New York, 15 gennaio 2015
George Saunders guidava a passo d’uomo la sua vecchia Ford nel traffico congestionato del rientro. Un orologio sul marciapiede segnava le 17. Davanti al Metropolitan erano sopravvissute un po’ di luci natalizie e il cartellone annunciava I pagliacci di Leoncavallo. Ai lati della strada un argine di neve sporca e ghiacciata gli dava un senso di abbandono e di malinconia, la radio diffondeva la voce altrettanto sporca e gelida di Billy Dog, il rapper più alternativo del momento. Chissà perché ascoltava quella roba, in realtà a lui piaceva l’opera. Ricordò di essere andato una volta al Metropolitan a vedere Turandot di Puccini e con due biglietti di palco di prima fila.
Indossava la giacca nera di gala dell’uniforme da ufficiale dei marines e Janet sedeva accanto a lui in abito blu lungo, con lo spacco sulla sinistra fino a mezza coscia. Aveva atteso con ansia che Stefano Salvini intonasse Nessun dorma perché quella romanza gli metteva i brividi lungo la schiena e, quando il tenore toccò il si acuto con l’ultimo «vincerò!», si alzò in piedi ad applaudire freneticamente. Dio, quelli erano giorni! E notti…
Al primo semaforo rosso accese una sigaretta sotto lo sguardo scandalizzato del suo vicino di corsia, un pelato con una cravatta color vomito, e soffiò il fumo sul vetro del finestrino quasi per celarsi al suo sguardo nella nebbia azzurrina. Guidò per un chilometro e mezzo come uno zombie, sorseggiando ogni tanto un goccio di caffè amaro dal bicchierone di polistirolo, poi il cellulare squillò e lui schiacciò il tasto di contatto sul filo dell’auricolare.
«Salve, colonnello Saunders» disse una voce con un leggero accento straniero.
«Lasci perdere, non sono più niente.»
La voce tacque per qualche istante, poi riprese più decisa: «Niente? Su con la vita, colonnello. Il suo destino sta per cambiare radicalmente. Svolti a sinistra alla Diciottesima e segua la Buick grigio argento che in quel momento lascerà il parcheggio. Mantenga le distanze. Non vogliamo incidenti e contrattempi.»
Saunders non rispose.
«Mi ha sentito, colonnello?»
«Ho sentito.»
«Bene, ci vediamo presto.»
Saunders fu sul punto di fare un’inversione di marcia e tornare da dove era venuto, ma ormai aveva impostato la curva e già imboccava la Diciottesima mentre una Buick grigio argento a trenta metri sulla destra lasciava il parcheggio e si immetteva nel traffico. Saunders la seguì come un automa senza più pensare a niente. Guidò per una quindicina di chilometri finché si fermò dietro la Buick di fronte a quello che sembrava un cinema in disuso. Sull’insegna malconcia si leggeva ancora la scritta «Millennium Arena» incorniciata da lampadine rotte. Saunders si guardò intorno e si rese conto di essere dalle parti di Little Bay, mandò giù ancora un sorso di caffè, prese il soprabito di pelle nera dal sedile posteriore, scese dalla macchina e si diresse verso l’ingresso del cinema. La Buick si rimise in moto e si allontanò.
Saunders spinse la porta ad ante e si trovò all’interno del cinema. C’era un forte odore di polvere e la debole luce che entrava dalla porta rivelò a malapena il corridoio centrale che separava i due settori della platea arrivando a lambire la base del palcoscenico. Lo schermo pendeva mezzo lacerato dal suo supporto. Si fermò per abituarsi all’oscurità e, quando le sue pupille si furono dilatate a sufficienza, notò un uomo seduto nel secondo posto da sinistra nella settima fila dal fondo. Si avvicinò e si sedette al suo fianco, nella prima poltrona.
«Salve, colonnello» disse l’uomo senza voltarsi, tenendo lo sguardo fisso allo schermo stracciato.
«Salve» rispose Saunders. E, prima che l’altro parlasse, soggiunse: «Non c’era un posto un po’ meno… drammatico? Un ufficio, per esempio? Non vorrà impressionarmi, per caso?».
