«Dico solo che quella non mi piace» sussurrò la cameriera dai capelli ribelli. Fu un sussurro forte, che il solitario avventore del Caffè Pleasant poté udire senza difficoltà. Si domandò se la persona oggetto della discussione fosse un’altra cameriera o una cliente abituale come lui.
«Non deve piacermi per forza, no? Poi tu sei libera di pensarla diversamente.»
«A me è sembrata simpatica» replicò la cameriera più bassa e dal viso tondo, meno convinta rispetto a qualche secondo prima.
«Si comporta in questo modo quando si sente ferita nell’orgoglio. Non appena si riprenderà, comincerà di nuovo a sputare veleno. È fatta al contrario. Ho conosciuto un sacco di gente così, non c’è da fidarsi.»
«In che senso è fatta al contrario?» chiese la cameriera dal viso tondo.
Hercule Poirot, l’unico cliente del caffè alle sette e mezza appena passate di quel giovedì sera di febbraio, aveva capito cosa intendesse la cameriera dai capelli ribelli. Sorrise tra sé. Non era la prima volta che faceva un’osservazione sagace.
«Una cattiveria può scappare a tutti, quando qualcosa va storto. È capitato anche a me, non ho problemi ad ammetterlo. E quando sono felice voglio che gli altri siano felici. È così che dovrebbe essere. Poi c’è chi è fatto come quella, che ti tratta peggio che mai quando le cose filano lisce. Bisogna stare in guardia dalla gente come lei.»
“Bien vu” pensò Hercule Poirot. “De la vraie sagesse populaire.”
La porta del caffè si spalancò, sbattendo contro il muro. Una donna con un cappotto marrone chiaro e un cappello di un marrone più scuro si fermò sulla soglia. Aveva i capelli biondi. Poirot non riuscì a vederla in volto. Aveva girato la testa per guardare alle proprie spalle, come se stesse aspettando che qualcuno la raggiungesse.
La porta era aperta da qualche secondo e già l’aria fredda della sera aveva scacciato tutto il calore dalla piccola sala. Di norma Poirot si sarebbe infuriato, ma il suo interesse fu solleticato dalla nuova arrivata, che aveva fatto un’entrata a effetto e non sembrava curarsi di dare una brutta impressione di sé.
Poirot coprì la sua tazza di caffè con il palmo della mano, sperando di evitare che il contenuto si raffreddasse. Quell’angusto locale dalle pareti storte in St Gregory’s Alley, una zona di Londra ben lungi dall’essere la più rispettabile della città, serviva il caffè migliore che Poirot avesse assaggiato in qualsiasi parte del mondo. In genere non beveva caffè né prima né dopo cena – al contrario, in circostanze normali una simile prospettiva lo avrebbe fatto inorridire –, ma ogni giovedì alle diciannove e trenta in punto, entrando al Pleasant, faceva un’eccezione a questa regola. Ormai quell’eccezione settimanale era diventata per lui una piccola tradizione.
Al caffè erano legate altre tradizioni meno piacevoli, come dover posizionare correttamente le posate, il tovagliolo e il bicchiere dell’acqua sul tavolo, che al suo arrivo trovava tutti storti. Per le cameriere, a quanto pareva, era sufficiente disporli in un punto – uno qualsiasi – del tavolo. Poirot dissentiva e, subito dopo il suo arrivo, si premurava di ristabilire l’ordine.
«Scusate, signorina, vi spiacerebbe chiudere la porta se state entrando?» gridò Capelli Ribelli alla donna con il cappello e il cappotto marroni, che stringeva lo stipite della porta con una mano continuando a guardare la strada. «O anche se non state entrando. Qui dentro rischiamo di congelare.»
La donna entrò. Chiuse la porta, ma non si scusò per averla lasciata aperta tanto a lungo. Il suo respiro irregolare risuonò nella sala. Non sembrò accorgersi delle altre persone presenti. Poirot la salutò con un sommesso: «Buonasera». La donna lo guardò di sfuggita, senza rispondere. Aveva gli occhi sbarrati per un timore fuori dal comune, abbastanza potente da fare presa su uno sconosciuto, come un contatto fisico.
Poirot non si sentiva calmo e soddisfatto come quando era arrivato. La sua tranquillità era stata guastata.
La donna si accostò in gran fretta alla vetrina e guardò fuori. “Non vedrà quello che sta cercando” pensò Poirot tra sé. Osservando il buio della sera da una stanza bene illuminata è difficile scorgere qualcosa perché il vetro riflette soltanto un’immagine della stanza in cui ci si trova. Eppure continuò a guardare fuori per qualche tempo, come se non volesse perdere d’occhio la strada.
