
- 238 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Uomini e no
Informazioni su questo libro
Lampi d'umanità e d'amore nella torva, violenta Milano del 1944. La stagione più dura della Resistenza in uno dei migliori romanzi del dopoguerra, una delle pagine più alte della nostra letteratura civile.
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Informazioni
Uomini e no
I. L’inverno del ‘44 è stato a Milano il più mite che si sia avuto da un quarto di secolo; nebbia quasi mai, neve mai, pioggia non più da novembre, e non una nuvola per mesi; tutto il giorno il sole. Spuntava il giorno e spuntava il sole; cadeva il giorno e se ne andava il sole. Il libraio ambulante di Porta Venezia diceva: «Questo è l’inverno più mite che abbiamo avuto da un quarto di secolo. È dal 1908 che non avevamo un inverno così mite».
«Dal 1908?» diceva l’uomo del posteggio biciclette. «Allora non è un quarto di secolo. Sono trentasei anni.»
«Bene» il libraio diceva. «Questo è l’inverno più mite che abbiamo avuto da trentasei anni. Dal 1908.»
Egli aveva perduto il suo banco nei giorni della distruzione di agosto; aveva lasciato la città ; e non è ritornato a Porta Venezia che al principio di dicembre per poter vedere questo che vedeva: il più mite inverno di Milano dopo il 1908.
Splendeva il sole sulle macerie del ‘43; splendeva; ai Giardini, sugli alberi ignudi e sulle cancellate; ed era una mattina nell’inverno, era gennaio. Un uomo si fermò davanti al banco dei libri; portava una bicicletta per mano.
«Buongiorno» il libraio gli disse.
«Buongiorno.»
«Che inverno, eh!»
«Che inverno è?»
«È l’inverno più mite che abbiamo avuto da un quarto di secolo.»
Si avvicinò l’uomo del posteggio.
«Da un quarto di secolo?» disse. «O dal 1908?»
«Dal 1908» disse il libraio. «Dal 1908.»
II. L’uomo che si era fermato a guardare i libri guardò l’aria, il cielo, vide il sole sui tranvai, vide un tranvai 27 che ripartiva dalla fermata della Porta, e nella folla di cui era pieno vide, contro i vetri, il gomito e la spalla di una donna.
Un grande suono allora irruppe in lui; e spinse correndo la bicicletta, attraversò i binari, raggiunse la piazza. Il tranvai era già lontano, percoteva di squilli il suo binario già oltre la fermata successiva, ma egli montò sulla bicicletta e lo rincorse. Un pezzo corse, e mai rivide, nel nero della folla chiusa dentro il tranvai, il gomito e la spalla di una donna per i quali correva. Pure sapeva di non essersi sbagliato, perdurava in lui il grande suono, e da ogni giornata ch’era stata, settembre e ottobre, novembre e dicembre, uno splendore veniva a lui, e si univa a quello ch’era ora.
In piazza della Scala, la donna scese.
«Lo sapevo» le disse «ch’eri tu.»
Lei si appoggiò alla sua bicicletta.
«Era» egli le disse «come tu sei stata.»
Lei gli prese e baciò la mano, lasciò che parlasse.
«Correvo, ed era come sei stata. Correva il tram, ed era come sei stata.»
Questo in piazza della Scala.
Ma lui non sapeva che cosa intendesse dire. Le indicò le case, il sole, il teatro in macerie, e le disse:
«Hai mai veduto un inverno simile? È come tu sei stata.»
La tolse dalla folla, e la condusse fino al marciapiede di via Manzoni: non dalla parte del caffè Cova, dall’altra. «È l’inverno più splendido che abbiamo avuto da un mucchio d’anni» le disse.
«E sai da quando?» soggiunse. «Sai da quando?»
La fermò e di nuovo la guardò. «Dal 1908. Da quando tu sei nata.»
Lei era pallida, ma non diceva niente.
«Scusami» le disse. «Ma io ero con te quando sei nata. Non ero con te?»
«Sì» lei rispose.
«Sono stato sempre con te» egli le disse. «Non sono stato sempre con te?»
«Sì» lei rispose.
III. Ora camminavano sottobraccio.
L’uomo portava la bicicletta con la mano sinistra e lei, la donna, era nell’altra sua mano, camminava dentro di lui, non sulla strada.
«E allora?» egli le disse. «Sei contenta che ti abbia ritrovata?»
«Sì» lei rispose. Poi, d’un tratto, mutò; lo guardò non più pallida, e diventò rossa. «Come si dice» chiese «di una donna che va a letto con tutti gli uomini che le piacciono?»
«Si dice in molti modi.»
«Dinne uno.»
«Perché?»
«Perché è il modo in cui mi sento.»
Egli le prese e strinse forte la mano, gliela tenne stretta.
«Ma che intendi dire?»
«Non so. Era un pezzo che non mi accadeva.»
«Era da un pezzo? Era da quando?»
«Non dall’ultima volta che ti ho visto.»
«Tu chiami questo sentirsi a quel modo?»
«No. No. Tutto lo scorso inverno ci siamo visti, e mai lo sentivo. E tutto l’anno prima ci siamo visti, e mai l’ho sentito.»
«Pure l’hai sentito qualche altra volta.»
«Una volta tre anni fa. E sette anni fa un’altra volta.»
«È stato tre anni fa l’ultima volta?»
«Tre anni fa.»
«Non puoi dirmi com’è stato?»
«Com’è stato tre anni fa? Non posso.»
«Non puoi?» egli disse. «E ora è lo stesso?»
«Ora è di più» gli disse lei. «Non è mai stato com’è ora.» Abbassò la voce. «Vuoi prendermi?» gli chiese. «Prendimi e facciamola finita.»
«È di questo che hai voglia? Di farla finita?»
«Non so. Ho voglia che tu mi prenda.»
«Di questo ho voglia anch’io.»
«Allora portami in qualche posto e prendimi» disse lei.
IV. L’uomo salì sulla bicicletta e la tolse in canna: andarono verso piazza Cavour.
«Dove mi porti?»
«Ti porto dove dormo.»
«È lontano?»
«In fondo a corso Sempione.»
Lei lo sentiva su una spalla, gli si avvicinò anche con la schiena.
«Che c’è?» egli chiese.
«Stavo pensando.»
«Pensando che cosa?»
«Quest’inverno e tutti gli altri inverni. Tutto il tempo di noi.»
«E non lo abbiamo con noi? Non è perduto.»
Di sotto al cappello di lei, sopra il bavero di pelliccia, c’erano i suoi capelli. Egli li prese tra i denti, e già erano oltre via Pontaccio, erano lungo il parco, splendeva sul terreno bianco l’inverno, nella solitudine dei grandi alberi spogli.
«Che inverno!» egli esclamò.
«È davvero come dicono?» chiese lei.
«Sì» egli disse. «Dal 1908.»
«Da quando sono nata?»
«Dall’inverno che sei nata.»
«Perché sai quando sono nata?»
«Non me l’hai detto tu? Tu me l’hai detto.»
«Mi dispiace di avertelo detto.»
«Non devi dispiacerti. Perché devi dispiacerti?»
«È per il modo in cui mi sento oggi.»
«Non ti sentivi come oggi quando me l’hai detto?»
«Mi sentivo in quell’altro modo. Mi sentivo contenta di esser...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Elio Vittorini
- Uomini e no
- Copyright