Magus - Il romanzo di Nostradamus
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Magus - Il romanzo di Nostradamus

  1. 780 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Magus - Il romanzo di Nostradamus

Informazioni su questo libro

Michel de Nostredame nasce in una piccola cittadina provenzale nel 1503. A Montpellier intraprende gli studi di medicina, ma sarà l'astrologia l'arte che accenderà il suo spirito e il suo intelletto. La fame di sapere lo accompagnerà nei suoi viaggi attraverso l'Europa, dalla Venezia licenziosa dei dogi alla splendida corte del re di Francia. Perseguitato da una donna malvagia e assetata di vendetta, Nostradamus troverà presso Caterina de' Medici onori e fama, ma non la pace. Dovrà affrontare nemici numerosi e potenti, mentre nella sua mente prende forma il crogiuolo profetico delle centurie, le misteriose quartine sul tempo a venire... Valerio Evangelisti, il creatore della saga dell'inquisitore Eymerich, interroga con la sua straordinaria vena romanzesca il personaggio indecifrabile di Nostradamus. E scrive una storia potente e tenebrosa, accesa dai colori vibranti delle grandi narrazioni storiche.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804580560

L’Abisso

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Abrasax. L’assurdo

«Non esiste destino immutabile!» gridò il giovane prete. «Non esiste destino prefissato
«È vero» rispose Ulrico. «Però esiste un destino che nessuno ha la forza di mutare. Perché richiederebbe una volontà condivisa da tutti, che l’egoismo umano non ammette.»
Nostradamus si accorse, con spavento, di subire ancora il fascino del vecchio mago. L’intero cosmo sembrava subirlo.
I bambini mostruosi si erano piegati devotamente sulla sabbia, formando con i loro corpi un gigantesco tappeto di pelle umana, interrotto qua e là dalla vegetazione e dalle scaglie verdastre dei rettili. La stella a cinque punte aveva pulsato per un poco nel cielo scuro, poi si era dissolta in una luminosità tenue e gradevole, che aveva restituito a quel vuoto le parvenze di un firmamento. Solo il freddo intenso ricordava ai due uomini e alla donna che si trovavano ancora nell’impero del delirio.
Nostradamus aspirò una boccata d’aria dall’aroma metallico. Fissò Ulrico con odio, cercando di soffocare l’amore sconfinato che provava per quel vecchio.
«Sei stato tu a dirmi, nella tomba del Triumviro, che il Re di spavento sarebbe stato bloccato dall’alleanza tra nemici. Le tre entità che mi accompagnano un tempo avevano un nome. Diego Domingo Molinas, l’agente dell’Inquisizione di Spagna. Caterina Cybo-Varano, la donna ossessionata dal terrore della decadenza fisica e dalla sete di vendetta. Padre Michaelis, il gesuita che detestava in me l’idea del destino preordinato. Nessuno mi ha odiato quanto loro. Eppure vedi tu stesso che adesso sono tutti e tre al mio fianco.»
Ulrico strinse gli occhi, come se cercasse di evocare ricordi lontani. Il cosmo assecondò il moto delle sue pupille, e parve contrarsi. Una ventata, dovuta a quello spasmo, coprì di sabbia le schiene dei bambini, nascondendole sotto un deserto gibboso dalle dune frementi.
«Ricordo l’ora della mia morte» disse Ulrico. «Avevi due compagni di viaggio, ma nel pozzo ti calasti tu solo. Mi trovasti disteso sulla lastra consacrata al triplice nume. Mi chiedesti notizie futili.»
