Gertrud
  1. 272 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Informazioni su questo libro

Storia di un amore impossibile, sublimato dall'esperienza musicale. Uno dei primi romanzi dello scrittore, denso di passione, ma anche di finezze psicologiche.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804455554

Hermann Hesse

GERTRUD

Traduzione di Maria Teresa Mandalari
Introduzione di Roberto Fertonani

Mondadori
L’Editore ha cercato con ogni mezzo i titolari dei diritti
della traduzione senza riuscire a reperirli; è ovviamente
a piena disposizione per l’assolvimento di quanto occorra
nei loro confronti.

Introduzione

Quando, alla fine degli anni Sessanta, nei campus delle università americane si diffuse, inatteso dopo gli anni di parziale oblio del dopoguerra, il revival di Hesse, e Il lupo della steppa o Narciso e Boccadoro, pubblicati in milioni di copie, divennero livres de chevet di una gioventù irrequieta e ribelle, anche in Europa l’opera di Hesse ritrovò un humus favorevole. Ci si chiese, con un certo stupore, di fronte al dilagare di una predilezione che assumeva i caratteri della moda, quali fossero le ragioni della riscoperta di uno scrittore tedesco che da vivo aveva conosciuto il successo, ma sembrava incarnare le ansie e i problemi della sua generazione, che gli aveva attribuito il premio Nobel, e non certo preludere, profeticamente, alle delusioni di una società che Hesse non aveva mai conosciuto. Oggi, a posteriori, si possono invece riconoscere elementi specifici di continuità tra il vecchio e il nuovo, il punto di sutura fra chi aveva visto sorgere l’alba del secolo e chi, sulle rovine del 1945, assisteva al consolidarsi di una realtà inadatta a interpretare l’esigenza innata, «eterna», di spiritualità dell’uomo del Novecento. Forzando il significato autentico della problematica di Hesse – che, rifiutando l’Occidente, se questo termine implica l’istinto di rapina e il prevalere delle leggi economiche, vi oppone prima il momento della ricerca di nuovi orizzonti e poi un Oriente, quello di Siddharta, contemplato criticamente con occhi disincantati – gli hippies americani individuarono nelle allusioni de Il lupo della steppa – il jazz, la droga – la proposta di una alternativa possibile. Così partire per l’India con Siddharta sotto il braccio implicava la scelta di una vita utopica ma insieme la ferma decisione di rompere con il passato, di dire di no alle seduzioni dell’ordine borghese che imprigiona l’anima e la fantasia. Diciamo subito che in Italia il fenomeno di Hesse redivivo non ebbe esiti così vistosi e pittoreschi, ma certo, nel vuoto lasciato dalla narrativa tedesca contemporanea, immobile con fissità ossessiva nel recupero del proprio passato o perduta in uno sperimentalismo ostinato, la pagina chiara e misurata di Hesse perse la patina di polvere che l’aveva ingiallita per riacquistare un nitore e un’attualità che neppure Lavinia Mazzucchetti, la quale fu di Hesse fervida estimatrice, aveva certo previsto.
Anche romanzi complessi che sembrano riservati ad una élite intellettuale, come Il gioco delle perle di vetro, seguirono la scia tracciata da libri più emblematici e fortunati come Il lupo della steppa. Questo fu l’avvio per il graduale riemergere di un lascito letterario destinato, fra una certa perplessità della critica, a trascinare e a sedurre schiere sempre più folte di lettori. Ma l’ambiente culturale più favorevole all’indagine nella biografia, nella saggistica su Hesse sono gli Stati Uniti, che restano l’area dove la sua presenza è oggi più incisiva che mai, sia per quanto riguarda le iniziative editoriali, sia gli studi specifici di germanistica. Attraverso l’analisi di una personalità in superficie trasparente ma nella sua vera essenza contorta e complicata, si cerca di motivare il perché della sintonia fra questo cavaliere isolato di una contestazione decisa della civiltà e i desideri più o meno consci di chi cerca nei suoi libri le radici di un disagio sempre esplicito nelle favole e nei personaggi inventati da questo tedesco che si vergognava della sua patria e amava rivelarsi e nascondersi, come un dio antico, solo nel recesso della sua celebre casa di Montagnola. «Prego niente visite». Era il monito che sulla facciata della sua villa raggelava gli eventuali curiosi.
