Nuovi Argomenti (59)
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Nuovi Argomenti (59)

COVER: 19 autori riscrivono i classici

  1. 216 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Nuovi Argomenti (59)

COVER: 19 autori riscrivono i classici

Informazioni su questo libro

Alberto Carocci e Alberto Moravia fondano Nuovi Argomenti. «L'idea», ricorderà Moravia, «era quella di creare una rivista di sinistra come "Temps Modernes" di Sartre, la quale avrebbe avuto un'attenzione per la realtà italiana di tipo oggettivo e non lirico». Il bimestrale ha la sua redazione in via dei Due Macelli 47 (segretario di redazione, Giovanni Carocci) e viene stampato presso l'Istituto Grafico Tiberino di Roma.
Hanno collaborato: Giuseppe Bertolucci, Sandro Veronesi, Rosetta Loy, Edoardo Albinati, Ester Armanino, Anthony Hecht, Leo Van Bock, Matteo Trevisani, Francesco Longo, Errico Buonanno, Teresa Ciabatti, Alessandro Beretta, Flavia Piccinni, Carlo Mazza Galanti, Bruno Centrone, Arianna Giorgia Bonazzi, Arnaldo Greco, Francesco Formaggi, Matteo Nucci, Lorenzo Pavolini.

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Informazioni

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COVER

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QUALCOSA ERA SUCCESSO

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di Sandro Veronesi

«Ormai quando prendiamo il treno non ci chiediamo più dove ci porterà, ma quale libro leggeremo durante il viaggio.» Questa frase di Giorgio Manganelli lo consolava enormemente dalla noia di dover fare su e giù tra Roma e Milano. Per lui era proprio così: tre ore e mezzo per leggere, questo era il dono contenuto nella sua condanna. Della frase gli piaceva soprattutto l’avverbio «ormai»: tradiva quella stanchezza che provava anche lui. Non ci fossero stati i libri da leggere quel tragitto, che non aveva più niente da dirgli, lo avrebbe fiaccato. A nulla era servito assistere, negli anni, alla progressiva diminuzione della durata del viaggio, che all’inizio era di cinque ore, poi era diventata di quattro e adesso addirittura di tre: anzi, quella smania di accorciarlo sempre di più, sparando treni a trecento all’ora nella campagna – e per far questo bucando colline e montagne, prosciugando ruscelli e snaturando intere regioni –, gli metteva ansia, poiché sottolineava l’inaccettabilità di quel lasso di tempo che divideva in due la sua vita. Ormai era chiaro, lui non sarebbe mai riuscito a riunificare la propria vita, collocandola tutta intera in un luogo solo; ormai non c’era più nulla da vedere, fuori dal finestrino, che non avesse già visto centinaia di volte. Ormai c’era solo quello che i suoi occhi sempre più stanchi – pure loro – avrebbero letto. Per questo non prendeva mai il diretto, che ormai impiegava due ore e cinquantanove minuti, ma continuava a prendere il treno che fermava a Firenze e Bologna, per avere trentuno minuti di tempo in più. Per leggere.
Si sedette al proprio posto. Il vagone era pieno. Un’ulteriore, recente ristrutturazione delle tariffe aveva creato altre due classi, oltre la prima e la seconda – una chiamata Executive sopra la prima, e una, chiamata Premium, tra la prima e la seconda. Così, lui che da sempre viaggiava in seconda, in pratica si era ritrovato a viaggiare in quarta. «Si sta andando indietro», pensò. Era l’ennesima volta che lo pensava, poiché era un fenomeno evidentissimo: il mondo occidentale, il suo mondo, stava andando all’indietro. Ogni novità, strombazzata come conquista – della tecnica, della tecnologia – in realtà era un passo indietro. La telefonia mobile era il trionfo di questa corsa verso l’arretratezza: ormai i telefonini non prendevano quasi più da nessuna parte, la linea cadeva di continuo, mentre le compagnie prosperavano e inchiodavano i clienti con le promozioni e gli omaggi di telefonini costosissimi. Ora, constatò, per esempio: non c’era campo. In piena Roma, alla Stazione Termini, non c’era campo. Tanto meglio, pensò, non verrò interrotto mentre leggo.
