Questione di pratica
eBook - ePub

Questione di pratica

  1. 280 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Questione di pratica

Informazioni su questo libro

Payton Kendall e J.D. Jameson sono avvocati dello stesso studio. Femminista convinta, Payton ha lottato per avere successo in una professione dominata dagli uomini. Ricco e presuntuoso, J.D. ha fatto del suo meglio per ignorarla. In pubblico sono inappuntabili. Devono esserlo. Per otto anni si sono tenuti a distanza di sicurezza e si sono tollerati solo per una ragione: riuscire a diventare soci dello studio. Tutto però cambia quando viene chiesto loro di collaborare a un caso importante. Costretti a lavorare gomito a gomito, si scoprono presto pericolosamente attratti l'uno dall'altra. Ma non c'è tempo per la passione. O così almeno pensano loro, mentre la competizione si fa rovente e la battaglia dei sessi ha inizio…

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804644019
eBook ISBN
9788852059001

JULIE JAMES

QUESTIONE
DI PRATICA

Traduzione di Lucia Rebuscini

Mondadori

Questione di pratica

A Jackson
La vera essenza dell’amore non è la scortesia nei confronti di tutti gli altri?
JANE AUSTEN
Orgoglio e pregiudizio

1

La sveglia suonò alle cinque e trenta del mattino. Assonnata, Payton Kendall sollevò una mano verso il comodino e a tastoni cercò di zittire quel rumore insopportabile. Per qualche istante rimase lì, avvolta nel tepore delle lenzuola, aprendo lentamente gli occhi. Godendosi quei pochi attimi della giornata che poteva considerare davvero solo suoi. Poi, ricordando all’improvviso, balzò su dal letto.
Oggi era il grande giorno.
Payton aveva un piano per quella mattina. Non a caso aveva puntato la sveglia per alzarsi mezz’ora prima del solito. Si era resa conto che lui si presentava in ufficio ogni giorno alle sette. Evidentemente gli piaceva l’idea di arrivare per primo. Ma quella mattina lei sarebbe già stata lì. Ad attenderlo.
Nella sua mente, Payton aveva già programmato tutto. Si sarebbe comportata con disinvoltura. Sentendolo arrivare, sarebbe uscita casualmente in corridoio per prendere qualcosa dalla stampante. “Buongiorno” lo avrebbe salutato sorridendo. E senza che lei dovesse aggiungere altro, lui avrebbe compreso alla perfezione il significato di quel sorriso.
Sicuramente lui avrebbe indossato uno dei suoi abiti di sartoria, che si faceva fare su misura, Payton ne era certa. «Quell’uomo sa come vestirsi» aveva detto una delle segretarie, mentre spettegolava davanti alla macchina del caffè, nella sala relax del cinquantatreesimo piano. Payton aveva resistito alla tentazione di aggiungere qualcosa a quel commento per non tradire ciò che pensava di lui e che fino ad allora aveva cercato di tenere nascosto.
Iniziò a prepararsi per uscire. Per un uomo doveva essere molto più facile, pensò, non per la prima volta. Niente trucco, niente piastra per i capelli, niente gambe da depilare. Non avevano nemmeno bisogno di sedersi per fare la pipì, quei bastardi! Barba, doccia… e in dieci minuti erano fuori di casa. Anche se Payton sospettava che lui ci impiegasse un po’ di più. Quei capelli arruffati, perfettamente imperfetti, di sicuro richiedevano l’uso di qualche prodotto. E, da quello che aveva potuto constatare di persona, lui non indossava mai la stessa combinazione camicia-cravatta per due volte nello stesso mese.
Non che lei non curasse il proprio aspetto. Un esperto che aveva collaborato con lei a una causa di discriminazione di genere particolarmente spinosa le aveva detto che i giurati – sia uomini che donne – considerano più favorevolmente le avvocatesse attraenti. Nonostante questa realtà le apparisse tristemente sessista, la accettava comunque come un dato di fatto e faceva di tutto per apparire al meglio sul lavoro. E poi si sarebbe fatta uccidere piuttosto che non apparire al meglio di fronte a lui.
Il viaggio verso l’ufficio fu tranquillo; non c’era in giro tanta gente così presto. La città sembrava svegliarsi lentamente, mentre Payton percorreva i tre isolati che la separavano dallo studio legale. Il sole del primo mattino si rifletteva sul lago, ammantandolo di un dolce bagliore dorato. Payton sorrise tra sé varcando la soglia dell’edificio; era decisamente di buonumore.
