Il figlio del cimitero
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Il figlio del cimitero

  1. 352 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

Ogni mattino Bod fa colazione con le buone cose che prepara la signora Owens. Poi va a scuola e ascolta le lezioni della signorina Lupescu. E il pomeriggio passa il tempo con Liza, sua compagna di giochi. Bod sarebbe un bambino normale. Se non fosse che Liza è una strega sepolta in un terreno sconsacrato. La signorina Lupescu una belva dai canini affilati. E la signora Owens è morta secoli fa. Bod era ancora in fasce quando è scampato all'omicidio della sua famiglia gattonando fino al cimitero sulla collina, dove i morti l'hanno accolto e adottato per proteggerlo dai suoi assassini. Da allora è Nobody, e grazie a un dono della Signora sul cavallo grigio sa comunicare con i morti. Dietro le porte del cimitero nessuno può fargli del male. Ma Bod è un vivo, e il richiamo del mondo oltre il cancello è forte. Un mondo in cui conoscerà l'amicizia dei suoi simili, ma anche l'impazienza di un coltello che lo aspetta da quattordici lunghissimi anni… Tra il romanzo classico e la fiaba dark, una storia magica e affascinante come solo Gaiman poteva immaginarla; "un genio", nelle parole dello scrittore e regista Clive Barker, "che cucina le sue storie come un cuoco pazzo preparerebbe una torta nuziale: strato su strato, amalgamando nella stessa miscela ingredienti dolci e amari."

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804601739
eBook ISBN
9788852033841