«Futili per te» replicò Nostradamus. «Ti domandai di mia moglie, che stavo cercando.»
«E io ti risposi che non ne sapevo nulla, e che non mi interessavo alle femmine. Ero alle prese con la morte fisica. Tua moglie l’avresti trovata altrove.»
Nostradamus alzò le spalle, cercando di nascondere il fremito che il ricordo della sposa aveva ridestato in lui.
«È inutile rievocare un tempo tanto lontano. Come vedi ho raccolto la tua sfida, e l’ho vinta. La legge dell’amore prevale su quella dell’odio, ancora una volta. Sarà la prima, e non la seconda, a dominare il tempo.»
Ulrico increspò le labbra nel suo sorriso falsamente gentile e scosse il capo.
«Come sei ingenuo, Michel. I tuoi ex nemici forse non ti odiano più, ma nemmeno ti amano. Non saranno le loro anime riunite a mettermi paura e a fermare il Re di spavento.»
L’uomo col mantello nero alzò un dito.
«Non barare, stregone» disse con astio. «Il Re di spavento sei tu, assieme a Satana, tuo signore.»
L’evocazione di Satana mutò il vento in una specie di gelido palpito, come se l’intero ottavo cielo tremasse di orrore. I bambini mostruosi scavarono frenetici nelle dune e si immersero più profondamente nella rena, scomparendo alla vista. Nello stesso istante il viso da neonato ebete di Parpalus tornò ad apparire in cielo. Ma questa volta era piccolo e distante. Somigliava a un astro dalla superficie grinzosa.
Ulrico non fece caso a quella scena. Si limitò a mormorare:
«Diego Domingo Molinas, vi siete portato dietro la vostra goffaggine persino nell’oltretomba. Sulla terra, il Re di spavento regna già, o regnerà in futuro, o ha regnato nel passato. Suvvia, non è così difficile da individuare. Michel, aiuta tu il tuo stupido amico. Cos’è che può invertire il corso della storia? Lasciare gli uomini incerti della propria identità e farli regredire a una follia primordiale?»
«Non lo so proprio» rispose Nostradamus.
«Sì che lo sai. Ne hai parlato in tutti i tuoi libri. Possibile che tu non abbia capito ciò che Parpalus ti suggeriva? Ti ha dettato mille volte quel nome, e mille volte tu lo hai scritto.»
Parpalus, da lontano, esplose in un ghigno che increspò le volte traslucide degli otto cieli e dei 365 eoni dell’Abrasax. Nostradamus rifletté intensamente, ma fu costretto a un gesto impotente.
«Non capisco» bisbigliò sconfitto.
Ulrico ridacchiò.
«Va bene, ti metterò sulla buona strada: pensa ai quattro cavalieri dell’Apocalisse. Qual è il secondo? È lui l’agente della regressione e della follia.»
Immediatamente Nostradamus comprese. Fece per rispondere, ma d’improvviso l’assurdo si spalancò dinanzi a lui. Gli occhi gli si riempirono di immagini angosciose e terrificanti. Le scandiva il battito, sulla superficie del buio, di sedici enormi zoccoli appartenenti a cavalli giganteschi ammantati d’ombra: l’uno era bianco, l’altro rosso, il terzo nero, l’ultimo verdognolo. Spade dorate si levavano in alto, risplendendo di riflessi sanguigni. Corazze di costole umane incastonate nel metallo cigolavano e pulsavano. Sotto le visiere di elmi fantastici, cavità rossicce dalle pupille vuote scintillavano in volti di tenebra.
Un coro di urla si alzò da ogni lato, stentoreo e agghiacciante. L’assurdo dominava l’universo, e con esso il terrore.

