
- 308 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Palladion
Informazioni su questo libro
Dalla Turchia alle sponde del Tirreno, sulle tracce del mitico Palladio, la più sacra immagine della dea Atena, un archeologo insegue indizi vecchi di secoli. Ma la maledizione e gli intrighi d'un tempo si rivelano ancora densi di oscure minacce. Braccato da troppi nemici, dovrà fare appello a tutto il suo coraggio e a tutta la sua freddezza. E la sua mossa vincente è degna di un grandissimo stratega...
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Informazioni
Print ISBN
9788804350057eBook ISBN
9788852035722PARTE TERZA
Il sesto angelo versò il suo calice
nel gran fiume Eufrate
per preparare l’invasione dei re
che sarebbero venuti dall’Oriente,
e il fiume inaridì.
Apocalisse 16,12
III
Torre Rossa, nei dintorni di Roma, 10 giugno, ore 16
«Professore, venga fuori, ci sono quelli della televisione, del tigiuno, che le vogliono fare l’intervista» disse un assistente sporgendosi dall’orlo dello scavo.
«Ci volevano anche quelli… dove stanno, accidenti…»
L’archeologo emerse dalla trincea con una sigaretta tra i denti, e un frammento di argilla figulina nella mano destra, guardando dalla parte sbagliata. Alle sue spalle, poco distante dall’area di scavo, attendeva un gruppetto di persone munite di telecamere portatili, cavalletti, lampade e registratore. Li guidava un signore sulla cinquantina con spessissime lenti ed espressione vagamente stralunata.
«Di qua, professore, dove guarda!» insistette il giovanotto.
Paolo Emilio Quintavalle, quarant’anni rampanti, folti baffi e folta capigliatura nera, si girò abbottonandosi la camicia e saltò fuori dalla fossa. Il capo della troupe si fece avanti con un largo sorriso tendendogli la mano: «Molto piacere, professore, mi chiamo Biagini, Giorgio Biagini, della prima rete nazionale. Come le ho detto ieri al telefono son qua per intervistarla sulla sua recente scoperta».
«Il piacere è mio» fece Quintavalle buttando la cicca dell’Emmeesse. «Allora, se vogliamo cominciare… perché poi avrei da fare.»
«Come no, professore, siamo già pronti.» Il regista fece un cenno e i due operatori si piazzarono con le telecamere mentre l’addetto alle luci, carico di lampade, si dava da fare per schiarire le ombre violente del pomeriggio estivo.
Quintavalle ammiccò all’impatto dei duemila watt dei riflettori mentre l’obiettivo andava a fuoco sul suo profilo proconsolare.
«Gentili telespettatori,» esordì fuori campo la voce dell’intervistatore «ci troviamo con la nostra troupe nei pressi dell’antica Lavinium. Qui una leggenda dice che sbarcò Enea profugo da Troia e fondò questa città dando origine alla nazione latina. Il professor Quintavalle dell’Università di Roma è l’autore di una scoperta sensazionale: sulla base di antichi documenti egli ha individuato non solo il punto esatto dello sbarco,» il secondo operatore si buttò con tutto lo zoom di cui disponeva sulla spiaggia di Torvaianica devastata dalla speculazione edilizia «ma ha individuato e portato alla luce la tomba stessa dell’eroe. Ora, professore,» continuò Biagini offrendosi alla seconda telecamera «vorrebbe spiegare ai nostri spettatori come è riuscito in questa eccezionale impresa?»
«Veramente…» prese a dire Quintavalle accendendosi un’altra sigaretta e sbuffando una larga nube di fumo verso l’obiettivo. «Veramente questa non è la tomba di Enea ma una sepoltura del bronzo inferiore o dell’inizio dell’età del ferro. Si tratta di una tomba a tumulo che gli antichi Romani identificarono con quella di Enea aggiungendovi nel IV secolo un avancorpo per conferirle dignità monumentale. In realtà non sappiamo chi fosse il guerriero, il capo, sepolto nel cassone di tufo all’interno del tumulo…»
«Stop! Stop! Ferma tutto!» gridò Biagini volgendosi spiritato ai suoi uomini poi, rivolto a Quintavalle: «Ma professore, come sarebbe a dire? Questa non è la tomba di Enea? Ma io credevo…».
«Vede, caro Biagetti…»
«Biagini.»
«Scusi. Dunque dicevo, signor Biagini, che questa non è la tomba di Enea ma quella che gli antichi Romani credevano fosse la tomba di Enea.»
