
- 176 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Stargirl
Informazioni su questo libro
Immaginate una scuola di provincia in cui tutti i ragazzi si vestono allo stesso modo e fanno le stesse cose, e poi chiedetevi che effetto farebbe, in un posto del genere, l'apparizione di una ragazza vestita nel modo più stravagante, che va in giro con un topo in tasca e un ukulele a tracolla, piange ai funerali degli sconosciuti e sa a memoria i compleanni dell'intera cittadinanza. Resterebbero tutti a bocca aperta, naturalmente, proprio come succede a Leo quando la vede per la prima volta e si chiede se è una svitata, un'esibizionista o tutte e due le cose insieme. Ma Stargirl è semplicemente se stessa: e non è detto che questo sia un vantaggio, in un mondo fatto di persone che vogliono soltanto "adeguarsi"...
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Informazioni
Print ISBN
9788804530305eBook ISBN
97888520551021
— L’hai vista?
Fu la prima cosa che Kevin mi disse il primo giorno di scuola del penultimo anno delle superiori.
— Vista chi? — replicai.
— Ah! — Allungò il collo e scrutò la folla. Aveva visto qualcosa di eccezionale, glielo si leggeva in faccia. Ridacchiò, sempre guardandosi attorno. — Te ne accorgerai.
Nel cortile, centinaia di studenti giravano a vuoto, si chiamavano l’un l’altro, salutavano facce abbronzate che non vedevano da giugno. Il nostro interesse reciproco non era mai cosí vivo quanto nel quarto d’ora che precedeva l’inizio del primo giorno di scuola.
Gli tirai un pugno sul braccio. — Chi?
La campanella suonò. Ci riversammo nell’edificio.
Sentii di nuovo la stessa domanda durante l’appello, un bisbiglio alle mie spalle:
— L’hai vista?
Nei corridoi. E durante le prime ore di lezione:
— L’hai vista?
Chi poteva essere? Una nuova allieva? Una biondona venuta dalla California? O dall’Est, come molti di noi? O una miracolosa fioritura estiva, una ragazza che a giugno ha ancora l’aspetto di una bambina e a settembre ricompare tutta curve?
E poi, durante la lezione di scienze, sentii un nome: — Stargirl.
Mi voltai. — Stargirl? — chiesi al ragazzo dietro di me. — Che razza di nome sarebbe?
— Esattamente questo. Stargirl Caraway. L’ha detto all’appello.
— Stargirl?
— Sí.
E finalmente la vidi. A pranzo. Indossava un vestito bianco-sporco che le arrivava ai piedi, increspato intorno al collo e ai polsi: sembrava l’abito da sposa della sua bisnonna. Aveva capelli color miele lunghi fino alle spalle. E qualcosa a tracolla, ma non uno zaino. Lí per lí pensai che fosse una chitarra in miniatura; piú tardi scoprii che era un ukulele.
Non aveva un vassoio del pranzo, ma una sacca di tela con dipinto sopra un girasole a grandezza naturale. Mentre attraversava la mensa, calò un silenzio di tomba. Si fermò a un tavolo vuoto, appoggiò la sacca sul pavimento, appese la simil-chitarra alla spalliera della sedia, si sedette. Tirò fuori dalla sacca un panino e cominciò a mangiare.
Metà della mensa continuò a fissarla, l’altra metà cominciò a bisbigliare.
Kevin sogghignò. — Che ti avevo detto?
Annuii.
— Frequenta la prima — spiegò. — Ho sentito dire che finora ha studiato a casa.
— Forse questo spiega tutto — commentai.
Ci dava la schiena, perciò non potevo vederla in faccia. Nessuno le si sedette accanto, ma i tavoli vicini erano strapieni. Non sembrò farci caso. Pareva persa in un mondo tutto suo, isolata in un mare di occhi fissi su di lei, di bocche bisbiglianti.
Kevin sogghignò di nuovo. — Pensi quello che penso io? — mi chiese.
Ridacchiai e annuii. — Sedia Rovente.
Sedia Rovente era il programma che avevamo messo su per la tivú della scuola. Era iniziato l’anno prima. Io ne ero il produttore e il regista, Kevin era il presentatore. Ogni mese intervistavamo uno studente. Finora si era per lo piú trattato di allievi-modello, atleti, bravi ragazzi. Degni di nota per i soliti motivi, ma nel complesso niente di particolare.
All’improvviso Kevin strabuzzò gli occhi. La nuova arrivata aveva preso l’ukulele e aveva cominciato a suonare. E a cantare! Cantava Cerco il quadrifoglio che un dí mi sfuggí. Di nuovo calò un silenzio di tomba. Spezzato da un singolo applauso. Guardai. Era la cassiera della mensa.
Poi si alzò, si mise la sacca a tracolla e s’incamminò fra i tavoli, suonando, cantando, saltellando e piroettando. Tutte le teste si girarono, tutti gli occhi la seguirono, tutte le bocche si spalancarono. Incredulità totale. La vidi per la prima volta bene in faccia quando raggiunse il nostro tavolo. Non era né uno schianto né una racchia. Una spruzzata di lentiggini sul naso. Nel complesso somigliava a cento altre studentesse, a parte due cose: non era truccata, e aveva gli occhi piú grandi che avessi mai visto, gli occhi di un cerbiatto catturati dai fari di un’auto. Mentre ci passava accanto, eseguí una piroetta e il bordo della lunga gonna si allargò a sfiorarmi i pantaloni. Dopodiché uscí dalla mensa.
Dai tavoli si levarono tre applausi scanditi. Qualcuno fischiò. Qualcuno ululò.
