Contro il tiqui taca
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Contro il tiqui taca

  1. 120 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Contro il tiqui taca

Informazioni su questo libro

"Il Barcellona è una squadra noiosissima." Provate a dirlo ad alta voce: sarete tacciati di blasfemia e guardati come dei folli. Ma ripetendolo e argomentando la vostra antipatia per la squadra più forte, vincente e politicamente corretta del mondo, vi accorgerete lentamente ma inesorabilmente che non siete soli, che c'è chi la pensa come voi. Con ironia sulfurea - ma con un sotterraneo affetto, vorremmo dire, se non altro da Sindrome di Stoccolma - Michele Dalai costruisce una provocazione solo apparentemente gratuita e smonta uno a uno i luoghi comuni sulla superiorità tecnica ed etica della squadra catalana e del suo microcosmo, colpendo il nemico nei suoi beni simbolo, a partire dal motto megalomane "più che un club", passando per il gioco estenuante e onanistico, interamente consacrato al nume del possesso palla - il famigerato tiqui taca -, fino ad arrivare a quei tifosi-integralisti per i quali il fútbol esiste solo in funzione del Barcellona e il resto è noia. Senza risparmiare nemmeno Lionel Messi, la Pulce che incanta il mondo e, da quattro anni, i giurati del Pallone d'oro.
Di fronte ai dogmi dell'ortodossia pallonara, Dalai indossa i panni dell'eretico e non arretra di fronte al mulinare dei consensi che costruiscono la leggenda dell'ultima armata blaugrana. Con ottimi argomenti, paladini validi come solo alcuni grandi nemici del Barcellona - il Mourinho dell'indimenticabile discorso dei perché, lo strafottente Cristiano Ronaldo, il fiero Ibrahimovic - e un punto fermo: che il calcio è cosa grave, ma non seria.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2013
Print ISBN
9788804628583
eBook ISBN
9788852035197

XV

Perché?

Si premette, qui, che state per leggere un capitolo molto più lungo degli altri, intriso di luoghi comuni e di quel lessico familiare e sciatto che a noi rudi uomini di sport piace usare quando raccontiamo le partite. La lunghezza di questa prosa dipende dal ruolo centrale di José Mourinho nella lotta tra le forze del Bene (da lui mirabilmente comandate) e il Barcellona, un confronto che dura da quasi dieci anni e si arricchisce di nuovi colpi di scena a ogni benedetta stagione calcistica. Se vi annoiate, smettete di leggere dove vi pare e riprendete a caso più avanti, il risultato non cambierà. Perché girala e mettila come vuoi, Mourinho e il Barcellona non si vogliono bene e noi vogliamo bene a Mourinho.
Tutto quello che avreste voluto sapere su José Mourinho e se lui sapesse che non lo sapete ne farebbe un caso di stato. Se essere vedovi di Ibrahimović è una condizione comune ma alla lunga sopportabile51, l’abbandono dell’uomo più carismatico della storia del calcio provoca traumi terribili, stati di depressione profondi e tentativi di disdetta di massa dell’abbonamento. La bibliografia sulla vita e le fatiche di Mourinho è sterminata e copre quasi ogni sfaccettatura del suo mirabolante ego, anche perché l’uomo esterna a sufficienza da non lasciare scontenti nemmeno i più esigenti. Dall’Anatomia di un vincitore di Patrick Barclay fino al Made in Portugal di Luis Lourenço, passando attraverso L’alieno Mourinho di Sandro Modeo ce n’è davvero per tutti i gusti e gli istinti, dallo scavo scandalistico sulla dimensione privata del riservato José all’agiografia della sua carriera tutta in ascesa.
Mourinho ha molti talenti, li esplora e padroneggia con una sicurezza inedita per il mondo del calcio, troppo abituato a comunicatori dozzinali o a uomini i cui interminabili silenzi vengono condonati come espressioni di chissà quale profondità.
