcun termine ai nostri mali; e quasi la stessa immaginativa non può fingere alcuna tanta calamità, che non si verifichi di presente, o già non sia stata verificata, o per ultimo non si possa verificare, in qualcuno della nostra specie. Per tanto, laddove la maggior parte degli uomini non hanno in verità che sperare alcuno aumento della quantità di bene che posseggono; a niuno mai nello spazio di questa vita, può mancar materia non vana di timore: e se la fortuna presto si riduce in grado, che ella veramente non ha virtù di beneficarci da vantaggio, non perde però in alcun tempo la facoltà di offenderci con danni nuovi e tali da vincere e rompere la stessa fermezza della disperazione.
Ridevasi spesse volte di quei filosofi che stimarono che l’uomo si possa sottrarre dalla potestà della fortuna, disprezzando e riputando come altrui tutti i beni e i mali che non è in sua prop...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Nota biobibliografica
  5. OPERETTE MORALI
  6. Storia del genere umano
  7. Dialogo d’Ercole e di Atlante
  8. Dialogo della Moda e della Morte
  9. Proposta di premi fatta dall’Accademia dei Sillografi
  10. Dialogo di un folletto e di uno gnomo
  11. Dialogo di Malambruno e di Farfarello
  12. Dialogo della Natura e di un’Anima
  13. Dialogo della Terra e della Luna
  14. La scommessa di Prometeo
  15. Dialogo di un fisico e di un metafisico
  16. Dialogo di Torquato Tasso e del suo genio familiare
  17. Dialogo della Natura e di un Islandese
  18. Il Parini, ovvero della gloria
  19. Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie
  20. Detti memorabili di Filippo Ottonieri
  21. Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez
  22. Elogio degli uccelli
  23. Cantico del gallo silvestre
  24. Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco
  25. Dialogo di Timandro e di Eleandro
  26. Il Copernico. Dialogo
  27. Dialogo di Plotino e di Porfirio
  28. Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere
  29. Dialogo di Tristano e di un amico
  30. Note di Leopardi
  31. Postfazione
  32. Copyright