Ma l’esigenza di isolarsi è soltanto il risvolto di un carattere capace anche dell’impegno più radicale e assoluto: quando i colpi di Sarajevo distruggono le illusioni di pace e di progresso della belle époque, Hesse viene stretto nella morsa dei suoi sentimenti di tedesco e delle sue convinzioni pacifiste. Mentre in Thomas Mann prevalse l’infatuazione per il germanesimo che lo oppose al fratello Heinrich nelle Considerazioni di un impolitico e perfino l’estetizzante Rilke sente il dovere di intervenire nella storia che sta vivendo con la testimonianza dei Cinque canti, Hesse si schiera con decisione dalla parte di coloro che assistevano con sgomento allo scontro delle nazioni europee ossessionate dal demone della guerra.
Fra gli scritti di saggistica i più illuminanti per penetrare nell’ideologia dello scrittore risalgono agli anni fra il 1914 e il 1918. In Amici, non questi accenti, del settembre 1914, si leggono queste parole:
«La cultura umana nasce da una nobilitazione di istinti belluini in altri più elevati attraverso il pudore, la fantasia, la conoscenza. Che la vita sia degna di essere vissuta è il contenuto ultimo e il conforto di ogni arte, anche se tutti i lodatori della vita hanno pur dovuto morire. Che questo amore sia più alto che l’odio, la comprensione più forte che l’ira, la pace più nobile che la guerra, proprio questo sciagurato conflitto mondiale deve imprimercelo a fuoco più profondamente di quanto lo abbiamo sentito mai.»
Il discorso era rivolto contro la stupidità di quegli intellettuali i quali, invece di ribellarsi, favorivano gli istinti bellicosi dei politici, portando l’Europa verso la catastrofe. Hesse fu accusato di essere un traditore, di sacrificare allo straniero l’interesse del suo popolo, ma rimase sempre fedele ai suoi principi e ai suoi propositi. L’evolversi che lo sconvolgente fantasma della guerra provoca nel riserbo innato di Hesse non contraddice ma conferma l’autenticità di quegli ideali umanitari, di quell’adesione costante ai problemi della società che non irrompe con il clamore di una fede faziosa ma sottende come un leitmotiv la parabola di una narrativa che a un primo sguardo sembra di natura esclusivamente intimistica.
Lo scrittore è aperto a tutte le suggestioni culturali del suo tempo, da Nietzsche alla psicanalisi, ma anche se non ha la pretesa della novità ci sembra esatta la tesi che la figura di Hesse è indissolubile dal contesto romantico. Romantico, definizione onnicomprensiva e generica di cui Mittner ha messo in luce le ambivalenze e le ambiguità e che irretisce nel suo labirinto chiunque voglia attribuirle un significato univoco e definitivo.
Se l’atmosfera culturale nella quale si manifesta la visione della vita del primo romanticismo è tramontata da tempo, travolta dalle vicende storiche dell’Ottocento e annullata poi dai massacri della Prima guerra mondiale, rimane il dissidio di quelle anime dilacerate, che sentono in sé l’urgere inconciliabile, l’uno aperto a tutte le suggestioni dell’esistere, l’altro incline invece a un misticismo religioso o laico, che rifugge la luce del giorno e cerca riparo nel crepuscolo del rifiuto, nell’assunto di essere «stranieri» su questa terra. Il poeta, quintessenza fragile e tenace della parabola esistenziale, come il Fremdling di cui parla Novalis, prima in una lirica e poi negli Inni alla notte, soffre nel suo intimo la dicotomia di un microcosmo incapace di darsi un equilibrio che lo appaghi.
Così Novalis scrive nel primo Inno alla notte: «Quale vivente, dotato di senso, fra tutte le magiche parvenze dello spazio che si dilata intorno a lui, non ama la più gioiosa, la luce – con i suoi colori, i suoi raggi e onde, la sua mite onnipresenza di giorno che risveglia. Come l’anima più intima della vita la respira il mondo immane delle costellazioni senza quiete, e nuota danzando nel suo flutto azzurro – la respira la pietra scintillante in eterno riposo, la pianta sensitiva che sugge, e il multiforme animale istintivo – ma sopra tutti lo splendido straniero con gli occhi colmi di sensi, il passo leggero, le labbra dolcemente socchiuse, ricche di suoni».
Una concezione che spiega la frequenza in Hesse, specie nel primo periodo, dell’isolato, solitario sognatore, da Peter Camenzind a Knulp, che più tardi, da Siddharta al Josef Knecht de Il gioco delle perle di vetro, si precisa come l’aristocratico ricercatore di una norma ideale, che il mondo fenomenico costringe tuttavia a immergersi nel suo flutto, perché solo il contatto con la materia consente allo spirito di elevarsi e di sublimarsi.