Mourinho parla, recita, aggredisce, inventa, motiva e accentra. Il suo pingue conto in banca è frutto di assunzioni di responsabilità enormi e di vittorie preparate con l’acume di uno stratega vero (e per una volta ci sentiamo di scriverlo sapendo di evitare l’inciampo nel luogocomunismo52).
Lo aggrediscono e ne escono con le ossa rotte, lo assecondano e ne escono altrettanto acciaccati: difficile il ruolo del nemico di Mourinho, anche perché lui è uno che li riconosce da lontano, ne sente il rumore e quando tutto intorno è calma piatta quel rumore se lo inventa, per tenere i suoi sulla corda.
Questo capitolo non ha certo la pretesa di rivaleggiare per completezza con i saggi di cui sopra; noi come al solito ci soffermeremo sulle gesta di un eroe della Resistenza anti culé.
Forse tutti sanno che Mourinho viene proprio da lì.
Il 28 giugno 1997 a Barcellona si festeggia la vittoria in Coppa del Re. Uno di quei trofei che i catalani considerano a ragione speciali, la Coppa che per quasi 40 anni è stata intitolata al Generalísimo Franco e che nella bacheca del Barça prende il sapore di una dolce rivalsa non solo sportiva. Al culmine dell’euforia collettiva un giovane arruffapopoli prende il microfono e rivolto alla folla scandisce con un forte accento lusitano:
«Hoy, mañana y siempre con el Barça en el corazón.»
Oggi, domani e sempre con il Barça nel cuore. Quel trentaquattrenne così a suo agio, paraculo e sornione è José Mourinho e quella dichiarazione d’amore eterno e fedeltà perderà valore nell’arco di poche stagioni.
José è arrivato al Barcellona nel 1996, fortissimamente voluto da Bobby Robson. I due avevano lavorato insieme al Porto già nel 1992, Mourinho preparava i portieri e faceva da interprete al burbero inglese.
«José si è introdotto da solo... disse chi era, cos’era e che sarebbe stato il mio interprete. Parlava benissimo inglese, era un bel ragazzo... avevo bisogno di lui ogni giorno sul campo: ascoltava, imparava, scriveva, ricordava. Io gli chiedevo di fare delle relazioni tecnico-tattiche, le migliori che avevo mai visto. Aveva inoltre un rapporto fantastico con i giocatori e tutti lo rispettavano.»
Così diceva Robson di Mourinho e la leggenda vuole che in quel periodo ma anche negli anni da secondo di van Gaal lo scaltro Mou approfittasse della loro scarsa conoscenza della lingua per modificare ordini e impostazione tattica delle partite, anche se non esistono veri riscontri di ammutinamenti. Mourinho rimane al Barcellona dal 1996 al settembre 2000, vince molto, impara moltissimo e ha anche l’onore di sedere sulla panchina della squadra da primo allenatore53 durante una partita ufficiale. Di certo se ne va arricchito, perché bisogna esser fessi a pensare che non abbia portato con sé il cumulo d’esperienze straordinarie fatte in Catalogna. Tra tante oscene cattiverie che si possono dire su Mourinho (non ne condivido nemmeno una, ma è questione d’amorosi sensi e so di amarlo ancora), quella impossibile è la contestazione del suo acume tattico e della capacità di comprendere pregi e difetti dei giocatori; se sono gli anni della formazione quelli che contano, state certi che la gavetta blaugrana è stata determinante per i trionfi successivi. A Barcellona Mourinho allena giocatori fenomenali e lavora sulle loro insicurezze dentro e fuori dal campo.
Per tutti questi motivi sarebbe stato difficile immaginarlo come un anti culé d’eccellenza.
Ma i percorsi della vita sono strani e le parabole ancora meno prevedibili di uno di questi pallonacci moderni che svolazzano a caso e tradiscono portieri attoniti.
