L'aggressività degli adolescenti
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L'aggressività degli adolescenti

Come comprenderla e affrontarla

  1. 120 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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L'aggressività degli adolescenti

Come comprenderla e affrontarla

Informazioni su questo libro

Chiunque abbia un figlio adolescente si troverà prima o poi a doversi confrontare con ribellioni, rispostacce, ostilità, una gamma di reazioni che spesso coglie alla sprovvista i genitori perché costituisce una radicale trasformazione del bambino affettuoso che fino a ieri pendeva dalle loro labbra e li colmava d'orgoglio. Eppure dovremmo saperlo, perché ci siamo passati tutti: se ripensiamo alla nostra adolescenza, non possiamo non riconoscere che anche noi – chi più, chi meno – siamo stati protagonisti dello stesso conflitto. Quello che forse non sappiamo, ci dicono Stefano Gastaldi e Paola Di Pietro, è che tali comportamenti aggressivi sono solo alcuni dei modi con cui gli adolescenti provano a «differenziarsi», cioè a costruirsi un'identità, a ritagliarsi un proprio spazio nel mondo e a conquistarsi la necessaria autonomia dai «grandi». Nel periodo dell'adolescenza l'aggressività può rivelarsi quindi un indicatore di salute emotiva e uno strumento che «crea benessere, cultura e civiltà», ma se assume forme gravi ed eccessive, può segnalare una sofferenza psichica o un blocco nella crescita, problemi che vanno affrontati senza inutili allarmismi ma nella maniera adeguata. Di fronte alle manifestazioni aggressive dei figli – che ne includono altre di segno apparentemente opposto, come l'isolamento e il ritiro sociale – i padri e le madri sono chiamati a cambiare profondamente il modo più spontaneo di porsi con loro e ad assumere invece un atteggiamento di apertura e di ascolto nei confronti delle mille difficoltà che gli adolescenti incontrano in famiglia, a scuola, con gli amici. La conoscenza delle diverse forme di aggressività adolescenziale illustrate in queste pagine fornisce ai genitori alle prese con figli «ribelli» non solo le chiavi di lettura giuste per fare scelte corrette e consapevoli, ma anche la possibilità di capire che quello che prima vivevano come un fallimento nel ruolo di educatori rappresenta, invece, una situazione problematica eppure «normale» e una preziosissima risorsa: l'occasione, anche per loro, di crescere e rinnovarsi.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
Print ISBN
9788804644194
eBook ISBN
9788852055249

II

PREADOLESCENZA:
L’INIZIO DI UN NUOVO CICLO

L’aggressività ha caratteri, motivazioni ed espressioni che variano da persona a persona, ma anche a seconda dell’età: le modalità e le cause dei comportamenti aggressivi di un ragazzino di dodici anni e di un ragazzo di diciotto sono differenti. È quindi utile distinguere tra preadolescenza e adolescenza, tanto più che anche il ruolo dei genitori – e di conseguenza la loro risposta – sarà diverso con i figli che si trovano in una o nell’altra di queste fasi della vita.
Anche se ci sono varianti individuali e diverse opinioni tra gli esperti, possiamo indicare l’ingresso nella scuola media come l’inizio della preadolescenza. È senz’altro un passaggio che segna numerosi cambiamenti non solo in ambito scolastico, ma anche nella vita complessiva di ragazzine e ragazzini: primo fra tutti non poter più essere considerati bambini. Neppure adolescenti, a dire il vero. Questo momento di transizione porta con sé un alternarsi di comportamenti, pensieri, emozioni che contribuisce all’INSTABILITÀ generale caratteristica della preadolescenza. A cominciare dalle emozioni più forti: la paura e il desiderio di diventare grandi e al tempo stesso la voglia di restare piccoli. È questo che spinge i nostri figli a venirci ancora in braccio per farsi coccolare, e un attimo dopo a reagire con insofferenza a una domanda o a chiudersi in camera per proteggere chissà quale segreto.
