
- 228 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Informazioni su questo libro
Su Shakespeare e sulla sua opera si fanno ipotesi da secoli, e tutto sembra già essere stato detto. Ne siamo sicuri? Forse c¿'è dell'altro da sapere, nuovi protagonisti da conoscere e un punto di vista in grado di unire i tanti, preziosi dati raccolti nel tempo da ricercatori colti e appassionati, troppo spesso osteggiati e rimasti nell'ombra. Questo libro ci accompagna senza pregiudizi attraverso i confini del tempo, per farci assistere, con occhi nuovi, a una rappresentazione finora conosciuta solo in parte: la vita dell'enigmatico e geniale William Shakespeare e di chi, con lui, ha deciso un giorno di cambiare il volto dell'Inghilterra e dell'intera cultura occidentale.
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Informazioni
Print ISBN
9788804621195eBook ISBN
9788852031311Il segreto di Shakespeare
Introduzione
Qualcuno direbbe che non si può mai stare tranquilli visto che, da alcuni decenni a questa parte, non c’è episodio o personaggio storico che non venga ristudiato e messo in discussione.
Questa volta sembra proprio toccare al più importante scrittore inglese, l’immortale William Shakespeare.
Su di lui e sulla sua opera sono stati espressi svariati giudizi, tanto che la sua storia personale ha alimentato numerosi libri e film.
Ma siamo proprio certi che sia già stato scritto tutto? Forse c’è dell’altro da sapere, nuovi protagonisti da conoscere e un punto di vista che può far vedere le cose in modo differente, unendo in un unico discorso i tanti, preziosi, dati raccolti nel tempo da ricercatori colti e appassionati, troppo spesso osteggiati e rimasti nell’ombra.
Ed è proprio questo il viaggio che stiamo per intraprendere, senza pregiudizi e con i piedi per terra, attraversando i confini del tempo per assistere, con occhi nuovi, a una rappresentazione finora conosciuta solo in parte: la vita dell’enigmatico e geniale William Shakespeare e di chi, con lui, ha deciso un giorno di cambiare il volto dell’Inghilterra.
1
Due testamenti, un unico mistero
Doubt truth to be a liar.
(“Dubita che la verità sia una storiella.”)
(“Dubita che la verità sia una storiella.”)
Amleto, atto II, scena II
Talvolta per iniziare un discorso bisogna partire dalla fine, da un elemento apparentemente insignificante che invece ha la preziosa capacità di far accendere la scintilla del dubbio.
La nostra storia inizia alla fine dell’estate del 1625, nel sobborgo londinese di Fulham, infestato dalla peste. Qui, nell’indifferenza generale, muore John Florio, un gentleman conosciuto come una delle personalità di spicco nel mondo della cultura durante i regni di Elisabetta I e Giacomo I. La terribile epidemia che aveva colpito Londra, quell’anno era stata particolarmente violenta e aveva fatto più di trentacinquemila vittime. Come tutti i morti di peste, anche John Florio non potrà avere la degna sepoltura che aveva auspicato nel testamento scritto di suo pugno nel mese di luglio, quando aveva presagito che la fine sarebbe stata imminente. Verrà sepolto in una fossa comune, circostanza che, purtroppo, contribuirà a far cadere il suo nome nell’oblio per secoli.
La sensibilità e la cultura che lo avevano contraddistinto nella vita si manifestano nelle sue ultime volontà. Tra le pagine emerge un personaggio di grande statura morale e intellettuale che, nell’esprimere amore e riconoscenza per le persone a lui vicine, lascia anche trapelare qualche rimpianto per la sofferenza e l’indigenza vissute negli ultimi anni, e risentimento verso quel mondo che tanto lo aveva amato e apprezzato e che ora dimostra di averlo dimenticato.
