Dracula
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Dracula

Bram Stoker, Francesco Saba Sardi

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  1. 528 pagine
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Dracula

Bram Stoker, Francesco Saba Sardi

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Scritto da Bram Stoker nel 1897, fin dal suo primo apparire Dracula ha fornito l'archetipo alle numerose storie di vampiri che si sono succedute nella letteratura e nel cinema. Ispirato alle figure storiche del principe romeno Vlad II detto Dracul («il diavolo») e di suo figlio Vlad III, l'Impalatore, Dracula-Nosferatu (colui che non muore, il morto vivente) è un personaggio più che mai inquietante. Nel tratteggiarlo Bram Stoker ha dato fondo a tutte le risorse della sua fantasia e a tutti gli espedienti di un calibratissimo mestiere. Da queste pagine si sprigiona così una magia che giunge fino alle soglie dell'incubo. Dracula rappresenta infatti in modo del tutto originale l'eterna vicenda della lotta tra il Bene e il Male, sullo sfondo di una storia che scaturisce direttamente dall'inconscio e, come tale, parla in termini che si impongono immediatamente alla fantasia di ciascuno di noi, per entrare nei nostri sogni più spaventosi. Né bastano esorcismi razionalistici a toglierle l'irresistibile suggestione, la possente ossessività che la pervade.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852031687