In effetti, è giunto per loro il momento di abbandonare l’infanzia, accompagnato dalla tristezza di perdere tutti i suoi lati positivi, come la tenerezza, la protezione, la libertà dalle responsabilità, anche se ciò significa andare verso l’età adulta con i suoi vantaggi, come l’indipendenza e l’autonomia. Affezionati al periodo ormai concluso e attratti da quello che si apre davanti a loro, i preadolescenti da un lato sentono di non essere più bambini ma dall’altro sanno di non essere ancora grandi; vivono così il CONFLITTO DELLA CRESCITA, una ridda di emozioni contraddittorie che li rende molto instabili sia emotivamente sia nei comportamenti.
Ogni genitore è consapevole di questo: sappiamo di doverci aspettare l’incoerente alternarsi di atteggiamenti dei nostri figli, che vengono da noi come cuccioli spauriti e teneri, e un istante dopo si chiudono a riccio nel loro mondo. Ma facciamo fatica a capire e ad accettare quel loro nuovo modo di trattarci, così respingente e antipatico. In effetti, è una vera e propria forma di aggressività quella che mettono in atto quando ci dicono: «Mollami, ma’!» senza nemmeno guardarci in faccia e sbattendo la porta della camera subito dopo. Un’aggressività che non ci meritiamo proprio, con tutta la disponibilità e la comprensione che abbiamo nei loro confronti!
Quest’improvvisa freddezza da un lato ci ferisce, dall’altro ci preoccupa. Eravamo così uniti, fino a poco tempo fa; per capire nostro figlio bastava uno sguardo, e adesso abbiamo di fronte un essere scontroso ed enigmatico… e chissà cosa combina, quando non vuole raccontarci cos’ha fatto, con chi esce, quando non ci dice chi sono i suoi amici. I pericoli per i giovanissimi sono così tanti che l’ansia per la loro sicurezza si somma al dolore e alla rabbia per il COMPORTAMENTO RESPINGENTE nei nostri confronti.
Ci sentiamo vittime di un’ingiustizia e al tempo stesso impotenti: come possiamo proteggere nostro figlio se ci tiene a distanza e ci esclude dalla sua vita? E ci sorge il dubbio di aver sbagliato qualcosa, di dover ricorrere a un’autorità di cui finora abbiamo potuto fare a meno.
Ecco allora che, di fronte a richieste che sembrano pretese, o a REAZIONI BRUSCHE e maleducate, d’istinto reagiamo dicendo di no e punendoli. Con il rischio di apparire incoerenti e poco credibili: fino a quel momento avevamo accettato i capricci del nostro bambino con una comprensiva benevolenza, ora un brusco cambiamento di stile educativo risulta spiazzante, tanto più se avviene proprio quando sarebbe il momento di fare il contrario, facilitando gradualmente il suo sviluppo con un comportamento meno autoritario. Dal canto loro, gli ex bambini capiti e assecondati dai genitori non accettano di essere trattati così, di sentirsi dire così tanti no proprio adesso che cominciano a voler essere più indipendenti. E soprattutto non sanno far fronte alla frustrazione, alla sconfitta, e ora che si devono misurare con il mondo esterno temono di non farcela, di essere inadeguati. Le reazioni aggressive sono quindi provocate da un lato dalla PAURA DI FALLIRE, dall’altro dalla RABBIA di non avere sempre successo.
Ecco perché le nostre reazioni a certi loro comportamenti, seppur comprensibili, sono inefficaci. E presto ce ne accorgeremo. In realtà, l’aggressività di nostro figlio ci obbliga a riflettere, a porci delle domande. A chiederci come sta, quali sono le ragioni del suo modo di fare. E poi ci impone di fare i conti con la nostra rabbia e il nostro dolore, per evitare di prendercela con lui senza capire le sue motivazioni.
Non si tratta di accettare tutto e dargliela sempre vinta, di subire sorridendo e di non mettere limiti alle sue richieste. Come genitori abbiamo senz’altro un diritto di critica, ma ora più che mai dobbiamo trovare nuove misure e nuovi criteri per far fronte alla crescita di nostro figlio e ai rischi che essa comporta.
Perché se è vero che le reazioni aggressive sono frequenti, che i compiti che i preadolescenti sono chiamati ad affrontare li portano ad avere atteggiamenti ambivalenti e spesso fastidiosi, è altrettanto vero che la loro aggressività può essere fisiologica e naturale, oppure la manifestazione di un malessere profondo. Comprendere qual è il caso di nostro figlio è il primo, fondamentale passo da fare.