«Non è certo questa la mia intenzione» rispose l’uomo. «È solo un vecchio cinema in disarmo. Questo luogo sarà presto molto più gradevole, ma in attesa che si faccia la ristrutturazione non potevamo fermare la nostra attività . Lei per giunta è arrivato un po’ prima di quanto mi aspettassi.»
«Bene, comunque eccomi qua. Che cosa c’è di vero in quello che mi è stato proposto dal suo… diciamo… emissario?»
L’uomo questa volta si girò verso Saunders: «Tutto. È tutto vero. Lei dovrà addestrare gli uomini che le verranno affidati».
«Quanti?»
«Una cinquantina, forse di più.»
«A che scopo?
«Si tratta di una faccenda molto delicata… Se accetta la nostra proposta, lei diventa un…»
«Mercenario?»
«Avrei detto un nostro temporaneo dipendente, ma non mi sembra il caso di formalizzarsi sui termini. È un dato di fatto, d’altra parte, che noi la paghiamo mezzo milione di dollari per un paio di settimane di lavoro.»
«Che genere di addestramento?» domandò Saunders con un tono di voce più basso, quasi rassegnato.
Un soffio di vento passò fra i battenti della porta. Gli diede un brivido e fece ondeggiare il lembo dello schermo lacerato. Si voltò: la luce che veniva dall’esterno era cambiata. Adesso era artificiale, luce fredda di led. Gli sembrò perfino di vedere qualche fiocco di neve volteggiare fin dentro il cinema e posarsi sul pavimento di linoleum.
«A forme estreme di combattimento. Con armi da assalto e ferri corti, da corpo a corpo. Il meglio che esiste, non badiamo a spese. Deve solo lasciarmi una lista e noi le faremo trovare tutto. Dove e quando vuole.»
«Se non mi dice qual è lo scopo per cui volete addestrare quella squadra, io non mi impegno. Il fatto che io sia stato dismesso dall’esercito non significa che non abbia più un’etica e che sia disposto a operazioni che potrebbero anche rivolgersi contro il mio paese.»
L’uomo si alzò in piedi: «Noi siamo il suo paese, colonnello. Tutto quello che le è accaduto: l’arresto, la corte marziale, la dismissione con disonore… Tutto organizzato e previsto…».
Saunders si alzò a sua volta fino a fissare dritto negli occhi il suo interlocutore: «Tutto previsto, dice?».
«Sì, perché lei doveva cadere nell’oblio prima di risorgere in segreto. Tutto previsto, le dico.»
«Già : il mio divorzio, la mia vita spezzata, la mia solitudine, la mia… disperazione.»
«Lei è un soldato, Saunders, oltre che un patriota, e tutto questo è messo nel conto. Non è così?»
«Già , è messo nel conto…» rispose abbassando la testa, e in quel momento lo sguardo gli cadde sull’anello che l’uomo portava al dito: d’oro e con una pietra iridescente. «Ma se si tratta di una missione, allora perché mi date tutti quei soldi?»
«È il minimo che potessimo fare. Li prenda come una sorta di risarcimento per i guai che ha dovuto sopportare.»
«Ma io devo sapere chi siete. Non posso fidarmi di nessuno.»
L’uomo gli mostrò un tesserino e con la luce del telefono mobile illuminò una scritta circolare: «Central Intelligence Agency» e subito lo ripose nel portafogli.
«I soldi non mi bastano: voglio essere riabilitato e reintegrato nel mio grado e nel mio reparto.»
Un breve silenzio seguì la domanda e dalla strada giunse il suono di clacson di un’automobile e da più lontano quello di un battello che entrava in porto. L’uomo trasse un profondo respiro, come se si accingesse a una operazione faticosa: «Questo è possibile, ma può darsi che lei preferirà continuare a svolgere l’incarico che le proponiamo».
«Lo escludo.»
«Mai dire mai, colonnello. Allora, posso considerare questo un accordo?»
Saunders esitò.
«Ebbene?»
«Sì» rispose Saunders. «Lo consideri un accordo.»