Mourinho torna in patria e con buona pace del nemo propheta si trasforma nella prima versione vincente di se stesso54.
In due anni il suo sgangherato e poi fortissimo Porto vince prima la Coppa Uefa, poi, contro ogni pronostico, conquista la Champions League. Se l’ego di José viaggiava in dirigibile già prima della vittoria più ambita, di lì in poi per vederlo serviranno sofisticati telescopi. Vince e parte, come sempre.
Al Chelsea porta il baule dei trucchi, cambia la struttura della squadra e inizia a imporsi e a folgorare stampa e tifosi con performances teatrali a base di provocazioni, colpi di genio e sarcasmo55.
I problemi con il Barcellona iniziano il 23 febbraio 2005.
Il sorteggio mette di fronte i blaugrana e il Chelsea negli ottavi di finale di Champions League, la coppa che Mou ormai considera sua per diritto naturale.
A Barcellona, dove si gioca l’andata, alcuni lo ricordano come il traduttore e lo sfottono amabilmente fin dall’arrivo in aeroporto, altri forse non lo ricordano affatto, abituati come sono a considerare l’insieme e non il singolo, nemmeno se speciale.
Il Chelsea è avanti per 1-0 grazie a un autogol di Belletti, brasiliano dal piede grosso (e forse il cervello fino vallo a sapere). Nel secondo tempo Drogba viene espulso per somma di ammonizioni e il Barcellona recupera la partita e nel finale la vince per 2-1.
Tutto bene?
Nemmeno per sogno, si apre il cielo sopra il Camp Nou e la furia dell’elemento Mourinho scatena una delle più violente tempeste a memoria di Barcellona.
Mou sostiene che l’allenatore avversario (più che altro allenatore nemico, a giudicare dai toni) durante l’intervallo abbia chiacchierato con l’arbitro Frisk e qualcosa di importante devono esserselo detto, visto e considerato com’è finita la partita. Con grande senso del palcoscenico Mourinho strepita e chiede una direzione di gara d’eccellenza per il ritorno, mettendo così enorme pressione sull’Uefa. Il risultato è la designazione di Collina, il più quotato.
Felice José? No.
«Non ho mai chiesto Collina, mi spiace che un organo importante come la Uefa abbia un direttore della comunicazione così approssimativo nel riferire questo. Ho solo detto che è il migliore del mondo, imparziale, indipendente e al di sopra di ogni pressione. Tutti gli allenatori e tutti i giocatori lo vorrebbero perché normalmente è uno che non influenza il risultato. Ma se mi chiedete chi avrei preferito come arbitro, dico Frisk. Perché avrebbe aiutato noi come ha aiutato il Barcellona all’andata. Con l’espulsione di Drogba ha influenzato tutte e due le partite».
Lo dice così, lo dice chiaro: Frisk ha aiutato il Barcellona espellendo ingiustamente Drogba.
Gli risponde subito un mostro sacro della tradizione blaugrana, quel Cruyff che per arroganza se la gioca almeno alla pari:
«Al Camp Nou il Chelsea ha fatto tutto quello che mi fa detestare il calcio. Il fine deve giustificare i mezzi? Ma se non dai alla gente quel che vuole vedere, non viene più allo stadio. Guardate i posti vuoti negli stadi italiani. Se non vince, Mourinho non dura a lungo.»
Ma Mourinho si tiene l’ultima parola, invertendo l’ordine delle conferenza stampa con enorme padronanza delle strategie di comunicazione. Ecco la sua dichiarazione prima della partita:
«Il Chelsea non vince la Premier League da 50 anni ed è costruito per riuscirci. In Spagna non riuscirebbe a vincere la Liga? Ma anche il Barcellona con tutto il suo bel calcio e i gol che prende non vincerebbe il campionato inglese. Giocano bene? Sì, anche se potrebbero tuffarsi di meno.»