Non ci sono misure predefinite, né regole precise, né standard da seguire: ciascuno ha una storia propria. Nemmeno due fratelli hanno lo stesso modo di crescere e possono richiedere misure e criteri diversi da parte dei genitori. Ci sono però situazioni e sentimenti comuni a molti, che possiamo usare come una sorta di VOCABOLARIO DELL’AGGRESSIVITÀ in preadolescenza. Ci aiuterà a capire, e quindi a trovare più facilmente la risposta che fa per noi.
Respingenti e scontrosi
In questa grande INCERTEZZA SULL’IDENTITÀ presente e su quella futura, è urgente mettere dei punti fermi, trovare un’àncora e dei riferimenti saldi e precisi. E dunque, dato che una caratteristica evidente e certa del bambino è l’attaccamento ai genitori, il distacco da mamma e papà dimostra a tutti l’abbandono dell’infanzia… Sembra dirsi questo il ragazzino che finge di non vedere i genitori quando è in strada con gli amici, o la ragazzina che sfugge rabbiosamente al contatto fisico con loro quando è in pubblico, anche se si tratta di un breve abbraccio di saluto.
Il rifiuto è ostentato, mostrato in modo eccessivo per assicurarsi che tutti vedano e che nessuno possa fraintendere: «Io non sono un bambino piccolo, non ho bisogno di mamma e papà: visto?». Ma la prima persona che nostro figlio deve rassicurare è se stesso; ha bisogno di convincersi lui per primo che sta diventando grande sul serio. Ecco perché è così scontroso, aggressivo persino, nel modo di respingerci: ha bisogno di bilanciare energicamente i momenti di «debolezza», quando la nostalgia lo assale, quando non riesce a fronteggiare le difficoltà, quando la sua fragilità prende il sopravvento e viene da noi per farsi consolare e proteggere.
Per un genitore, sapere che si tratta di reazioni naturali è tutt’al più una (magra) consolazione: sentirci così rifiutati ci ferisce molto. E ci fa anche arrabbiare, inutile nasconderlo!
CHE FARE?
È il momento di cambiare le misure, di stabilire una NUOVA DISTANZA da nostro figlio e di imparare ad avvertirla sia fisicamente sia emotivamente. Anche mentre lo abbracciamo, cerchiamo di sentire che non è più piccolo. Non toglie nulla all’affetto, non segna un rifiuto; è soltanto una forma di rispetto per il fatto che non è più un bambino. Non significa abbandonarlo: si tratta piuttosto di trovare un NUOVO EQUILIBRIO, che prevede il riconoscimento dell’indipendenza che pian piano sta conquistando, pur mantenendo la presenza ancora necessaria per proteggerlo dai pericoli, seppure in modo ben diverso rispetto all’infanzia.
Anche il corpo di nostro figlio ci offre segnali incontestabili, ci aiuta a comprendere questa necessità di rivedere il concetto di vicinanza: lo sviluppo lo trasforma velocemente, e chiede con forza una conferma, il segnale che ce ne siamo accorti. Per esempio, alla comparsa del primo accenno di seno, il papà non toccherà più sul petto la figlia mentre la coccola, come aveva invece fatto senza problemi fino a pochi mesi prima.
Le misure «giuste» non esistono, non c’è una distanza ideale uguale per tutti: ciascuno deve trovare la propria, insieme a suo figlio. Di solito, appena ci si riesce la tensione diminuisce, e con essa anche la necessità di segnalare al mondo il distacco dai genitori. Ci troveremo accanto, probabilmente e finalmente, un ragazzino meno scontroso e respingente.
Insofferenti e ribelli
Con la preadolescenza arriva un’insofferenza generalizzata alla disciplina. L’aggressività si manifesta anche con la DISUBBIDIENZA PROGRAMMATICA, sempre più frequente: un «no» a prescindere, il rifiuto a priori che sembra essere indipendente da ciò che stiamo chiedendo a nostro figlio. Difficile capire, quando pare non esserci un criterio, una ragione dietro a questa ribellione. Se il rifiuto riguardasse determinate regole, alcune richieste specifiche, potremmo capire cosa vuole dirci, quali sono i suoi obiettivi, che tipo di cambiamenti vuole ottenere nella vita sua e della famiglia, ma così è impossibile, perché i suoi «no» sembrano capricci fatti con il solo scopo di contraddirci e infastidirci.