Si sedette dunque al proprio posto, vicino a una ragazza con le cuffie alle orecchie e davanti a una coppia di turisti americani di mezza età in ciabatte e bermuda – dato che ormai gli americani giravano il mondo ciurmati così, tutti, come se il semplice fatto di essere in vacanza li dispensasse dal dovere di vestirsi un po’ meglio. Aprì lo zaino, tirò fuori il libro e si mise a leggere. Il tempo è un bastardo, di Jennifer Egan. Era un romanzo molto bello – entusiasmante, in molti punti –, ma era già quasi finito e così si era portato dietro anche un altro libro promettente, Vite che non sono la mia, di Emmanuel Carrère, per il resto del viaggio. Si mise a leggere e, come di consueto, il ronzio del mondo difettoso sparì. Lesse di filato per oltre un’ora senza lasciare nemmeno un briciolo di attenzione per nient’altro, e smise soltanto quando il libro, con un mirabile capitolo ambientato in un futuro assai familiare, finì. A quel punto riemerse, e si rese conto che il treno era fermo.
C’era una certa agitazione nella vettura. Persone che parlavano a voce alta, che protestavano. Non i suoi due dirimpettai, che stavano mangiando un panino, né la ragazza seduta al suo fianco, che continuava ad ascoltare musica guardando fuori dal finestrino. Campagna. Umbra, forse, o forse ancora laziale. Guardò l’orologio: erano in viaggio da un’ora. Da quanto tempo erano fermi? Non avrebbe saputo dirlo. Al momento per lui esisteva solo quel romanzo che aveva appena chiuso, e che continuava a rimbalzargli nella testa con la sua bellezza, con la sua consistenza. Nel vagone c’erano delle proteste, delle grida. Si alzò.
Un uomo batteva contro la porta di vetro della carrozza, chiamando a voce alta il controllore. La porta era bloccata, gli dissero, e così anche l’altra, e i telefonini non prendevano, e la connessione wi-fi non funzionava, e l’aria condizionata nemmeno… Niente di sorprendente, pensò: stiamo andando indietro, siamo diventati passeggeri di quarta classe, non c’è da aspettarsi nulla di meglio. L’uomo però continuava a battere pugni sulla porta di vetro e a chiamare il controllore – sembrava fuori di sé – finché, d’un tratto, inspiegabilmente, la porta si aprì. L’uomo uscì dalla carrozza, seguito da altri due. Anche lui provò l’impulso di seguirlo, ma poi rinunciò e tornò al suo posto. La porta si richiuse. Il treno ripartì.
Controllò il telefonino e, effettivamente, non c’era campo. Tornò a guardare fuori dal finestrino, la campagna che sfilava lentamente: era ancora Lazio, dovevano essersi fermati quasi subito. Il treno avanzava molto lentamente, non accelerava, e poi si fermò di nuovo. Nella carrozza il malcontento dilagava, un altro uomo batteva contro la porta che si era richiusa e di nuovo non si apriva più mentre lo stesso stavano facendo due ragazzi con l’altra porta, gridando «aprite, bastardi!». Cominciava a far caldo. Il treno ebbe un sussulto che fece cadere una ragazza addosso a una donna seduta e poi ricominciò a muoversi, ancor più lentamente di prima, ma all’indietro. Ecco fatto, pensò: ora si sta letteralmente andando indietro. Il primo uomo che gridava, quello che era uscito quando la porta si era aperta, ricomparve insieme ai due che lo avevano seguito; dall’altra parte della porta cercava di dire qualcosa all’uomo che aveva preso il suo posto e che continuava a dare pugni sul vetro. Lui si sentì battere la spalla dalla ragazza con gli auricolari e si voltò verso di lei, che col volto gli fece cenno di guardare fuori dal finestrino: viaggiando piano all’indietro, stavano raggiungendo una stazione che effettivamente non avrebbe dovuto esserci, pensò, dato che l’alta velocità aveva una linea a sé. Evidentemente erano passati sulla linea tradizionale e il treno stava cercando di —