L’esercito di Dio

L’autunno del 1555 era a Roma straordinariamente mite, e un bel sole sfavillante illuminava la città, prolungandovi l’estate. Ne soffrivano un po’ i quartieri popolari, in cui sembravano abbarbicarsi e crescere l’uno sull’altro edifici tetri e cadenti, che avevano in comune scale, cortiletti asfittici e ballatoi, oltre alla miseria. L’assenza di pioggia lasciava libero sfogo ai miasmi delle viuzze invase dai liquami e dai cumuli di spazzatura, talora tanto alti da rendere difficile il passaggio. L’aria mefitica assediava anche i palazzi nobiliari che, invece di sorgere isolati, come avveniva in altre città europee, erano incastrati nel groviglio delle stamberghe e ne condividevano, con la servitù, la rumorosa quotidianità.
Quel solleone fuori stagione beneficiava invece i giardini signorili separati da mura dal cuore dell’Urbe. Era il caso dei giardini vaticani, silenziosi e raccolti. L’assenza prolungata di piogge aveva un po’ ingiallito le foglie degli alberi e l’erba dei prati, ma passeggiare per i vialetti garantiva frescura e fragranza. Per questo motivo molti prelati preferivano lasciare i propri palazzi e, dalla mattina presto, andare a trattare i loro affari all’ombra degli edifici papali.
Talora, se si trattava di cardinali, avevano in testa un largo cappello di seta rosso scuro, abbellito da fiocchi bianchi, che somigliava a un parasole. Era un copricapo del genere che calcava, in una mattinata di fine settembre, un prelato molto giovane per la sua carica, mentre teneva sottobraccio un prete altrettanto giovane dai lunghi capelli biondi, tutto vestito di nero. Due schiavi turchi li seguivano a distanza.
«È il primo caso in cui mi imbatto di un ex domenicano passato alla Compagnia di Gesù» disse al compagno il cardinale Alessandro Farnese, nel tono apparentemente fatuo che gli era abituale. «Vi confesso, padre Michaelis, che io non avrei mai autorizzato nulla di simile. Si vede che il cardinale de Tournon ha vedute più larghe delle mie.»
Sebastien Michaelis rilevò il giudizio severo nascosto nella frase, ma non vi badò.
«Sua eminenza de Tournon ha capito le mie motivazioni» si limitò a dire.
«Che sarebbero?»
«Non posso riassumervele in due parole. Essenzialmente si tratta di questo: i domenicani hanno capito poco o nulla di calvinismo e luteranesimo, e si ostinano a considerarli una variante delle eresie dei secoli scorsi. Affrontano i sedicenti riformati con la stessa brutalità che un tempo riservavano ai catari o ai fratelli del libero spirito.»
«I gesuiti, invece?»
«Hanno capito che si tratta di un fenomeno nuovo, che va affrontato con armi adeguate. Non è un caso se Ignazio di Loyola è stato ufficiale al servizio del re di Spagna. I sedicenti riformatori costituiscono un pericolo di proporzioni inusitate, da sconfiggere con strategie di conquista.»
Alessandro Farnese inarcò un sopracciglio.
«Be’, quanto a violenza, se così la vogliamo chiamare per semplicità, i domenicani non sono secondi a nessuno. È da tre secoli ormai che reggono l’Inquisizione. È vero che sono affiancati dai francescani, ma l’impronta di fondo resta la loro. Domini canes: i mastini di Dio.»
«Mastini? No, dalmata. Bianchi e neri.» Padre Michaelis strinse gli occhi azzurri. «Quando parlavo di conquista, intendevo anzitutto conquista delle coscienze. Sono stato a lungo inquisitore anch’io, accanto a Mathieu Ory, il capo del Santo Uffizio di Lione. Ho visto esercitare, e ho esercitato io stesso, una brutalità ottusa. Secondo me, è giunto il momento di agire diversamente. Usare l’educazione e la cultura invece dell’imposizione dogmatica, la sottigliezza in luogo della forza. Se l’Inquisizione fosse nelle mani dei gesuiti, non sarebbe lo strumento inutilizzabile che è ora.»
Il cardinale sospirò.
«Ne sono convinto. Ma non è tanto facile strappare il Santo Uffizio agli ordini predicatori.» Fece un gesto ampio. «In effetti si tratta di un congegno farraginoso e obsoleto. Il quadro che offre di sé è desolante. L’Inquisizione di Spagna è più che altro uno strumento della volontà imperiale, quella romana latita da tempo, mentre quella delle regioni cattoliche della Germania è ossessionata dalla guerra alla stregoneria e trascura il nemico che ha in casa.»
Padre Michaelis annuì.
«Ciò che dite è vero. Ma i gesuiti sono la forza nuova di cui la Chiesa dispone, e la più agguerrita. Convenitene, em...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il Presagio
  4. L’Inganno
  5. L’Abisso
  6. Epilogo 1999. L’occhio imprigionato
  7. Breve bibliografia
  8. Copyright