Nella vita Hesse non era così «romantico» come si potrebbe dedurre dai suoi romanzi e novelle, non era incline ad abbandonare una dimora stabile per vagare come il perdigiorno di Eichendorff, ma piuttosto a scegliersi un angolo tranquillo per dedicarsi a scrivere, dipingere, ascoltare musica, nella più grande serenità consentita a un mortale. Così si spiega la decisione di trasferirsi con la prima moglie, Maria Bernouilli, in una fattoria e poi in una casa di Gaienhofen, sul lago di Costanza, dove visse fra il 1904 e il 1912; a questo periodo risale anche la stesura di Gertrud. Lavora a questo romanzo – uscito presso l’editore Langen di Monaco nel 1910 – nell’inverno fra il 1908 e il 1909, quasi per dimenticare i rapporti difficili con la moglie, dalla quale ebbe tre figli; tanto che, dopo il viaggio in India del 1911, che fu una fuga deludente dalle angustie domestiche, il matrimonio si doveva risolvere con il divorzio. Gertrud tuttavia non deve essere interpretato in chiave rigidamente autobiografica: Kuhn, il protagonista, non è identificabile con lo scrittore. L’io narrante, dopo una infanzia e una adolescenza felice, durante una passeggiata nella neve, per compiacere un’amichetta capricciosa che egli corteggia, si rompe una gamba. «Da allora – confessa – sono uno storpio, in grado solo di zoppicare e non più di camminare o magari correre o ballare. Così alla mia giovinezza veniva assegnata una via verso più quiete contrade, da me imboccata non senza vergogna e riluttanza. Ma l’imboccai tuttavia, e talvolta mi sembra che per nessuna ragione vorrei fare a meno, nella mia vita, di quella gita serale in slitta e delle sue conseguenze.» Kuhn, che rivela una precoce vocazione per la musica, diviene violinista e compositore; tutti prevedono per lui una splendida carriera. Ma il difetto fisico gli preclude la volontà di conquistarsi la bella Gertrud, la quale preferisce sposare Heinrich Muoth, un cantante estroverso e sicuro di sé, con tutte le qualità che Kuhn non possiede. L’artista sa che Heinrich non saprà appagare l’ansia di felicità di Gertrud, una creatura tutta dedizione e purezza, e anche quando il rivale muore, resterà in disparte, incapace di profanare il dolore della donna che ha sempre amato in silenzio. Così sulla linea parallela al suo trionfo di musicista si consuma la tragedia dell’anima di uno straniero, di quell’essere romantico, piovuto dal cielo sulla terra senza avere perduto nulla della sua origine stellare.
Leggendo Gertrud sullo sfondo della tematica ricorrente nella narrativa tedesca degli inizi del secolo, possiamo individuarne tutte le analogie e le convergenze con i più celebri esempi coevi. Tutto il romanzo è costruito non tanto sull’amore frustrato di Kuhn per Gertrud, quanto sul contrasto fra Kuhn, umbratile figura di artista, e Muoth, che non ha perduto nulla della sua vitalità istintiva. Kuhn è dunque predestinato a soccombere di fronte a Muoth, perché, sulla falsariga del Tonio Kröger di Thomas Mann, l’arte è, di necessità, più fragile rispetto alla vita. Se ripensiamo al triangolo Tonio Kröger, Hans Hansen e Inge, dove Tonio si innamora della bella e bionda Inge, ma senza nessuna speranza concreta, perché la donna è attratta da Hans, riconosceremo tutte le affinità della novella di Mann con il romanzo di Hesse, posteriore di soli sette anni. Solo che in Tonio Kröger, l’esito non sarà così tragico e l’infatuazione del giovane per la donna e l’amico sarà soltanto un episodio della sua educazione sentimentale. Mentre in Gertrud, Kuhn che è innamorato della ragazza e insieme amico del rivale, porterà per tutta l’esistenza, anche dopo la morte di Muoth, i segni di quella esperienza antica, il ricordo di un sogno che doveva mantenere intatto il suo fascino primaverile, appunto per la sua irrealtà. Nel contesto del romanzo predominano le figure dei protagonisti, mentre i personaggi minori, la sventata Liddy, Brigitte, che sarebbe disposta a sposare Kuhn, o lo stesso padre di Gertrud, non incidono in profondità nel decorso dell’azione. La quale rimane conchiusa nelle sue linee essenziali, perché lo scrittore indugia soprattutto sulle atmosfere, sugli stati d’animo di Kuhn e di Gertrud, sui processi psicologici che si svolgono nella profondità dell’anima e si manifestano nei contatti quotidiani solo per rapidi cenni allusivi. Kuhn, fratello spirituale di Peter Camenzind, non troverà nel misticismo francescano ma nella musica la vera catarsi della sua passione.
Questa che presentiamo è la prima versione italiana di Gertrud, che in altri paesi ha conosciuto una notevole fortuna: per esempio in lingua inglese la prima edizione risale al 1955; nella progressiva riscoperta degli inediti di Hesse in Italia, era una lacuna da colmare, perché illumina un recesso rimasto finora inesplorato. Gertrud esprime il momento utopico dell’amore vissuto e idealizzato come dedizione assoluta, irripetibile, come più tardi Rosshalde sarà, sulla base di una tormentata autobiografia, la denuncia della crisi coniugale.
Roberto Fertonani