Ma non era quello che la ragazza gli stava indicando. La ragazza gli stava indicando una carovana di macchine ferme sulla strada che tagliava la campagna e veniva verso la ferrovia. Man mano che il treno si avvicinava alla stazione la scena diventava più chiara – una scena assurda, da esodo. Macchine piccole, perlopiù, utilitarie, cariche di persone e anche di roba legata sul tetto. Centinaia, a perdita d’occhio lungo la strada, ferme. Il treno rallentò ulteriormente, si fermò. D’un tratto una faccia d’uomo spuntò dal basso di là dal finestrino, gridando qualcosa. La ragazza tirò uno strillo e gli si strinse addosso, e anche a lui scappò un gemito di spavento: scattarono entrambi in piedi, per allontanarsi dal finestrino, e così fecero gli americani. Qualcun altro, nella carrozza, stava tirando gli stessi strilli di spavento. La faccia ricomparve oltre il finestrino, risparì: era un uomo che saltava, fuori, e gridava, cercando di attirare l’attenzione. Il treno ripartì con uno strappo secco, in avanti stavolta, e in parecchi caddero per terra, tra cui lui. Si rialzò subito ma il treno aveva già raggiunto una certa velocità, e continuava ad accelerare. Qualcuno si lamentava, si era fatto male. Lui aiutò la ragazza e gli americani a rialzarsi, poi si sedette al proprio posto: fuori dal finestrino la strada con l’esodo era scomparsa, il treno aveva smesso di accelerare e filava veloce nella campagna. Che diavolo stava succedendo? Prese in mano il telefonino ma niente, non c’era linea. Le porte della carrozza erano ancora bloccate, con persone che cercavano di forzarle da dentro e da fuori. Essendo di vetro, c’era il pericolo che andassero in frantumi, e dunque c’erano anche delle proteste, da parte di chi non voleva correre questo rischio, finché un uomo sulla quarantina si mise in piedi sul sedile e chiese silenzio. A voce alta, chiese se ci fosse qualcuno nella carrozza il cui telefonino avesse campo. Nessuno. Chiese se ci fosse qualcuno che fosse riuscito a collegarsi alla rete wi-fi. Nessuno. Chiese di controllare bene, e si rivolgeva a quella dozzina di persone che avevano il computer portatile. Seguì una certa confusione, che si troncò di colpo quando, dal finestrino, si cominciò a vedere un’altra strada piena di macchine ferme. Il treno viaggiava veloce, ma la ferrovia era parallela e molto più vicino di prima alla strada, e da quel che si vedeva era in atto una vera e propria fuga collettiva. Da cosa? Tutti, nella carrozza, si accalcarono ai finestrini per guardare. Qualcuno, dal tetto di una macchina o dal pianale di un pick-up, faceva cenni al treno, dunque a loro, che però erano difficili da interpretare: erano maledizioni, suppliche, ammonimenti? Non si capiva. Dopo qualche minuto strada e ferrovia si separarono di nuovo e il treno cominciò ad andare veramente forte. Evidentemente era tornato sulla linea dell’alta velocità.