XII

DIARIO DEL DOTTOR SEWARD

18 settembre. Sono partito subito per Hillingham, dove sono arrivato di buon’ora. Lasciata la carrozza al cancello, ho imboccato senz’altro il viale. Ho bussato piano e ho suonato con la maggior discrezione possibile, perché temevo di disturbare Lucy o sua madre, e speravo di richiamare all’uscio soltanto una domestica. Dopo un po’, non ricevendo risposta, ho bussato e suonato ancora: di nuovo nessuna risposta. Ho maledetto la pigrizia delle fantesche che se ne stavano a letto a poltrire a quell’ora – erano ormai le dieci – e ho ripreso a bussare e suonare, con maggiore impazienza, ma ancora invano. Fino a quel momento, avevo dato la colpa alle domestiche, ma a questo punto mi sono sentito assalire da una terribile paura. Che quel silenzio fosse semplicemente un altro anello della catena di disgrazie che sembra attanagliarci? Che in effetti quella cui ero giunto – troppo tardi – fosse una casa di morti? Sapevo che minuti, addirittura secondi di ritardo potevano significare ore di pericolo per Lucy, caso mai avesse avuto ancora una di quelle sue spaventose ricadute, e così sono andato sul retro della casa, per vedere se potevo trovare il modo di entrarvi.
Niente da fare. Ogni porta e finestra erano chiuse e sbarrate, e sono tornato deluso al portico. In quella ho udito il rapido scalpitio degli zoccoli di un cavallo lanciato al galoppo e che s’è fermato al cancello; un istante dopo, ecco Van Helsing che correva lungo il viale. Come mi ha visto, ha ansimato:
«Dunque, siete voi. E giusto arrivato. Come è lei? Siamo noi troppo tardi? Avete voi ricevuto mio telegramma?»
Ho risposto, con la massima rapidità e precisione possibili, che il telegramma l’avevo ricevuto solo il mattino presto e che, senza perdere un istante, mi ero precipitato a Hillingham, ma che non ero riuscito a farmi sentire da nessuno in casa. Van Helsing si è fermato su due piedi, si è tolto il cappello e ha detto con tono solenne:
«Quand’è così, temo che noi troppo tardi. Volontà di Dio sia fatta.» Poi, dimostrando ancora una volta quella sua straordinaria capacità di ritrovare l’energia, ha soggiunto: «Venite. Se nessuna via è aperta per entrare, dobbiamo noi farne una. Tutto dipende da nostro tempo».
Siamo tornati sul retro della casa, a una finestra di cucina. Il professore ha cavato dalla valigetta una piccola sega chirurgica e, porgendomela, mi ha indicato le sbarre di ferro che proteggevano le finestre. Le ho aggredite immediatamente, e ben presto ne ho tagliate tre. Poi, con un lungo coltello sottile abbiamo sollevato il nottolino e aperto la finestra. Ho aiutato il professore a entrare per primo, e l’ho seguito. Nessuno in cucina né nelle stanze delle domestiche a questa adiacenti. Abbiamo guardato in tutti i locali che incontravamo sul nostro percorso, e quindi siamo giunti nella sala da pranzo, debolmente illuminata dalla luce che penetrava dalle persiane. Sul pavimento giacevano quattro domestiche. Non erano morte, ma il loro respiro stertoroso e l’aspro odore di laudano non lasciavano dubbi circa le loro condizioni. Il professore e io ci siamo scambiati un’occhiata, e mentre uscivamo Van Helsing ha commentato: «Di queste possiamo occuparci in un secondo momento». Siamo poi saliti alla stanza di Lucy, per un istante fermandoci all’uscio a origliare: nessun suono ne usciva, ed è stato con volti pallidi e mani tremanti che abbiamo aperto pian piano la porta e siamo entrati.
Come descrivere quel che abbiamo visto? Sul letto giacevano due donne, Lucy e sua madre, quest’ultima verso il muro e coperta con un bianco lenzuolo i cui lembi erano stati spostati dalla corrente d’aria che entrava dalla finestra infranta, sì da rivelare il volto esangue, scavato, improntato a un’espressione di terrore. Accanto a lei, Lucy, il volto pallido e ancor più marmoreo. I fiori che avrebbero dovuto starle al collo li abbiamo trovati sul petto della madre, e nuda aveva la gola che esibiva le due piccole ferite già in precedenza da noi notate, le quali però apparivano adesso orribilmente livide e smangiate. Senza una parola, il professore si è chinato col capo quasi a toccare il seno della povera Lucy, quindi, girandolo dall’altro lato, per ascoltare meglio, si è rialzato di scatto gridando:
«Non è troppo tardi! Presto! Presto! Portate brandy!» Sono volato dabbasso tornando con la caraffa, avendo però cura di annusarne e assaggiarne il contenuto, per timore che anch’esso fosse drogato come lo sherry che stava sul tavolo. Le fantesche respiravano adesso meno regolarmente, e ne ho dedotto che l’effetto del narcotico stava scemando. Senza perdere tempo ad accertarmene, sono tornato di corsa da Van Helsing, il quale, come la volta precedente, ha strofinato col brandy le labbra, le gengive, i polsi e i palmi delle mani di Lucy, dicendomi intanto:
«Io posso fare questo, io non posso fare di più al momento presente. Voi andate quelle fantesche a svegliare. Frizionate loro volto con un asciugamano bagnato, e con energia. Fate loro preparare caldo e fuoco e un bagno bollente. Questa poverina è quasi fredda come quella che le sta accanto. Occorre riscaldarla prima che noi possiamo fare altro di più.»