L’ultima frase, quella che riportiamo in corsivo, contiene tutte le verità diluite in questo discutibile pamphlet. Giocano bene anche se sono noiosi56, anche se potrebbero tuffarsi di meno. Come finirà la partita?
Mourinho dura perché vince.
4-2 per il Chelsea, José qualificato e nuovo formidabile nemico per la gente di Barcellona, che se prima non si ricordava del portoghese, di lì in poi farà fatica a dimenticarlo.
L’anno dopo le due squadre s’incontrano di nuovo ma il Barcellona non si fa trovare impreparato e non cade nella solita guerra di nervi. O meglio, i catalani reagiscono a modo loro e ne propongono una diversa: la partita dei ruzzoloni e delle simulazioni.
Si gioca a Londra, finisce 2-1 per il Barcellona, un’altra espulsione fa imbestialire Mourinho, che si presenta ai giornalisti con la fissità drammatica del più cupo e intenso Carmelo Bene e dice:
«Si può squalificare Messi per aver recitato? Barcellona è una città di cultura, piena di grandi teatri, e mi sembra che il ragazzo abbia imparato davvero bene. Ha imparato a giocare recitando.»
Mourinho si riferisce alla coreografica reazione di Messi ai contatti, ma presta il fianco alle ironie blaugrana e inevitabilmente perde lucidità. Al ritorno non bastano le piccole reciproche scortesie (Mourinho tiene la sua squadra negli spogliatoi e fa aspettare a lungo gli avversari in campo) a scaldare l’ambiente, il Chelsea pareggia solo nel finale e viene eliminato.
Non è finita.
L’anno dopo le due squadre si incrociano nuovamente e succede nei gironi eliminatori, con meno pathos e una tensione completamente diversa. All’andata57 Mourinho sembra sedato. Un bravissimo ragazzo o un folle trattenuto con l’imbracatura di Hannibal Lecter, non sapremo mai la verità. Comunque riesce a spostare l’attenzione sulla squadra e il risultato è una vittoria senza episodi funesti.
A Barcellona la partita è combattuta e molto bella, sembrano spuntarla i catalani ma il Chelsea strappa l’insperato pareggio e Mourinho getta di nuovo la maschera.
Un’esultanza clamorosa, Mou salta fuori dalla panchina degli ospiti e corre lungo la linea laterale, per poi gettarsi in ginocchio e scivolare sull’erba b...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Contro il tiqui taca
  3. I. La verità ti fa male, lo so
  4. II. Di cosa parliamo quando parliamo di noia
  5. III. Calcio, tv, trigonometria e altre cose noiosissime che fa il Barcellona
  6. IV. Storia brevissima di quasi tutto
  7. V. Il tiqui taca come arma di distruzione di massa
  8. V bis. Trentatré trentini entrarono a Barcellona o anche di come dubitare fin da subito della serietà di questo volumetto
  9. VI. Di una certa tendenza ad accogliere con favore i favori
  10. VII. Non cantarmi, o Diva, non cantarmi nulla
  11. VIII. Breve dissertazione sulla disonestà calcistica dell’esile Busquets
  12. IX. La squadra che era meglio quando stava peggio
  13. X. Pulci, uomini molto bassi e altri portentosi animali da circo
  14. XI. In televisione sembravano più buoni
  15. XII. Il Barcellona lava più bianco
  16. XIII. Lo strano caso di Zlatan Ibrahimović e la maglia baciata troppo in fretta
  17. XIV. Il silenzio è d’oro
  18. XV. Perché?
  19. XVI. Pensieri in ordine sparso sul senso di un pamphlet contro il Barcellona
  20. XVII. Il gioco del Barcellona spiegato a mio figlio
  21. XVIII . Palla lunga e pedalare
  22. Breve postfazione a opera dell’autore stesso
  23. Appendice
  24. Le pietre miliari dell’antibarcelonismo
  25. (Loro) dicono di loro
  26. Ringraziamenti
  27. Copyright