L’innovatore della lingua inglese
Nato a Londra nel 1553 da padre italiano e madre inglese, John Florio aveva lasciato l’Inghilterra ad appena un anno per farvi ritorno prima dei venti, con un grande bagaglio culturale acquisito dal padre Michel Agnolo nei primi anni, e in seguito presso diversi centri culturali del continente, in particolare Italia, Svizzera, Germania e Francia. Se alcuni lo avevano criticato e temuto come un uomo abile e risoluto, per i più era an Englishman in Italiane, “un inglese di cittadinanza ma italiano di origine”. Lui amava definirsi un “italiano anglificato”, o meglio, giocando con le parole, “angelificato”. Era stato precettore e schoolmaster di principi e rampolli della grande nobiltà, tra cui Henry Wriothesley, III conte di Southampton, e William Herbert, III conte di Pembroke. Inoltre aveva avuto l’onore di diventare il segretario personale della regina Anna di Danimarca, moglie di Giacomo I, il sovrano che aveva ereditato il trono di Elisabetta I.
John Florio era destinato a passare alla storia. Era stato l’artefice del primo dizionario italiano-inglese A World of Words, un’opera che aveva innovato e arricchito la scarna lingua d’Oltremanica, che da circa seimila parole era arrivata a contemplarne più di centocinquantamila, con nuovi vocaboli presi dal latino, dal greco, dalle lingue parlate in Europa, ma soprattutto dai principali dialetti italiani. John Florio ha creato più di mille neologismi, che avrebbero dato un grande sviluppo alla diffusione della cultura umanistica e rinascimentale italiana in Inghilterra. Aveva, inoltre, tradotto per la prima volta in inglese grandi opere del presente e del passato, scritto alcuni famosi testi di aforismi e proverbi, accompagnandoli con una collezione di seimila modi di dire italiani che non avevano un corrispondente in inglese, molti dei quali rintracciabili nelle opere di Shakespeare. E infine, solo due anni prima della sua morte, aveva curato, per volere dei conti di Pembroke, la più importante edizione in folio di trentasei opere di Shakespeare, insieme agli attori John Heming e Henry Condell.
Un documento singolare
La notevole ricchezza di esperienze e successi accumulata negli anni da John Florio, però, non gli aveva dato la serenità materiale che meritava. Dal suo testamento, che possiamo leggere in appendice, datato 20 luglio 1625, emerge la personalità di un uomo sensibile e onesto seppur ridotto a tirare avanti tra grandi ristrettezze, dopo un’intera esistenza vissuta nel benessere, in cui non erano mancati onori, successo e prestigio.
Tra le disposizioni del suo testamento, quella che colpisce maggiormente è l’affidamento delle sue opere, unitamente alle indicazioni per la loro gestione, alla famiglia Pembroke. A William Herbert, III conte di Pembroke, il maggiore dei due figli di Henry Herbert e della poetessa Mary Sidney, donava anche la sua preziosa biblioteca, che in quel momento costituiva il suo unico bene, con queste parole:
III. Lascio all’onorevole, mio singolare, sempre onorato e buon Lord William, conte di Pembroke, Lord Ciambellano di sua eccellentissima maestà il re, nonché regale consigliere di Stato (se alla mia morte egli sarà ancora in vita) tutti i miei libri italiani, francesi e spagnoli, stampati e non stampati, in numero di circa trecentoquaranta, in particolare il mio nuovo e perfetto Dizionario come anche i miei dieci Dialoghi in italiano e in inglese, e il volume non rilegato che raccoglie diversi scritti e rapsodie, pregando con tutto il mio cuore l’onorevole signoria (come una volta mi promise) di accettarli come segno e pegno del mio servizio e della mia affezione al suo onore, e per amor mio di porli nella sua biblioteca, nel castello di Wilton o in quello di Baynard a Londra, e inoltre con l’umile desiderio che provveda favorevolmente a che il mio Dizionario e i Dialoghi possano essere stampati e il profitto ricavato sia dato a mia moglie.IV. Parimenti lascio a sua nobile signoria la Pietra Corvina, gioiello degno di un principe, che il granduca di Toscana Ferdinando inviò come dono più prezioso (fra diversi altri) alla regina Anna, di benedetta memoria; l’uso e il valore di essa è scritto in due fogli in italiano e in inglese contenuti in una piccola scatola insieme con la pietra, e umilissimamente supplico sua signoria di prendere la mia povera e cara moglie sotto la sua protezione (come spero e confido che egli faccia), acciocché non soffra di essere ingiustamente molestata dai miei nemici, e in caso di disgrazia di mettere una buona parola con il tesoriere perché le sia pagata la mia pensione e gli arretrati non versati dopo la mia morte.