Sono sceso in fretta, e non mi è stato difficile svegliare tre delle donne. La quarta, una ragazzina, evidentemente aveva subito maggiormente l’effetto della droga, perciò l’ho deposta su un divano e l’ho lasciata dormire. Le altre erano un po’ intontite dapprima, ma a mano a mano che il ricordo tornava, eccole prendere a piangere e singhiozzare istericamente. Io però sono stato duro e ho ingiunto loro di tacere, facendo notare che un decesso era sufficiente e che, se avessero tardato ulteriormente, avrebbero segnato la sorte anche della signorina Lucy. E così, singhiozzando e lagnandosi, si sono accinte all’opera, semisvestite com’erano, preparando fuoco e acqua. Per fortuna i fornelli di cucina e lo scaldabagno erano ancora accesi, sicché l’acqua calda non faceva difetto. Abbiamo preparato un bagno e vi abbiamo immerso Lucy così come si trovava. Mentre eravamo occupati a massaggiarle le membra, si è udito bussare alla porta d’ingresso; una delle domestiche, dopo essersi sommariamente rivestita, è andata ad aprire; tornata, ci ha sussurrato che c’era un signore latore di un messaggio da parte del signor Holmwood. Mi sono limitato a dirle di farlo aspettare, essendo per il momento impossibile riceverlo. La donna è uscita a riferire e, tutto preso dal mio compito, mi sono completamente dimenticato di quel tale.
Mai in precedenza avevo visto il professore lavorare con tanta lena. Io sapevo, e lui sapeva, che si trattava di una lotta senza quartiere contro la morte, e in un attimo di pausa gliel’ho detto. La sua risposta non l’ho capita, ma comunque mi è stata data con volto improntato a un’espressione quanto mai grave:
«Se questo è tutto, io vorrei fermarmi qui dove noi siamo ora e lasciare lei spegnersi in pace, perché non vedo luce sopra orizzonte di sua vita.» Dopodiché ha proseguito il suo lavoro con vigore se possibile rinnovato e ancor più frenetico.
Un po’ alla volta, ci siamo resi conto che il calore cominciava a produrre qualche effetto. Il cuore di Lucy, auscultato con lo stetoscopio, batteva in maniera leggermente più udibile, l’attività dei polmoni si era fatta percettibile. Van Helsing era quasi raggiante, e quando l’abbiamo tolta dalla vasca e l’abbiamo avvolta in un lenzuolo caldo per asciugarla, mi ha detto:
«La prima mossa è nostra. Scacco al re.»
Abbiamo portato Lucy in un’altra stanza nel frattempo preparata, l’abbiamo messa a letto, le abbiamo versato in gola qualche goccia di brandy. Ho notato Van Helsing annodarle un morbido fazzoletto di seta al collo. Lucy era ancora incosciente e stava peggio di quanto mai fosse stata.
Van Helsing ha chiamato una delle domestiche ordinandole di restare con lei e di non staccarle gli occhi di dosso finché non fossimo tornati, quindi mi ha fatto cenno di seguirlo fuori dalla stanza.
«Dobbiamo consultare noi sul da fare» ha detto mentre scendevamo le scale. Giunti nell’atrio, ha aperto la porta della sala da pranzo, siamo entrati e ce la siamo chiusa con cura alle spalle. Le persiane erano state aperte, ma le tende già abbassate in obbedienza all’etichetta della morte che le donne inglesi di bassa estrazione continuano rigidamente a osservare. Di conseguenza, la stanza era in penombra, anche se la luce era sufficiente per i nostri scopi. Nell’espressione grave di Van Helsing si notava una sfumatura di perplessità. Con ogni evidenza, si stava lambiccando il cervello, così ho preferito aspettare in silenzio, finché si è deciso a dirmi:
«Che cosa dobbiamo fare? A chi rivolgerci per aiuto? Dobbiamo avere un’altra trasfusione di sangue, e questa subito, oppure vita di quella povera ragazza durerà nessuna ora. Voi siete già esausto; anch’io sono esausto. Io temo di fidarmi di quelle donne, anche se avessero il coraggio di prestarsi. Che cosa fare per trovare qualcuno che voglia aprire sue vene per lei?»
«E io, allora, non servo a niente?»
La voce si era levata dal divano dall’altra parte della stanza, e il suo tono è bastato a ridarmi gioia e sollievo, perché si trattava di quella di Quincey Morris. Van Helsing, che aveva avuto un sobbalzo di irritazione all’udirne il suono, si è raddolcito e un’espressione di contentezza gli si è dipinta in volto quando ho gridato «Quincey Morris!» precipitandomi verso di lui a braccia aperte.
«Qual buon vento ti porta?» gli ho chiesto mentre gli stringevo la mano.
«Vengo da parte di Art.» E mi ha porto un telegramma così concepito:
“Manco notizie Seward da tre giorni, e sono in terribile ansia. Stop. Impossibile partire. Stop. Papà sempre stesse condizioni. Stop. Fatemi sapere notizie Lucy al più presto. Stop. Holmwood.”
«Credo di essere arrivato proprio al momento giusto» ha soggiunto Quincey. «Avete da dirmi soltanto quel che devo fare.»
Van Helsing si è fatto avanti, gli ha preso la mano guardandolo fisso negli occhi, e ha replicato:
«Il sangue di uomo coraggioso è cosa migliore in questa terra quando una donna è in difficoltà. Voi siete un uomo, e non errore su questo. Bene, il diavolo può lavorare contro di noi con tutte sue energie, ma Dio manda a noi uomini quando ci occorrono.»