Nel frattempo le porte della carrozza si erano aperte, tutte e due, ma, apprese, non era stato possibile raggiungere il capotreno perché prima della carrozza ristorante la porta era di nuovo chiusa, e stavolta non si trattava di un disguido ma di un firewall di Trenitalia che impediva ai viaggiatori di seconda/quarta di beneficiare dei servizi destinati alle classi superiori. C’era ancora chi tentava di organizzare i viaggiatori, di dare ordini, ma non veniva molto considerato. Quasi tutti, tra cui lui, preferivano tenere gli occhi puntati fuori dal finestrino, per cercar di vedere qualcosa; e qualcosa, di tanto in tanto, si vedeva – sempre code di macchine nelle strade, finché il treno non si ritrovò a scavalcare e poi a costeggiare l’autostrada. A quel punto ciò che tutti cercavano di capire fu molto chiaro: l’autostrada era completamente invasa dalle macchine, e le macchine sembravano ferme, o muoversi molto lentamente – difficile valutare la lentezza degli altri mentre si sfrecciava a trecentoventi all’ora – ma soprattutto erano tutte dirette verso sud, in entrambe le carreggiate. E il loro treno stava sfrecciando verso nord. Fu organizzata una nuova pattuglia da spedire fino al firewall con il mandato di spaccare tutto, se necessario, pur di raggiungere qualcuno che potesse dir loro cosa stava accadendo, ma lui rifiutò di farne parte, sebbene in quanto maschio adulto e solo gli fosse stato espressamente richiesto: di qualunque cosa si trattasse, a quel punto era abbastanza sicuro che più tardi l’avesse saputo, meglio sarebbe stato. Si sforzò addirittura di rimettersi a leggere, ma cominciare un nuovo libro, addirittura, questo non gli riuscì possibile.
Il treno rallentò di nuovo. Era arrivato a Firenze, e tutti si aspettavano che si sarebbe fermato. Invece non si fermò, anche se dovette rallentare molto e avanzare a passo d’uomo per via della ressa di persone che invadeva i binari a fianco. Di nuovo alcune persone rivolsero al treno delle grida molto difficili da interpretare, ma tutto s’interruppe di colpo quando, proprio sotto le pensiline della stazione di Campo di Marte, alcune decine di persone scesero sul binario vicino, mentre tutte le altre si accalcarono lungo il marciapiede senza più occuparsi del treno su cui c’era lui. Il quale sfilò via, verso nord, accelerando e incrociando – ecco la ragione del comportamento della folla – un Intercity pieno zeppo di persone che avanzava lentamente in senso contrario. Dopo averlo incrociato lo si sentì fischiare una, due, tre volte, ma lui non riuscì a vedere se si fosse fermato e cosa stesse accadendo alla stazione. Il loro treno accelerò di nuovo e si rimise a correre. Entrò in una galleria lunghissima, quella che aveva perforato il Mugello con grandissimi danni per ridurre di dieci minuti il tempo di percorrenza tra Firenze e Bologna – e lì dentro, paradossalmente, a lui parve di sentirsi protetto.
Quando il treno uscì dalla galleria si rese conto di avere tenuto gli occhi fissi fuori dal finestrino anche se non c’era nulla da vedere, perché la luce del sole quasi lo accecò. Ci mise un po’ per abituarsi, ma quando si fu abituato continuò a non vedere niente lo stesso – o almeno niente di ciò che si aspettava di vedere: non una macchina, né una persona né un vago segno di vita in un paesaggio che andava rapidamente facendosi urbano, perché il treno stava arrivando a Bologna. Era come se l’Appenni no sotto al quale erano passati segnasse il confine tra un’Italia ancora abitata e un’altra completamente abbandonata.
Nella carrozza c’erano rimaste poche persone: quasi tutte si erano spinte in perlustrazione verso la testa del treno, e nessuno era ancora tornato. Lui decise di rimanere al proprio posto, come facevano gli americani e la ragazza con gli auricolari – che peraltro, tutti e tre, parevano fare ciò che faceva lui. Il treno arrivò alla stazione di Bologna e nemmeno rallentò, da quanto era deserta.
Il tratto di pianura fino a Milano scivolò via in...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Copyright
  4. POESIE - Giuseppe Bertolucci - Umili schegge
  5. COVER
  6. Soluzioni
  7. Notizie biografiche