È chiaro che la fiducia che John Florio riponeva nei conti di Pembroke era tale, sotto ogni aspetto, da affidar loro sia moralmente che materialmente la giovane moglie. In quel momento John Florio non poteva certo immaginare come sarebbero andate le cose.
Un’aspettativa disattesa
Le ultime righe del testamento che ne attestano la validità concludono:
In fede di che io, sottoscritto John Florio ho posto, scritto e affisso il mio nome e il mio sigillo a queste mie ultime volontà (e scritto di mio pugno ogni sillaba di tale testamento, dopo decisione lunga e matura, contenente quattro fogli, il primo di ventotto righe, il secondo di ventinove righe, il terzo di ventinove righe e il quarto di sei righe). Il giorno 20 luglio nell’anno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo 1625 e nel primo anno del regno del nostro sovrano e re (che Dio lo preservi) Carlo I d’Inghilterra, Scozia, Francia e Irlanda. Io, John Florio, ringraziando ora e sempre Iddio misericordioso, in pieno possesso delle mie facoltà mentali e in piena memoria.
La sorpresa più grande di questo documento arriva però con le parole aggiunte dagli esecutori testamentari un anno dopo la morte di John dove si legge: “Comprovato il 1° giugno 1626 dalla vedova Rose Florio, dagli esecutori nominati nel testamento, che rinunciano all’esecuzione per certi motivi”.
Dunque le ultime volontà di John Florio non vennero rispettate, e queste poche righe non chiariscono neanche quali sarebbero stati questi “certi motivi” che lo avrebbero impedito. È storicamente provato che la pensione garantita a John Florio dalla regina Anna non fu mai pagata, né a lui in vita, né successivamente alla vedova Rose, compresi i famosi arretrati, che John sperava venissero sollecitati presso la corona inglese dai Pembroke.
Per quello che riguarda la biblioteca, il desiderio di Michel Agnolo Florio, l’amatissimo padre di John, era che alla sua morte (avvenuta nel 1605) la sua collezione di libri sarebbe stata ereditata, dopo il figlio, dalla famiglia Pembroke in segno di amicizia e gratitudine per la protezione e il sostegno garantitigli fin dal suo primo soggiorno in Inghilterra, avvenuto più di settant’anni prima.
Quali vincoli legavano i colti italiani agli aristocratici Pembroke? Perché William Herbert III aveva delegato proprio a John Florio la cura della prima grande pubblicazione in folio delle opere di Shakespeare? Per quale motivo, né allora né mai, i Pembroke avrebbero consentito, a quanto si sa, a studiosi e appassionati di consultare quanto ereditato dai Florio? Quali altri materiali letterari erano compresi nel lascito? E, infine, quali interessi potevano collegare i Florio e i Pembroke con William Shakespeare?
Un primo piccolo spiraglio si apre andando a rileggere il testamento di William Shakespeare, anch’esso in appendice, deceduto nove anni prima.
Il testamento di un grande letterato?
La morte di William Shakespeare, di cui non si conosce esattamente la causa, arriva all’improvviso il 23 aprile del 1616. L’ultima scarna cronaca che lo riguarda viene da Stratford on Avon e parla di un qualche stravizio fatto, forse, in compagnia del drammaturgo Ben Jonson, suo grande amico. Il funerale viene svolto in sordina, senza la partecipazione di nessuno dei tanti importanti personaggi che Shakespeare aveva conosciuto e frequentato in vita, o almeno, di qualcuno di quegli uomini del mondo della cultura e dell’aristocrazia tra i quali il suo nome era noto e amato.