«C’è un bel cavolo di differenza…» disse Biagini quasi tra sé «ma allora…»
«È una fregatura, dice lei.»
«Non proprio ma…»
«Amico mio,» cercò di spiegare Quintavalle al suo desolato interlocutore «ammesso che Enea sia esistito veramente, sul che sussistono dei dubbi, le probabilità che i suoi resti si trovino in quella tomba sono quasi nulle. Vede, noi siamo partiti da una testimonianza di Dionigi di Alicarnasso che descriveva l’heroon di Enea, ossia il suo monumento funebre. Su quella base lo abbiamo localizzato e ora stiamo completando l’analisi del complesso: l’importanza della scoperta sta nel fatto che una testimonianza antica si è rivelata attendibile e oltre a ciò, se vuole, l’aver messo in luce un monumento che per gli antichi Romani ebbe un valore simbolico enorme e un’importanza fondamentale per la loro cultura e per la loro tradizione religiosa. Il resto conta ben poco.»
«Insomma Enea non c’entra per niente» disse Biagini ormai indisponente.
«Cristo,» sbottò Quintavalle che stava perdendo le staffe «i Romani hanno considerato per secoli questo luogo come il sacrario dell’origine della loro nazione. Non le basta?»
«I suoi ragionamenti non fanno una grinza, professore, ma vede, a me avevano detto…»
«Ho capito, ho capito: le avevano detto che era stata trovata la sepoltura di Enea e in un certo senso è vero. Guardi, nessuno ha mai dimostrato che il Santo Sepolcro sia stato veramente il sepolcro di Gesù Cristo, eppure milioni di pellegrini lo hanno visitato nel corso dei secoli e decine di migliaia di uomini si sono scannati durante le crociate per impadronirsene. A questo punto non ha importanza se in quella tomba è stato veramente deposto il corpo di Cristo, ha importanza ciò che milioni e milioni di persone hanno creduto, ha importanza la loro volontà di identificare in un oggetto materiale, concreto, una reliquia della loro storia religiosa e spirituale… non so se mi spiego» concluse aspirando un’ultima boccata di fumo dal mozzicone esausto.
«Lei ha tutte le ragioni,» riprese mellifluo Biagini «e afferro i suoi argomenti. Lei però deve essere così gentile da venirmi incontro. Vede, i telespettatori non apprezzerebbero una distinzione, perdoni, tanto sottile. Se lei potesse dire…»
«Spiacente, Biagini. Guardi, al mondo tutto è possibile e quindi è possibile che sia esistito Enea, che sia sbarcato da queste parti e che le sue ossa siano state trasferite da un posto all’altro nei secoli fino a trovarsi in questa tomba, ma francamente le possibilità mi sembrano scarse. Davvero, non posso dirle più di quello che ho detto.» Poi, vedendo l’espressione sempre più sconsolata del regista: «Senta, le giuro che anche a me piacerebbe credere che là dentro c’era il corpo di Enea» aggiunse. «Anche gli archeologi hanno un cuore, cosa crede. Ma non posso. Sia bravo, si accontenti.»
Finalmente domato, il regista si rassegnò alla dolorosa mutilazione di quello che gli pareva il pezzo forte del suo servizio e si accontentò di un’intervista non troppo tecnica, di qualche ripresa degli scavi, di una descrizione del piccolo heroon. Poi, concluso senza molta convinzione il suo lavoro, se ne andò. Quintavalle ritornò sullo scavo ma ormai si era fatto tardi: «Ragazzi,» disse agli studenti «per oggi ormai possiamo chiudere. Domani completerete la numerazione degli ultimi reperti e i rilievi fotografici della stratigrafia; lunedì faremo un ultimo tentativo sulla collina prima di chiudere la campagna, che ormai abbiamo anche finito i soldi. Vi auguro un buon fine settimana. Dimenticavo: lunedì dovrebbe arrivare anche quell’archeologa americana, Elizabeth Allen; ripassatevi un po’ d’inglese».
«Professore, dicono che è uno schianto» disse l’assistente che aveva annunciato la troupe della televisione.
«Il che non guasta,» disse l’archeologo strizzando l’occhio «non guasta affatto.»
Raggiunse l’auto parcheggiata nel cortile di una fattoria e si avviò in direzione di Roma. C’era ancora una bella luce dorata e la strada si snodava in ampie curve tra i colli boscosi. La percorreva ormai da settimane tornando dagli scavi e gli sembrava che avrebbe potuto guidare a occhi bendati. Arrivò sul raccordo anulare che erano ormai le sette e accese la radio per ascoltare il giornale della sera. Lo speaker annunciava in quel momento le notizie dall’estero: massicce manovre navali nel Mediterraneo meridionale, duelli di artiglieria sul fiume Litani, battaglia di carri armati sul fiume Charun.