GERTRUD

I

Se dall’esterno percorro con lo sguardo la mia vita, essa non appare particolarmente felice. Meno che mai mi è possibile, tuttavia, giudicarla infelice, malgrado ogni errore. Ma infine, è davvero stolto preoccuparsi di felicità e infelicità, giacché a me sembra che farei maggiore difficoltà a privarmi dei giorni più infelici anziché di tutti quelli sereni. Se in una vita umana importa accettare consapevolmente l’ineluttabile, gustare appieno il bene e il male e conquistare oltre al destino esteriore anche uno interiore più autentico e non casuale, la mia vita non è stata né povera né cattiva. Se il destino esteriore ha sorvolato me, come tutti, ineluttabile e velato dagli Dei, la mia sorte interiore è stata tutta opera mia, la sua dolcezza o amarezza è dovuta a me e penso di doverne a me solo la responsabilità.
Talvolta, negli anni giovanili, ho desiderato di essere un poeta. Qualora lo fossi, non resisterei alla tentazione d’inseguire la mia esistenza fino alle ombre leggere dell’infanzia e alle care fonti, teneramente custodite, dei miei più antichi ricordi. Così, invece, tale possesso mi è troppo caro e sacro perch’io voglia sciuparlo con le mie mani. Della mia infanzia si può dire soltanto che è stata bella e serena: mi si è lasciata la libertà di scoprire da solo le mie tendenze e le mie doti, di crearmi da solo le gioie e i dolori più intimi, e di considerare l’avvenire non come un’estranea potenza dall’alto ma come la speranza e la conquista delle mie proprie forze. Sono così passato integro nelle scuole, come uno scolaro malvisto e poco dotato ma tranquillo, da lasciare in pace, dato che appariva intollerante di forti influssi.
A partire dal mio sesto o settimo anno circa, ho capito che di tutte le potenze invisibili la musica era destinata ad avvincermi con maggior forza e a dominarmi. Da quell’istante, ho avuto un mondo tutto per me, mio rifugio e mio paradiso, che nessuno poteva togliermi o sminuirmi e che non desideravo dividere con nessuno. Ero musicista, quantunque non imparassi a suonare nessuno strumento prima del dodicesimo anno, né pensassi di volermi guadagnare il pane più tardi facendo musica.
Da allora le cose sono rimaste così, senza alcun mutamento essenziale, e per tal ragione la mia vita non mi appare, retrospettivamente, né variopinta né multiforme bensì fondata fin dall’inizio su un tono di base e rivolta ad un’unica stella. Andassero bene o male le cose, la mia vita interiore rimaneva invariata. Potevo anche muovermi a lungo in ambienti estranei, non toccare né uno spartito né uno strumento, ma una melodia mi stava ad ogni ora nel sangue e sulle labbra, una cadenza e un ritmo nel respiro e nella vita. Per quanto avidamente cercassi per altre vie sollievo, oblio e liberazione, per quanto assetato fossi di Dio, di conoscenza e di pace, tutto questo io l’ho trovato sempre soltanto nella musica. Non era necessario si trattasse di Beethoven o di Bach: il solo fatto che nel mondo esista la musica, che un essere umano di quando in quando possa esser penetrato fin nell’intimo da cadenze e inondato di armonie, ha significato per me sempre una profonda consolazione e una giustificazione esistenziale. O musica! Ecco, ti viene in mente una melodia, la canti senza voce, nel tuo intimo, ne intridi tutta la tua sostanza, essa prende possesso di tutte le tue energie e dei tuoi movimenti – e durante gli attimi in cui vive dentro di te, essa estingue tutto ciò che vi è in te di casuale, di malvagio, di rozzo e di triste, allaccia risonanze col mondo, rende lieve ciò ch’è greve e alato ciò ch’è rigido! Tutto ciò può fare la melodia di un canto popolare! E l’armonia, poi! Già ogni accordo melodioso di puri suoni armonici, ad esempio in uno scampanìo, appaga l’animo con grazia e godimento, accrescendosi d’ogni altro suono consonante, e può talora accendere il cuore e far fremere di gaudio, come nessun’altra voluttà al mondo.
Di tutte le immaginazioni d’estasi pura, che popoli e poeti abbiano sogn...

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  2. Gertrud
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