Il testamento, redatto un mese prima del decesso, il 25 marzo 1616, presenta diversi aspetti decisamente singolari. Il primo è che non sarebbe stato scritto di suo pugno, cosa veramente strana per un uomo che noi immaginiamo colto e in buona salute, e che aveva passato la sua vita scrivendo; il secondo, che i suoi beni sono costituiti da un cospicuo patrimonio, in denaro contante, terreni, case e arredi, che vengono distribuiti tra gli eredi con saggia pignoleria, specificando nel dettaglio ogni cifra e determinando condizioni e scadenze. Dopo una rispettosa premessa, in cui viene raccomandata l’anima a Dio, si legge:
I. Lascio in eredità a [mio genero e] mia figlia Judith 150 sterline in valuta corrente inglese, da corrisponderle nella maniera e nella forma seguenti, ossia: 100 sterline le siano date in dote entro un anno dalla mia morte, con il tasso di 2 scellini a sterlina dal momento della mia morte alla data in cui riceverà il pagamento, e le restanti 50 sterline da renderle se cederà, e se i supervisori riterranno sussistere tutte le condizioni per tale cessione, la sua proprietà e i relativi diritti, che ella erediterà dopo la mia morte, o di cui è ora in possesso, compresi i diritti di usufrutto del podere e degli annessi situati a Stratford upon Avon nella contea di Warwick, in qualità di concessioni del feudo di Rowington, a mia figlia Susanna Hall e ai suoi eredi per sempre.II. Inoltre a mia figlia Judith lascio ulteriori 150 sterline, qualora ella o un suo erede sia in vita trascorsi tre anni dalla data di queste mie volontà, periodo durante il quale gli esecutori e supervisori le avranno corrisposto la somma dovuta dalla mia morte con il tasso summenzionato. [...]V. Lascio a Elizabeth Hall tutti i vasi e le coppe d’oro e argento e altri metalli, tranne la ciotola grande in oro e argento, che è in mio possesso all’atto del testamento.VI. Lascio ai poveri di Stratford 10 sterline; al signor Thomas Combe la mia spada, a Thomas Russell 5 sterline, e a Francis Collins, della città di Warwick, nella contea di Warwick, 13 sterline, 6 scellini e 8 penny, da pagarsi entro un anno dal mio decesso.[...]VIII. Lascio a mia moglie la seconda migliore camera da letto comprensiva di mobili.IX. Lascio a mia figlia Judith la mia grande ciotola d’oro e argento. Lascio tutti i miei restanti beni, effetti, locazioni, coppe, gioielli e casalinghi, pagati i debiti e detratte le spese del funerale, a mio genero John Hall e a mia figlia Susanna, sua moglie...
A parte il più che modesto lascito alla moglie, consistente in un letto di riserva con annesso arredo, quello che più stupisce è che, nel testamento, non compare alcun accenno all’immensa opera poetica a cui Shakespeare avrebbe dedicato la sua vita, come se non gli appartenesse. Tra i suoi averi, data la grande cultura che aveva dimostrato di possedere, ci si meraviglia che non venga menzionata una biblioteca, un suo testo autografo, una corrispondenza, e neanche un piccolo appunto o uno dei suoi splendidi sonetti. Ancora oggi si discute se possedesse una copia della traduzione in inglese del capolavoro di Montaigne, gli Essais, risalente al 1603 ad opera di John Florio, ma questo libro, oggi conservato al British Museum di Londra, non risulta menzionato nel testamento.
Leggendo attentamente questo documento non può non sorgere il dubbio dell’esistenza di un’altra disposizione che possa rappresentare in modo più convincente la sua personalità. A questo proposito lo scrittore Saul Gerevini, che ha studiato a lungo la questione, chiarisce che i testamenti di Shakespeare ritrovati sarebbero stati due. Il primo forse scritto nel gennaio del 1616 e il secondo solo qualche mese più tardi. Il secondo, quello del 25 marzo, considerato quello definitivo, comunque, non sarebbe stato redatto ex novo, ma conterrebbe solo alcune correzioni rispetto al precedente. Gerevini osserva poi che quello che più colpisce del testamento di William è la pochezza della struttura intellettuale: si presenta come un arido elenco di beni e delle persone a cui sono destinati senza alcun sentimento, soprattutto se confrontato allo stile del tutto diverso del testamento di John Florio.
Una ricerca durata secoli
I motivi per continuare a seguire questa storia sono molteplici. La vita di William Shakespeare sembra sia ancora tutta da scrivere. L’assenza di elogi funebri o di condoglianze per la sua morte, l’assenza di una documentazione scritta su di lui e sulla sua vita, l’assenza di una anche minima corrispondenza con i suoi contemporanei e, infine, l’ass...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Il segreto di Shakespeare
- Prefazione - di Roberto Giacobbo
- Il segreto di Shakespeare
- Appendice
- Bibliografia
- Ringraziamenti
- Copyright