In realtà, un senso c’è, ma per trovarlo dobbiamo seguire una strada più simbolica e meno diretta tra la causa e l’effetto. A ben vedere, quello che nostro figlio sta cercando di dirci è che non vuole più essere trattato da bambino piccolo: è ai bambini che si dice cosa devono o non devono fare, lui che è grande sa orientarsi da sé, non ha bisogno di ordini.
Spesso la ribellione più forte ed evidente è rivolta contro la MADRE, con la quale fino a poco tempo prima era legato da una grande tenerezza e dalla quale si sentiva profondamente compreso. Ma adesso quel rapporto così intenso gli sta troppo stretto. E del resto, nella maggior parte dei casi è la madre il genitore che più spesso richiama ai compiti quotidiani: «Non lasciare tutto in giro, metti via le tue cose!», «Basta guardare la televisione, fai i compiti!», «Ma non ti sembra ora di lavarsi? Vai a farti una doccia!».
La madre non è solo abituata ad aver cura del figlio, lei lo «sente», sa cosa pensa, intuisce cosa prova e cosa lo preoccupa, è legata a lui in un modo sottile ma profondissimo e intenso. È questa tensione emotiva che le permette di proteggere il figlio e stargli vicina nei momenti difficili. E, a ben vedere, quale momento dello sviluppo è più difficile dell’adolescenza? E così, proprio quando sarebbe necessario allentare la presa, la madre intensifica il contatto: AUMENTA LE RICHIESTE e le osservazioni sul modo di fare e anche le «incursioni» nei pensieri e negli stati d’animo del figlio, per capire se è in pericolo, se soffre, come sta cambiando. Ma ora tutto questo, che finora aveva funzionato a meraviglia, è destinato a fallire. Più la madre chiede o indica cosa fare, più il figlio fa il contrario; più la madre gli scruta dentro, meno sembra capire cosa si agita davvero nel suo animo. Non è solo una grande delusione, è un SENSO DI SCONFITTA, è la bruttissima sensazione di aver perso la connessione e la capacità di sentire e decifrare le emozioni e i pensieri del figlio, proprio ora che, crescendo, la situazione si complica! Senza contare la preoccupazione e le arrabbiature ogni volta che non fa quello che gli si dice ed è sempre più disordinato e disorganizzato.
Anzi, sembra prenderci in giro, perché spesso non si rifiuta di eseguire i compiti che gli diamo, semplicemente rimanda a un «dopo» che non arriva mai.
CHE FARE?
Prima di tutto, cerchiamo di capire il perché di queste reazioni: le istruzioni riguardanti i compiti quotidiani e la profonda sintonia emotiva con la mamma sono davvero «cose da piccoli». Ora che nostro figlio si sente grande pensa di poter fare da sé e di non aver bisogno di tutta questa protezione. Rifiuta di obbedire a quello che gli chiediamo oppure rimanda senza poi passare ai fatti perché ha bisogno di essere lui a decidere, perché vuole sancire la sua indipendenza, la sua esistenza come individuo separato dai genitori. È in sostanza un processo di autoaffermazione, non una presa in giro, come invece sembra a noi. Perché nella preadolescenza l’aggressività deriva spesso dai compiti evolutivi, primi fra tutti quelli del distacco dai genitori, dell’affermazione di sé e della costruzione della propria identità e indipendenza; perciò se allentiamo la presa, riconosciamo la crescita e rimoduliamo la distanza, tutto va meglio e gli atteggiamenti aggressivi di nostro figlio si attenuano.
Naturalmente, ciò non significa abbandonarlo al suo destino. Ciò che dobbiamo cercare di fare è CAMBIARE IL MODO di occuparci di lui. Ha ragione quando si ribella agli ordini, dando voce alla forza che sente dentro di sé e che gli dice che sono i bambini a obbedire mentre ora che è grande deve decidere da solo, ma non sa che non è ancora pronto per l’autonomia completa: diamogli quindi delle indicazioni e dei consigli, invece che dei comandi. Se: «Togli dal tavolo i tuoi libri!» diventa: «Per favore, porta di là i tuoi libri che mi serve il tavolo», è più facile ottenere ciò che si desidera. Non dobbiamo blandirlo, ma dimostrargli che gli lasciamo l’opportunità di capire cosa gli chiediamo e di scegliere di farlo. E quindi che riconosciamo che non è più un bambino. In fondo, il suo obiettivo è proprio questo!