«Riceverà le prossime istruzioni tramite il solito canale. Da questo momento il suo nome in codice è King.» Appoggiò una borsa sulla poltrona. «Quella è per lei, non la perda. Addio, colonnello King.»
Si diresse verso una porticina a lato del palcoscenico e sparì.
Saunders prese la borsa e si avviò verso l’uscita. Attraversò l’atrio e raggiunse l’automobile su cui ormai si erano accumulati un paio di centimetri di neve. Entrò e aprì la borsa: conteneva dieci mazzette da venticinquemila dollari ciascuna. L’anticipo.
Roma, 22 gennaio, ore 20
Il tenente colonnello dei carabinieri Marco Massari, ufficiale dell’Aise e addetto alla sicurezza antiterrorismo, scese dall’autobus alla fermata di piazza Argentina, si diresse verso il bar all’angolo con via Arenula ed entrò. Era in borghese, indossava un abito grigio gessato sottile, di taglio sartoriale, camicia candida di piquet e una cravatta regimental di seta blu e perla. La sua mano sinistra reggeva una borsa di cuoio naturale identico a quello delle sue scarpe. Si guardò un attimo attorno e vide nell’angolo in fondo a destra un uomo in pantaloni di flanella e giacca di tweed sformata seduto a un tavolino che sorseggiava una tazza di tè. Aveva i capelli grigi e gli occhi grandi e scuri, un colorito pallido e teneva aperta sul tavolo una copia dell’«Herald Tribune» e un piccolo notebook acceso.
Massari si sedette accanto a lui: «Hi, Steve».
«Hi, March» rispose l’uomo. Steve Lester, dell’MI6, in copertura viceaddetto militare all’ambasciata britannica.
«Scusami, sono un po’ in ritardo.»
«Voi italiani siete sempre in ritardo.»
«Ehi, bello, meglio arrivare con un po’ di ritardo che non arrivare per niente. Ma se oggi hai il culo di traverso me ne vado subito.»
«Uno dei nostri è sparito. Tu ne sai qualcosa?»
«Chi è?»
«Frank Collins. Era bibliotecario all’Accademia britannica di Roma.»
«Perché dovrei? Si occupava di terrorismo?»
«Non che io sappia, ma nel video interno della biblioteca si vede un tizio che lo accosta per tre volte in due settimane e parlano a lungo sottovoce.»
«Una faccia conosciuta?»
Lester digitò un comando sulla tastiera e fece scorrere il video. Massari inforcò gli occhiali e osservò il filmato. L’immagine era abbastanza nitida e si poteva riconoscere un uomo dai tratti mediorientali: avrebbe potuto essere un siriano o un saudita, o un libanese.
«Mai visto» disse. «E comunque tutti parlano con il bibliotecario, non c’è niente di strano.»
«Ecco,» disse l’inglese «sono quasi certo di averla vista da qualche parte quella faccia, ma da giorni mi sforzo di ricordare senza esito. Non ci dormo la notte. Speravo che tu potessi aiutarmi.»
«Se hai una copia del video da darmi» disse Massari «posso tentare… ma che tipo era questo Collins? Come mai ci tenete tanto?»
«Era un tipo molto speciale, uno dei migliori. Un genio informatico e un combattente formidabile. L’abbiamo impiegato in missioni rischiose e sempre con successo.» Gli passò una copia del video e una foto dell’agente scomparso e Massari li fece scivolare nella cartella.
«Capisco» disse. «Vedrò se riesco a cavarne qualcosa. In tal caso ti faccio sapere.»
«D’accordo.»
«Posso farti solo una domanda?»
«Se posso ti risponderò.»
«Aveva qualche motivo Collins per sparire? Che so… stress, delusioni, problemi sentimentali o di famiglia?»
«Lo stress ce l’abbiamo tutti. Per il resto non mi risulta.»
«Era di fede islamica?»
Lester non rispose per un poco. Lasciò che il cameriere passasse a prendere la tazza vuota e la teiera e aggiunse: «L’abbiamo impiegato in Afghanistan, nello Yemen, in Somalia. Mi sembra...