“Il Charun… è l’antico Choaspes, se non sbaglio,” pensò fra sé “l’idronimo originale è andato perduto…”
Parcheggiò sotto casa alle sette e mezzo, un record con quel traffico.
Roma, 12 giugno, ore 23.15
Paolo Quintavalle non riusciva a prendere sonno; si rigirava nel letto pensando a ciò che aveva scoperto nella sua campagna di scavo. In poco più di un mese di lavoro era giunto a un risultato eccezionale e doveva fermarsi proprio ora che stava raccogliendo i frutti di uno studio di anni. Non c’erano ormai più soldi nella dotazione del suo Istituto e il principale obiettivo della sua ricerca, forse a portata di mano, avrebbe potuto sfuggirgli. Gli ultimi saggi avevano rivelato la presenza di oggetti votivi: doveva esserci il santuario nelle vicinanze, forse il santuario dei penati di Troia, il più venerato sacrario della nazione latina. Sì, perbacco, se il piccolo heroon segnava il punto in cui gli antichi Romani ponevano la tomba di Enea, il santuario non poteva essere lontano…
E tutta quella maledetta pubblicità della televisione! I tombaroli non avevano certo problemi di fondi né di tempo. Appena avesse chiuso il cantiere quelli si sarebbero fatti vivi trapanando il suolo con le loro fottutissime sonde meccaniche.
Si alzò badando a non svegliare la moglie e andò a sedersi nel suo studio accendendo una sigaretta. Eppure aveva notato qualcosa di strano quel pomeriggio sul cantiere prima che arrivassero quelli della TV a distrarlo… Ma che cos’era, accidenti… era qualcosa che non quadrava con la stratigrafia… era… ma sì, quella sabbia gialla! C’era un’area di qualche metro quadro tutta di sabbia gialla, mentre tutto attorno c’era solo terra rossa o tufo. Che fosse il terreno di riporto delle fondazioni del santuario? O forse di una fossa sacra?
Frugò fra le sue carte, trovò i disegni, le foto aeree… Cristo, il posto era adatto, non poteva essere altrimenti… C’era qualcosa là sotto, c’era qualcosa sotto quella sabbia gialla!
La pendola del corridoio batté la mezza. E chi riusciva a tornare a letto adesso? Prese il telefono e chiamò il guardiano notturno a Torre Rossa. Il campanello squillava ma nessuno veniva a rispondere; quando stava ormai per riattaccare sentì la voce del guardiano.
«Nino, sono Quintavalle. Scusa, sono in pensiero per il cantiere e volevo sentire se tutto è in ordine… ma dove ti eri cacciato?»
«A professo’, me deve scusare, ma qui è mancata la luce, semo tutti ar buio… me so’ anche inciampato pevveni’ arrisponne… Sì, sì, è tutto tranquillo, ’un se preoccupi che ce so’ qua io…»
«Va bene, Nino, ma mi raccomando, sta’ in campana… è molto importante.»
“Maledizione” pensò “ci voleva anche questa.” Chiamò la centrale dell’Enel: «Scusi, vorrei sapere se a Torre Rossa la corrente mancherà ancora per molto… sa, ho un freezer con della carne laggiù…».
«Torre Rossa?» rispose il tecnico di turno. «È il distretto di Pomezia… aspetti un momento che controllo… Ecco, Pomezia… Ma non c’è nessun guasto su quella rete, signore, è tutto in ordine, non ci sono guasti. Ma scusi, lei da dove chiama?»
Grottaferrata, abbazia di San Nilo, ore 23.45
L’archimandrita Demetrios XII era molto stanco. Aveva lavorato fino a tardi per mettere a punto il suo intervento per il sinodo del giorno 14 e poi aveva dovuto sbrigare della corrispondenza urgente. Terminate le sue orazioni si alzò dall’inginocchiatoio e fece per coricarsi ma si fermò a un tratto tendendo l’orecchio. Aveva sentito un rumore, il cigolio di un cancello e poi dei passi. Andò alla finestra e guardò nel cortile: era deserto e il cancello che dava sull’esterno era chiuso. Eppure non si era sbagliato, in quel gran silen...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Palladion
- Antefatto
- Parte prima
- Parte seconda
- Parte terza
- Parte quarta
- Epilogo
- Copyright