E se anche di fronte a una richiesta gentile si rifiuta? Chiediamogli il perché. Come vedremo anche in altre occasioni, ogni comportamento aggressivo nasconde un significato e, ogni volta che cercheremo di comprenderlo chiedendolo a nostro figlio, avremo l’opportunità di conoscerlo meglio e di mantenere viva la relazione con lui.
Disordinati e confusionari
A proposito delle pessime abitudini che prendono i ragazzi a partire dalla preadolescenza, il disordine è una delle cose che più ci fanno perdere le staffe. La loro stanza sembra un campo di battaglia: vestiti sporchi e puliti lasciati in giro, mischiati fra loro e tutti stropicciati, libri aperti (usati? Lo speriamo, ma non ne siamo poi così sicuri…) sul pavimento, caricabatteria del cellulare attaccato alla presa di corrente e penzolante… Impossibile trattenersi dall’intimare a nostro figlio continuamente, purtroppo invano, di riordinare la sua stanza! Senza dimenticare il resto della casa, dove dissemina i suoi oggetti personali, dallo zaino di scuola alle scarpe. Dirgli di mettere a posto significa innescare una vera e propria GUERRIGLIA, oppure, se non ha voglia o energia per combattere, sentire sbattere una porta dietro la quale si rifugia infastidito, consolandosi con la musica a tutto volume.
E c’è di più: quando, ormai esasperati dalla situazione, ci decidiamo a fare noi quello che avrebbe dovuto fare da sé, mettendo ordine tra le sue cose, invece di una parola di gratitudine ci sentiamo rimproverare!
CHE FARE?
Cominciamo a distinguere gli ambiti della questione: gli spazi comuni vanno rispettati da tutti. Vale la pena di fare un discorso chiaro in proposito, con il nostro disordinatissimo figlio. Ma la stanza, se ne possiede una tutta sua, va sopportata così com’è. Certo, con le minime salvaguardie dell’igiene, e quindi mettendo nel cesto la biancheria sporca, invece di lasciarla dove la porta il caso. Per il resto, è la sua stanza…
La camera del preadolescente è la rappresentazione del suo SPAZIO INTERIORE. E se la prima reazione che ci sorge spontanea a questa affermazione è: «Oddio che confusione!», consideriamo anche il fatto che possiamo guardarla con questa chiave di lettura, trovando utili informazioni su nostro figlio. Senza frugare tra le sue cose e men che meno metterle a posto, perché, come abbiamo già sperimentato, non ne sarà affatto contento. Quello che per noi era un gesto di pace e collaborazione, lui lo vive come un’invasione e una mancanza di rispetto per la sua privacy.
Anzi, per dimostrargli quanto riconosciamo il suo DIRITTO ALLA RISERVATEZZA, evitiamo di aprire i suoi cassetti per mettere via gli indumenti dopo il bucato: lasciamoglieli sul letto o sulla scrivania. Preparandoci ad accettare che non entreranno mai nell’armadio e che prima o poi, se non li indosserà nel giro di pochi giorni, verranno travolti dal vortice che sembra abitare la stanza spostando gli o...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'aggressività degli adolescenti
  3. I. L’aggressività
  4. II. Preadolescenza: l’inizio di un nuovo ciclo
  5. III. Adolescenza: il corpo sopra tutto
  6. IV. Maschi e femmine: la lotta e l’esclusione
  7. V. Fratelli e sorelle: in contesa per uno spazio nel mondo
  8. VI. Bande e bullismo
  9. VII. L’aggressività contro se stessi
  10. VIII. Gli adolescenti adottivi
  11. IX. L’aggressività dei genitori
  12. X. Quando i genitori si separano
  13. XI. I giovani adulti
  14. XII. A chi rivolgersi
  15. Conclusioni
  16. Consigli di lettura
  17. Copyright