La sua euforia aumentò quando l’ascensore si fermò al cinquantatreesimo piano. Il suo piano. Il loro piano. La porta si aprì rivelando l’atrio buio dello studio. Le segretarie sarebbero arrivate di lì a due ore almeno. Meglio così. Aveva un paio di cose da dirgli, e se tutto fosse andato come previsto, quella mattina sarebbe riuscita a parlargli liberamente senza il timore che qualcuno potesse udirli.
Payton s’incamminò con sicurezza lungo il corridoio, facendo ondeggiare la valigetta di fianco a sé. L’ufficio di lui era più vicino all’ascensore, quindi ci sarebbe passata davanti. Erano trascorsi otto anni da quando si erano trasferiti nei rispettivi uffici, situati sui due lati opposti del corridoio. Payton rammentava perfettamente la targhetta affissa alla porta: J.D. JAMESON.
Il solo menzionare il suo nome le faceva venire il batticuore…
Svoltò l’angolo, sorridendo al pensiero di ciò che lui avrebbe detto quando…
Si bloccò improvvisamente.
Nell’ufficio di J.D. la luce era accesa.
Ma… come? Impossibile! Si era alzata a quell’ora assurda per arrivare per prima. Che ne era del suo piano, del suo grande piano? Quello di avvicinarsi casualmente alla stampante, di rivolgergli un sorrisetto malizioso e di dirgli “Buongiorno, J.D.”?
Udì una familiare voce baritonale alle proprie spalle.
«Buongiorno, Payton.»
I battiti del cuore le salirono alle stelle. Non poteva farci nulla, il solo sentire il suono della sua voce aveva quell’effetto su di lei. Si voltò e se lo ritrovò davanti.
J.D. Jameson.
Era così tipicamente J.D.: senza la giacca, con i pantaloni dal taglio classico, in tessuto gessato color aviazione e i capelli castano chiaro arruffati ad arte. Era anche abbronzato, probabilmente perché aveva giocato a tennis o a golf durante il fine settimana. Le rivolse uno dei suoi sorrisi smaglianti, appoggiandosi con noncuranza all’armadio alle sue spalle.
«Ho detto buongiorno» ripeté lui.
E Payton fece quello che sempre faceva quando vedeva J.D. Jameson.
Aggrottò la fronte.
Quello stronzo aveva vinto. Di nuovo.
«Buongiorno, J.D.» rispose con il tono sarcastico che riservava solo a lui.
J.D. controllò l’orologio e poi guardò da una parte all’altra del corridoio con deliberata teatralità. «Mi è sfuggito il carrello del pranzo, per caso? È già mezzogiorno?»
Payton lo odiava. “Io non arrivo mai a mezzogiorno!” fu sul punto di replicare, ma si morse la lingua. No, non si sarebbe abbassata al suo livello per difendersi.
«Forse, se prestassi meno attenzione ai miei andirivieni e dedicassi un po’ più di tempo al lavoro, ti basterebbe fatturare dieci ore anziché quindici, J.D.»
Notò con soddisfazione che le sue parole gli avevano cancellato quel sorrisetto ebete dal viso. Touché. Con un atteggiamento freddo e distaccato, affinato negli anni, Payton girò sui tacchi e si diresse verso il proprio ufficio.
Che cosa stupida, pensò… quell’eterno atteggiamento competitivo che J.D. aveva con lei. Evidentemente si concentrava troppo su quello che faceva lei. Era così fin da quando… be’, da sempre, in realtà. Grazie a Dio, lei era superiore a quelle assurdità.
Payton entrò nel suo ufficio e si chiuse la porta alle spalle. Posò la valigetta sulla scrivania e si sedette sulla logora poltrona di pelle. Quante ore aveva passato su quella poltrona? Quante nottate in quell’ufficio? Quanti fine settimana aveva sacrificato al lavoro? E tutto per dimostrare di essere degna di diventare socia dello studio… per dimostrare che lei era la migliore.
Attraverso la porta a vetri vedeva l’ufficio di J.D., dall’altra parte del corridoio. Lui era seduto di nuovo alla scrivania, davanti al computer, e stava lavorando. Ma certo, come se avesse delle questioni della massima importanza di cui occuparsi!
Payton prese il portatile dalla valigetta e lo accese, pronta a iniziare la giornata. Dopotutto, anche lei aveva delle cose della massima importanza su cui concentrarsi.
Innanzitutto, come diavolo avrebbe fatto a svegliarsi alle quattro e trenta l’indomani mattina.