CAPITOLO SETTE

Tutti i Jack del mazzo

In quegli ultimi mesi, Silas era stato in agitazione. Aveva cominciato ad assentarsi dal cimitero per giorni, a volte per intere settimane. Nel periodo natalizio, la signorina Lupescu era venuta a prendere il suo posto e Bod aveva diviso i pasti con lei nel suo piccolo appartamento alla Città Vecchia. La signorina Lupescu l’aveva persino portato a vedere una partita di calcio, come gli aveva promesso Silas, ma poi era ripartita per tornarsene in quel luogo che lei chiamava “La vecchia Nazione”, non senza aver dato un buffetto sulla guancia al ragazzo e averlo chiamato “Nimini”, il vezzeggiativo che aveva trovato per lui.
Così, adesso, Silas mancava e non c’era nemmeno la signorina Lupescu. Il signore e la signora Owens erano seduti a parlare con Josiah Worthington nella sua tomba. Nessuno di loro era di buon umore.
— Volete dire che non ha spiegato a nessuno di voi né dove andava né come fare con il ragazzo? — chiese Josiah Worthington. Gli Owens scossero il capo.
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— Be’, ma si può sapere dov’è ora? — chiese.
Nessuno dei due genitori seppe rispondere. — Non si era mai allontanato così a lungo prima d’ora — osservò il signor Owens. — Aveva promesso, quando il bimbo ci fu affidato, che se si fosse assentato avrebbe chiamato qualcun altro, per aiutarci ad accudirlo. L’aveva promesso.
— Ho paura che possa essergli successo qualcosa — soggiunse la signora Owens. Pareva sul punto di piangere, ma il pianto si trasformò in rabbia e sbottò: — Non poteva comportarsi peggio! Non c’è modo per trovarlo, per richiamarlo qui?
— Nessuno, che io sappia — disse Josiah Worthington. — Ma credo abbia lasciato del denaro nella cripta, per il cibo del ragazzo.
— Denaro! — sbottò la signora Owens. — E che cosa ce ne facciamo del denaro?
— Bod avrà bisogno di soldi, se deve uscire a comprarsi da mangiare — cominciò a dire il signor Owens, ma la moglie lo interruppe, adirata. — Siete dei mostri, tutti quanti! — esclamò.
E corse via dalla tomba dei Worthington, per andare in cerca del figlio. Lo trovò, come aveva immaginato, in cima alla collina, intento a scrutare la città.
— Un soldo per i tuoi pensieri — gli disse la signora Owens.
— Non ce l’hai, un soldo — fece Bod. Aveva quattordici anni, ormai, ed era più alto della madre.
— Ho un paio di monetine nella bara — disse la signora Owens. — Sono un po’ arrugginite, forse, ma le ho.
— Stavo pensando al mondo — le confidò Bod. — Come facciamo a essere davvero certi che la persona che ha ucciso la mia famiglia sia ancora viva? Che sia ancora in circolazione?
— Silas dice che è così.
— Però non ci dice nient’altro — fece Bod.
— Vuole solo il meglio per te. Lo sai.
— Tante grazie — replicò Bod, poco convinto. — E allora dov’è adesso?
La signora Owens non rispose.
— Tu hai visto l’uomo che ha ucciso la mia famiglia, vero? — le chiese Bod. — Il giorno in cui mi avete adottato.
La signora Owens annuì.
— Che aspetto aveva?
— In quel momento non avevo occhi che per te… ma fammici pensare. Aveva i capelli scuri, molto scuri. Mi faceva paura. Aveva un’espressione malvagia. Affamata e rabbiosa al tempo stesso. Fu Silas a scacciarlo.
— Perché non lo uccise e basta? — chiese Bod, infastidito. — Sarebbe bastato ucciderlo, allora.
La signora Owens sfiorò la mano di Bod con le sue dita fredde. — Non è un mostro, Bod.
— Se Silas l’avesse ucciso allora, adesso sarei al sicuro. Potrei andarmene dove voglio.
— Silas ne sa più di te su tutta questa storia, più di tutti noi. Sa tutto sulla vita e sulla morte — disse la signora Owens. — Non è così semplice.
— Come si chiamava l’uomo che li ha uccisi?
— Non lo disse. Non allora.
Bod inclinò il capo e la guardò con occhi grigi come le nubi che portano il temporale. — Ma tu lo sai, vero?
— Non c’è nulla che tu possa fare, Bod.
— Certo che sì. Posso imparare. Posso imparare tutto quel che mi serve. Ho imparato che cosa sono le Porte dei ghoul. Ho imparato a fare le Incursioni Oniriche. La signorina Lupescu mi ha insegnato a osservare le stelle. Silas mi ha insegnato il silenzio. So infestare. So svanire. Conosco ogni centimetro di questo cimitero.
La signora Owens allungò una mano e toccò la spalla del figlio. — Un giorno… — cominciò a dire, ma esitò. Un giorno, non sarebbe stata più in grado di toccarlo. Un giorno, li avrebbe lasciati. Un giorno. Poi soggiunse: — Silas mi ha detto che l’uomo che ha ucciso la tua famiglia si chiamava Jack.
Bod annuì col capo. — Madre?
— Cosa c’è, figliolo?
— Quando torna Silas?
Il vento della mezzanotte era freddo e soffiava dal Nord.
La signora Owens non era più arrabbiata. Aveva solo paura per suo figlio. E disse solamente: — Vorrei tanto saperlo, piccolo mio, vorrei tanto saperlo.
Scarlett Amber Perkins aveva quindici anni e, in quel momento, sedeva al piano superiore di un vecchio autobus a due piani ed era un concentrato d’odio. Odiava i genitori perché si erano separati; odiava la madre perché se n’era andata dalla Scozia; odiava il padre perché non sembrava curarsi del fatto che la moglie se ne fosse andata. Odiava quella città perché era diversissima; non aveva nulla a che vedere con Glasgow, dove lei era cresciuta, e la odiava perché ogni tanto, svoltato un angolo, le accadeva di vedere qualcosa e il mondo intero diventava dolorosamente, orribilmente familiare.