Una volta ancora, abbiamo eseguito la cruenta operazione, e non ho cuore di riferirne i particolari. Lucy aveva subito un trauma terribile, quasi insuperabile, tant’è che, sebbene nelle sue vene sia fluita una gran quantità di sangue nuovo, il suo organismo non reagiva come nelle occasioni precedenti. La lotta che ha sostenuto per tornare in vita è stata straziante a vedersi e a udirsi. Tuttavia, l’attività sia del cuore che dei polmoni è andata migliorando, e Van Helsing le ha praticato un’iniezione subcutanea di morfina, come già aveva fatto, e con effetti positivi, in precedenza. Lo stato di collasso si è tramutato in sonno profondo. Il professore è rimasto a sorvegliarla mentre io scendevo dabbasso con Quincey Morris e spedivo una delle domestiche a pagare uno dei cocchieri in attesa davanti a casa. Ho lasciato Quincey disteso dopo avergli somministrato un bicchiere di vino, dicendo alla cuoca di preparare un’abbondante colazione. Poi, mi è sovvenuto qualcosa e sono tornato nella stanza dove si trovava adesso Lucy. Vi sono entrato in punta di piedi, e ho trovato Van Helsing con un foglietto di taccuino in mano. Evidentemente, l’aveva letto e ora era intento a meditare, seduto con una mano alla fronte, un’espressione di amara soddisfazione in volto quasi avesse trovato la risposta a un dubbio. Mi ha porto il foglietto dicendo soltanto: «È caduto di seno di Lucy mentre noi portiamo essa in bagno».
Dopo averlo letto, sono rimasto a guardare il professore, e finalmente gli ho chiesto: «Ma in nome di Dio, che cosa significa tutto questo? Era o è impazzita? O di quale specie di orrendo pericolo si tratta?». Ero talmente sbalordito, da non sapere che altro aggiungere. Van Helsing ha ripreso il foglietto e ha replicato:
«Per il momento non arrovellatevi. Dimenticate esso, ora. Voi verrete a conoscere e capire tutto quanto in buon tempo; ma questo sarà più tardi. E adesso, che cosa voi siete venuto a me dire?» Questo mi ha riportato alla realtà, e ho recuperato tutte le mie facoltà.
«Sono venuto a parlarvi del certificato di morte. Se non agiamo con prudenza e saggezza, potrebbe esserci un’inchiesta, e saremmo costretti a presentare quel foglietto. Spero che potremo evitare l’inchiesta, perché ucciderebbe senz’altro la povera Lucy, se null’altro finora ci è riuscito. Io so, e voi sapete, e lo sa l’altro medico che l’aveva in cura, che la signora Westenra era malata di cuore, e possiamo dichiarare senz’altro che ne è morta. Compiliamo dunque immediatamente il certificato, che io stesso porterò all’anagrafe e all’impresa di pompe funebri.»
«Buono, amico mio John! Bene pensato! Davvero signorina Lucy, se è triste per nemici che la perseguitano, è perlomeno felice negli amici che amano lei. Uno, due, tre, tutti aprono vene per lei, senza contare un vecchio uomo. Ah, sì, io so, amico John, io non sono cieco! Io amo voi ancora di più per questo! Ora andate, andate.»
Nell’atrio ho trovato Quincey Morris con un telegramma per Arthur in cui gli si comunicava che la signora Westenra era morta; che anche Lucy era stata molto male, ma che adesso le sue condizioni miglioravano, e che Van Helsing e io le eravamo accanto. Gli ho riferito dove stavo andando, e Quincey Morris mi ha esortato a far presto, ma mentre uscivo mi ha trattenuto per dirmi:
«Quando ritorno, Jack, posso parlarti a quattr’occhi?» Ho annuito e sono corso fuori. Non ho avuto difficoltà con l’anagrafe, e mi sono accordato con l’impresa perché venissero in serata a prendere le misure per la bara e a preparare tutto l’occorrente.
Al ritorno, ho trovato Quincey che mi aspettava. Gli ho detto che sarei stato da lui non appena avessi visto Lucy, e sono andato di sopra. Stava ancora dormendo, e sembrava che il professore non si fosse mosso dal suo capezzale. Si è portato il dito alle labbra, e ne ho arguito che si aspettava che si svegliasse al più presto e che non voleva intralciare l’opera della natura. Sicché sono tornato da Quincey e l’ho portato nella saletta da colazione, dove le tende non erano abbassate e l’atmosfera era un po’ più allegra o, per meglio dire, meno cupa che nelle altre stanze. Rimasti soli, mi ha detto:
«Jack Seward, non vorrei impicciarmi di faccende che non mi riguardano, ma questo è un caso eccezionale. Sai bene che ho amato quella ragazza e che avrei voluto sposarla. Ma, sebbene si tratti di cosa passata, non posso non sentirmi in ansia per la sua salute. Perché diavolo sta tanto male? L’olandese – e si tratta di una persona straordinaria, questo si vede subito – ha detto, quando siete entrati in sala da pranzo, che dovevate procedere a un’altra trasfusione di sangue, e che sia tu che lui siete esausti. Ora, so benissimo che voialtri medici parlate tra voi in camera, e che nessun altro deve essere messo al corrente delle vostre consultazioni segrete. Ma questo, ripeto, è un caso eccezionale. E, comunque sia, io la mia parte l’ho fatta. Dico bene?»
«Dici bene» ho convenuto, e lui ha ripreso:
«Devo dedurne che sia tu che Van Helsing avete già fatto la stessa cosa. È così?»
«È così.»
«E immagino che questo valga anche per Art. Quando, quattro giorni fa, sono stato a casa sua, mi è sembrato strano. Non ho mai visto nessuno deperire così rapidamente da quando ero nelle pampas e una giumenta, alla quale ero molto affezionato, è stata liquidata nel giro di una notte. Uno di quei grossi pipistrelli che chiamano vampiri l’aveva assalita nell’oscurità, e tra il sangue succhiato e la vena rimasta aperta, non gliene era rimasto tanto da reggersi in piedi, e ho dovuto spararle il colpo di grazia mentre giaceva a terra. Jack, se puoi dirmelo senza tradire un segreto, Arthur è stato il primo, vero?» Il poveretto aveva un’aria terribilmente ansiosa mentre così parlava. Lo tormentava il pensiero della sorte della donna che amava, e il fatto di essere completamente all’oscuro del tremendo mistero che sembrava circondarla, non faceva che intensificare la sua pena. Il suo cuore sanguinav...

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