2

«Vedo che hai battuto il tuo stesso record.»
Payton alzò gli occhi dal computer mentre Irma entrava in ufficio sventolando i tabulati con le ore di lavoro che lei le aveva consegnato quella mattina.
«Mi deprimo solo a registrarle» proseguì la segretaria. «Davvero, dovrei farmi assegnare a un altro associato, qualcuno il cui orario di lavoro settimanale non sia lungo come Anna Karenina
Payton inarcò un sopracciglio, prendendo i fogli dalle mani di Irma. «Fammi indovinare… un altro libro raccomandato da Oprah?»
L’altra le indirizzò uno sguardo che le disse che lei si stava avventurando su un sentiero pericoloso. «Mi prendi in giro?»
«No, mai» le assicurò Payton, cercando di non ridere. «Sono sicura che si tratta di un libro meraviglioso.»
Almeno quattro volte all’anno, Irma si recava in pellegrinaggio al West Loop per sedersi tra il pubblico degli Harpo Studios, al cospetto di Sua Santità Oprah Winfrey. Irma prendeva per oro colato tutti i consigli della conduttrice televisiva riguardo allo stile di vita da seguire, alle letture, e a qualsiasi altra cosa. Ogni commento negativo in proposito, da parte di Payton o di chiunque altro, era decisamente sgradito.
La segretaria si sedette davanti alla scrivania in attesa che Payton firmasse i fogli compilati. «Ti piacerebbe. Racconta di una donna molto moderna per i suoi tempi.»
«Sembra promettente» disse Payton distrattamente, scorrendo le ore di lavoro che aveva fatto.
«Poi s’innamora dell’uomo sbagliato» proseguì Irma.
«Un vecchio cliché, direi. E questo Tolstoj sarebbe un bravo scrittore?» Payton scarabocchiò in fretta la propria firma in fondo all’ultimo foglio e li restituì a Irma.
«Questo Tolstoj la sa lunga sui rapporti tra i sessi. Forse potresti imparare un paio di cose da lui.»
Payton finse di non aver sentito il commento. Dopo aver lavorato per anni insieme, lei e Irma avevano sviluppato un rapporto confidenziale e amichevole, e Payton sapeva che il modo migliore di reagire ai commenti pungenti della segretaria riguardo alla sua vita personale era semplicemente quello di ignorarli.
«Hai avuto la prova della mia mancanza di tempo libero» disse Payton indicando i fogli con le ore di lavoro. «Temo che Tolstoj dovrà aspettare sino alla fine del processo. Ma se Oprah ha un libro da consigliarmi che tratta di questioni legali, potrei essere interessata.» Notando lo sguardo minaccioso di Irma, alzò le mani con espressione innocente. «Era così per dire…»
«Sai che cosa farò? Ti terrò il libro in serbo, perché dopo questo mese ho come il presentimento che potrai concederti un po’ di pausa.» Irma le strizzò l’occhio.
Payton tornò al suo computer. Nonostante i ripetuti tentativi di Irma di introdurre l’argomento, lei non ne voleva parlare, per non attirarsi addosso la sfortuna. Quindi finse di non aver capito.
«Cosa succederà il prossimo mese? Io non ne so nulla.»
L’altra sbuffò. «Oh, ti prego! Sulla tua agenda elettronica il prossimo mese è evidenziato da otto anni!»
«Non so di che cosa tu stia blaterando. E smettila di ficcare il naso nella mia agenda!»
Irma si alzò per andarsene. «V...

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