Aveva perso le staffe con sua madre, quella mattina. — Almeno a Glasgow avevo degli amici! — le aveva detto, ma senza gridare né piangere. — Non li vedrò mai più!
E l’unica cosa che la madre aveva saputo rispondere era stata: — Se non altro sei in un posto dov’eri già stata. Quand’eri bambina abitavamo qui.
— Non me ne ricordo — aveva detto Scarlett. — E comunque questo non significa che io conosca ancora qualcuno. Vuoi che vada a cercarmi gli amichetti di quando avevo cinque anni? È questo che vuoi?
— Be’, non te lo impedirei di certo — aveva risposto la madre.
Scarlett era stata furibonda per tutta la mattinata, a scuola, e lo era ancora. Detestava la scuola e detestava il mondo, e in quel preciso momento detestava anche gli autobus che attraversavano la città.
Ogni giorno, al termine delle lezioni, il bus 97 diretto in centro la portava dai cancelli dell’istituto fino alla fine della via, dove sua madre aveva preso un piccolo appartamento in affitto. Quel giorno ventoso di aprile Scarlett aveva atteso alla fermata per quasi mezz’ora e non era apparso nessun 97, così non appena aveva visto un 121 con destinazione “Centro” era salita a bordo. Ma nel punto dove il solito bus svoltava a destra, questo invece aveva girato a sinistra, si era immesso nella Città Vecchia, aveva superato i giardini nella piazza del vecchio municipio e la statua del baronetto Josiah Worthington, e aveva cominciato a salire per una collina ventosa punteggiata di alti edifici a schiera, proprio mentre il cuore della ragazza sprofondava e all’ira si sostituiva l’angoscia.
Scarlett scese al piano inferiore, si avvicinò al posto di guida, vide la targhetta che vietava di parlare al conducente quando il veicolo era in movimento e disse: — Mi scusi… io volevo andare ad Acacia Avenue.
L’autista, un donnone dalla pelle più scura di quella di Scarlett, le rispose: — Avresti dovuto prendere il 97.
— Ma questo doveva andare in centro.
— È il capolinea. Una volta arrivata lì, dovresti comunque tornare indietro. — La donna sbuffò. — La cosa migliore che puoi fare è scendere qui e poi ridiscendere a piedi dalla collina. C’è una fermata di fronte al vecchio municipio. Da lì puoi prendere il 4 o il 58, ti porteranno entrambi quasi fino ad Acacia Avenue. Puoi scendere vicino al centro sportivo e da lì andare a piedi. Capito tutto?
— Il 4 o il 58.
— Ti lascio qui. — Era una fermata a richiesta sul fianco della collina, subito dopo un paio di cancellate aperte, e aveva un aspetto lugubre e ben poco invitante. Scarlett rimase davanti alla portiera aperta dell’autobus finché l’autista non la esortò: — Su, scendi. — La ragazza scese sul marciapiede e l’autobus si rimise in movimento sputando fumo nero.
Il vento scuoteva gli alberi al di là del muro di cinta.
Scarlett cominciò a scendere a piedi per la collina. Ecco perché le serviva un cellulare, pensò. Se tardava anche solo di cinque minuti, sua madre dava di matto, ma si ostinava a non volerle comprare un telefonino tutto per sé. Perfetto. Avrebbe dovuto affrontare un’altra lite furibonda. Non sarebbe stata comunque la prima, né di certo l’ultima.
Adesso era all’altezza dei cancelli aperti. Guardò all’interno e…
— Che strano — disse, ad alta voce.
C’è un’espressione, “déjà vu”, che indica la sensazione di essere già stati in un posto, di aver sognato o, chissà come, di aver già vissuto una data situazione nella propria mente. A Scarlett era successo: aveva avuto la sensazione di aver già sentito l’insegnante che raccontava di essere stata in vacanza a Inverness, o che qualcuno avesse già fatto cadere un cucchiaio a quel modo. Ma quello che stava provando adesso era differente. Non era la semplice impressione di essere già stata lì. Era una cosa reale.
Scarlett oltrepassò il cancello aperto ed entrò nel cimitero.
Mentre varcava l’ingresso, una gazza si levò in volo, un lampo di nero e bianco e verde iridescente, e si posò tra i rami di un tasso a osservare Scarlett. “Dietro quella curva” pensò la ragazza “c’è una chiesa, e di fronte una panchina.” Superata la curva vide infatti una chiesa, anche se molto più piccola di quella nella sua mente, un sinistro edificio gotico di pietra grigia da cui si ergeva una guglia. Di fronte, c’era una panchina di legno logora. Scarlett si avvicinò, si sedette e ciondolò le gambe come se fosse stata ancora una bambina.
— Ehi… ehm… ehi? — disse una voce dietro di lei. — Perdoni la sfacciataggine, davvero, ma non è che mi aiuterebbe a tener giù questo… ehm, avrei davvero bisogno di un altro paio di mani, se non le dà troppo incomodo…
Scarlett si guardò intorno e vide un uomo con un impermeabile marrone chiaro, chino di fronte a una lapide. Teneva fermo con la mano un grande foglio di carta, che veniva sbatacchiato dal vento. Gli corse incontro.
— Tenga forte qui — disse l’uomo. — Una mano qui, una lì, ecco. Richiesta sgarbatissima, lo so. Le sono i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il figlio del cimitero
  3. Capitolo Uno - Come accadde che Bod giunse al cimitero
  4. Capitolo Due - La nuova amica
  5. Capitolo Tre - I Mastini di Dio
  6. Capitolo Quattro - La lapide della strega
  7. Capitolo Cinque - Macabradanza
  8. Interludio - La Confraternita
  9. Capitolo Sei - I giorni di scuola di Nobody Owens
  10. Capitolo Sette - Tutti i Jack del mazzo
  11. Capitolo Otto - Partenze e addii
  12. Copyright