Durante gli anni del mio lavoro-non lavoro (considero la mia professione una meravigliosa esperienza) i pazienti mi hanno proposto di aiutarli a risolvere sintomi e disturbi di ogni genere e grado.
Non reputo mai assurde le loro richieste anche se, a neuroni critici, alcune domande potrebbero apparire paradossali. Nicola è preoccupato dalle vibrazioni e da tutto ciò – siano apparecchiature, ventole o motori – che solleciti ritmicamente il suo apparato uditivo.
Il lavoro che quotidianamente svolge mal si concilia con questo suo disagio poiché un parrucchiere per signora è esposto di continuo al turbinio dei phon e al murmure dei caschi per asciugatura.
Cerco in letteratura una parola che classifichi questa particolare fobia e non la trovo. Genericamente può essere considerata una fonofobia, ma il termine non mi soddisfa del tutto.
Mi risulta empaticamente simpatico con i suoi capelli lunghi e mossi, i baffi e il pizzetto alla d’Artagnan e un sorriso radioso, completamente spontaneo. Capisco sulle prime che è un’ottima astronave della trance in quanto, dopo tanta esperienza, riesco a quantificare il grado di difesa psicologica del soggetto che ho di fronte. Nicola si fida di me, si affida. Ha letto i miei libri, mi stima e sa che lavoro sempre con lo spirito di una ricerca aperta anche se cauta.
La descrizione dei casi clinici che riporto nei miei testi è indubbiamente quella dei percorsi più significativi e gratificanti per i pazienti e di conseguenza per me. Il lettore non deve essere tratto d’inganno nel ritenere che tutte le persone entrino nel mio studio e ne escano dopo un’ora miracolate. Ciò non accade, anche se spesso tramite l’ipnosi regressiva si possono ottenere enormi risultati.
Un punto da sfatare è il grado di approfondimento di trance raggiunto dai naviganti dell’Oltre. In media, su dieci persone, tre riescono a perdere coscienza raggiungendo l’abisso della trance. Insieme a colleghi psichiatri, neuroradiologi, genetisti, stiamo studiando questi casi di regressione e channeling in amnesia totale con la risonanza magnetica funzionale e con l’elettroencefalografia. Valutiamo i dosati dei carrier neurotrasportatori di serotonina su linfociti e monociti, studiamo il DNA e credo siamo i primi al mondo ad attuare una ricerca scientifica del genere in un importante centro universitario di Milano.
Si perde quindi coscienza tramite la trance, ma non tutti riescono a farlo. Su dieci, altri quattro pazienti, pur mantenendo il rapporto contestuale con l’ambiente esterno, possono entrare in trance anche se meno profonda compiendo ugualmente regressioni importanti, utili per abreagire cariche emotive inconsce. E, infine, tre non entrano in trance e, anche se un po’ delusi, possono essere avviati alla psicoterapia tradizionale.
Nicola è uno dei tre fortunati soggetti che si addormentano in un battibaleno ed è per questo che il suo stupendo caso viene descritto in questo libro.
Durante il primo tentativo la trance lo coglie spontaneamente come se avesse già navigato altre volte in mare aperto.
«Sono su un aereo... sono il primo pilota...» esordisce.
«Stai volando di notte o di giorno?»
«È l’alba... è mattina presto.»
«Sei partito da molto lontano?»
«No.»
«Da vicino? Sei appena decollato?»
«No.»
«Sei decollato da un po’. Da quanto circa?»
«Un’oretta.»
«Sei da solo a pilotare?»
«No.»
«C’è una persona al tuo fianco?»
«Sì.»
Spesso all’inizio della trance i soggetti rispondono a monosillabi per poi prendere maggiore confidenza.
«Quanti motori ha il tuo aereo?»
«Due.»
«Due motori... E quanta gente c’è a bordo?»
«Trentuno.»
«Trentuno persone?»
«Sì, trentadue con me» risponde sicuro.
«Sei il comandante?»
«Sì.»
«Il secondo pilota cosa sta facendo?»
«Niente. Sta guardando fuori.»
«State parlando?»
«Sì.»
«Del più e del meno?»
«Di cose normali.»
«Non è necessario parlare tanto, vero?»
«No.»
«È una persona che conosci?»
«Sì.»
«Bene?»
«Sì.»
«Hai volato tanto con lui?»
«Sì, parecchie volte.»
«Ti è simpatico?»
«Sì, sì.»
«Sei più esperto tu?»
«Sì, lui è più giovane.»
È fondamentale quando si deve approfondire la trance porre domande continue che favoriscano l’identificazione del soggetto nell’esperienza di regressione che sta vivendo.
«Come sei vestito?»
«Ho una maglia bianca.»
«Una maglia bianca... Poi?»
«Dei pantaloni normali.»
«Cosa si vede? Ci sono delle luci o no?»
«Sì.»
«Descrivimi cosa vedi sotto.»
«C’è il mare e in fondo c’è la costa... a terra si vedono le luci.»
«Dove devi atterrare?»
«Miami.»
«E l’hai fatto tante volte, no?»
«Sì.»
«È la rotta che fai solitamente?»
«No.»
«È nuova?»
«Sì, nuova... dipende da dove dobbiamo andare.»
«Quanto hai per arrivare?»
«Adesso... venti minuti.»
«Avanti, avanti. Avanti, avanti verso Miami. Il cielo è sereno?»
«Pulitissimo. Si vedono le luci, la torre di controllo dice che è tutto a posto.»
«Tutto a posto.»
«Sì.»
«Stai atterrando?»
«No, ancora no.»
«Ci sono delle hostess a bordo?»
«Sì.»
«Quante sono?»
«Due... o una, non me lo ricordo...»
«Di che nazionalità sei?»
«Portorico.»
«Portoricano. Qual è il tuo nome?»
«Non lo so... Robert, credo Robert...»
«Voli da parecchio tempo?»
«Sì.»
«Hai fatto la tua carriera, sei soddisfatto, no?»
«Sì.»
«Hai una famiglia?»
«Sì.»
«Dei bambini? Dei ragazzi?»
«Mi sembra.»
«Si vedono le luci di Miami?»
«Sì.»
«Descrivimi Miami. Quando si arriva a Miami cosa si vede?»
«Si vedono le luci della costa, però bisogna abbassarsi per atterrare. Occorre fare una virata a sinistra e una a destra, una specie di gimcana per allinearsi alla pista.»
Resto sconvolto dai dettagli e dalle descrizioni precise del pilota che vive realmente l’esperienza che racconta.
«Conosci l’aeroporto... Hai già volato qui altre volte, no?»
«Sì.»
«In che anno siamo circa?»
«1948.»
«Sai anche il giorno?»
«Come?»
«Sai il giorno?»
«28 dicembre.»
«Stai volando il 28 dicembre 1948 verso Miami. Che ore sono?»
«Boh... mi sembra le sei del mattino.»
«È presto, mattino presto. Vola, vola, ora dovrai atterrare...»
«No.»
«No, cosa? Cos’è che non va?»
«Ci sono dell...