Kevin e io ci scambiammo uno sguardo sbalordito.
Kevin sollevò le mani e uní le dita a inquadrare l’aria. — Sedia Rovente! Prossima Attrazione… Stargirl!
Battei un pugno sul tavolo. — Sí!
2
Arrivando a scuola il giorno dopo, trovammo Hillari Kimble che teneva corte sulla soglia.
— È fasulla — la sentimmo dire. Fece una smorfia. — Un’attrice. Un’imbrogliona.
— Ma chi dovrebbe prendersi il disturbo d’imbrogliarci? — chiese una ragazza.
— Il consiglio d’amministrazione. Il preside. Che importa? — Hillari scosse impaziente la testa.
Una mano si alzò di scatto. — Perché?
— Per risvegliare lo spirito di corpo — sibilò lei di rimando. — Pensano che non ne abbiamo abbastanza. Pensano che, infiltrando una pazzoide…
— Tipo uno spacciatore che s’infiltra nelle scuole! — strillò qualcun’altra.
Hillari la fulminò con gli occhi e continuò: — … una pazzoide a smuovere le acque, allora forse, una volta ogni tanto, andremmo a vederci una partita da bravi ragazzi o ci uniremmo a qualche circolo.
— Invece di ciondolare come zombie! — interloquí un’altra voce. Tutti risero, poi la campanella suonò e andammo in classe.
La teoria di Hillari Kimble prese piede in fretta.
— Pensi che abbia ragione? — mi chiese Kevin. — Che sia un’infiltrata?
Sbuffai. — Ma sentiti!
Allargò le braccia. — Che vuoi dire?
— Questo è il liceo di Mica — gli ricordai. — Non un’operazione della CIA.
— Forse no, però mi auguro che Hillari abbia ragione.
— E perché? Se fosse fasulla non potremmo invitarla a Sedia Rovente.
Kevin scosse la testa e sorrise. — Come al solito, Signor Regista, ti sfugge il quadro d’insieme. Potremmo usare la trasmissione per sbugiardarla. Pensa… — Ancora una volta incorniciò l’aria con le dita: — Sedia Rovente Rivela una Truffa della Presidenza!
Lo fissai a bocca aperta. — Tu vuoi che sia fasulla, vero?
Mi rivolse un sorriso da orecchio a orecchio. — Eccome. La nostra audience salirebbe alle stelle!
Lo ammetto: piú la guardavo, piú mi era facile credere che fosse un’infiltrata, un’imbrogliona, tutto fuorché reale. Il secondo giorno si presentò a mensa con ampi calzoni corti rosso-fiamma, completi di pettorina e bretelle… una specie di tuta. I capelli color miele erano stretti in due treccine legate con un nastro rosso acceso. Aveva una chiazza di rossetto per guancia, e si era perfino disegnata qualche altra lentiggine fuori misura. Sembrava Heidi.
Ancora una volta nessuno si accostò al suo tavolo. E ancora una volta, quando finí di mangiare, imbracciò l’ukulele. Ma stavolta non cominciò subito a suonare. Si alzò e si mise a girare fra i tavoli, fissando dritto in faccia ciascuno di noi. Il tipo di sguardo audace, sfrontato, che di solito nessuno ti rivolge… soprattutto un’estranea. Sembrava che cercasse qualcuno, e l’intera mensa era sempre piú a disagio.
E se cercasse me?, pensai mentre veniva verso di noi. La sola idea mi atterrí. Cosí le voltai le spalle e guardai Kevin. Lo vidi rivolgerle un sorriso sciocco, un cenno e un sussurro: — Ciao, Stargirl. — Non ci fu risposta, ma la sentii passare dietro la mia sedia.
Si fermò a due tavoli di distanza, sorridendo a un cicciotto dell’ultimo anno: Alan Ferko. Il silenzio era assoluto. Poi cominciò a suonare. E a cantare. Cantò Buon compleanno a te. E, quando arrivò al punto cruciale, cantò nome e cognome:
— Buon compleanno, caro Alan Fer-kooooh.
Alan Ferko diventò paonazzo come i nastri che le fissavano le trecce. Si levò una salva di fischi e ululati, probabilmente piú diretti ad Alan che a lei. Mentre Stargirl usciva, vidi Hillari Kimble alzarsi all’altro capo della mensa e dire qualcosa che non riuscii a sentire.
— Sai una cosa? — commentò Kevin mentre ci univamo alla folla in corridoio. — Meglio per lei che sia fasulla.
— Perché? — gli chiesi.
— Perché, se è reale, è nei guai. Quanto pensi che una realmente cosí possa durare da queste parti?
Bella domanda.
Il nostro liceo non era esattamente un vivaio di nonconformismo. D’accordo, qua e là spuntavano differenze individuali, ma con margini alquanto ristretti. Ci vestivamo tutti allo stesso modo, parlavamo allo stesso modo, mangiavamo le stesse cose, ascoltavamo la stessa musica. Perfino le schiappe e i bulli avevano “Mica” scritto in fronte. Se per caso ci capitava di distinguerci in qualunque modo, ci affrettavamo a tornare nell’anonimato con lo scatto di un elastico troppo tirato.
Kevin aveva ragione. Era impensabile che Stargirl potesse sopravvivere – sopravvivere immutata, cioè – in mezzo a noi. Ma era anche chiaro che Hillari Kimble aveva almeno in parte ragio...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Una cravatta a porcospini
- 1
- 2
- 3
- 4
- 5
- 6
- 7
- 8
- 9
- 10
- 11
- 12
- 13
- 14
- 15
- 16
- 17
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- 20
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