«Ah, sei tu» disse Capelli Ribelli con una nota d’impazienza. «Cosa c’è? Ti è successo qualcosa?»
La donna con il cappotto e il cappello marroni si voltò. «No, io...» Le parole uscirono come un singhiozzo. Poi ritrovò il controllo. «No. Posso prendere il tavolo nell’angolo?» Indicò il tavolo più lontano dalla porta affacciata sulla strada.
«Puoi sederti dove vuoi, tranne al tavolo occupato da quel gentiluomo. Sono tutti apparecchiati.» Essendosi ricordata di Poirot, Capelli Ribelli gli disse: «La vostra cena sta cuocendo a puntino, signore». Poirot ne fu lieto. Il cibo al Pleasant era buono quasi quanto il caffè. In verità, considerando le due cose insieme, Poirot stentava a credere ciò che sapeva essere vero: che in quella cucina lavorassero esclusivamente inglesi. Incroyable.
Capelli Ribelli tornò a rivolgersi alla donna angosciata. «Sei sicura che è tutto a posto, Jennie? Sembra che ti sia trovata faccia a faccia con il diavolo.»
«Sto bene, grazie. Mi serve solo una tazza di tè forte e caldo. Il solito, per cortesia.» Jennie si affrettò verso un tavolo in fondo alla sala, superando Poirot senza degnarlo di uno sguardo. Lui spostò appena la sedia per poterla osservare. Senza dubbio le era capitato qualcosa; qualcosa di cui non le andava di discutere con le cameriere del caffè, evidentemente.
Senza togliere né il cappotto né il cappello, si accomodò su una sedia che dava le spalle alla porta d’ingresso, ma un attimo dopo si voltò di nuovo a guardarsi alle spalle. Ora che poteva esaminarne il volto con più attenzione, Poirot stimò che avesse una quarantina d’anni. I grandi occhi azzurri erano fissi e sgranati. Sembravano trovarsi di fronte a un’immagine sconvolgente, rifletté Poirot, “faccia a faccia con il diavolo”, come aveva osservato Capelli Ribelli. Tuttavia, a quanto Poirot poteva vedere, Jennie non aveva davanti niente del genere, solo la stanza quadrata con i tavoli, le sedie, l’appendiabiti di legno nell’angolo e gli scaffali incurvati sotto il peso delle innumerevoli teiere di vari colori, modelli e dimensioni.
In effetti, quegli scaffali mettevano i brividi! Poirot non capiva cosa impedisse di sostituire uno scaffale deformato con uno dritto, come non si capacitava che qualcuno potesse disporre una forchetta su una tovaglia quadrata senza assicurarsi che fosse parallela al bordo dritto del tavolo. A ogni modo, non tutti condividevano le opinioni di Hercule Poirot; lo aveva accettato da tempo, con i vantaggi e gli svantaggi che ne derivavano.
Mentre era voltata indietro sulla sedia, la donna – Jennie – fissava la porta intensamente, quasi si aspettasse che qualcuno facesse irruzione da un momento all’altro. Tremava, in parte per il freddo, forse.
No – Poirot cambiò idea – non era per il freddo. Nel caffè faceva di nuovo caldo. E dal momento che Jennie era ancora intenta a fissare la porta, dopo essersi seduta di spalle e il più lontano possibile dall’ingresso, se ne poteva trarre un’unica conclusione ragionevole.
Poirot prese la sua tazza di caffè e si alzò, raggiungendo il tavolo al quale sedeva la donna. Non portava la fede al dito, notò. «Mi permettete di unirmi a voi per un istante, mademoiselle?» Avrebbe voluto sistemare le posate, il tovagliolo e il bicchiere come aveva fatto con i propri, ma si trattenne.
«Come dite? Sì, fate pure.» Dal tono traspariva il suo scarso interesse. L’unica sua preoccupazione era la porta del locale. Continuava a fissarla intensamente, sempre girata sulla sedia.
«Sono lieto di presentarmi. Mi chiamo... oh...» Poirot si interruppe. Se le avesse detto il proprio nome, Capelli Ribelli e l’altra cameriera lo avrebbero sentito e a quel punto avrebbe smesso di essere il loro anonimo “Gentiluomo Straniero”, il poliziotto in pensione dal Continente. Il nome Hercule Poirot aveva un forte effetto su alcuni. Nelle ultime settimane era entrato in uno stato estremamente piacevole di letargo e, per la prima volta dopo molto tempo, aveva provato il sollievo dell’anonimato.
Era più che mai evidente che Jennie non era interessata al suo nome, né alla sua presenza. Una lacrima le era spuntata all’angolo dell’occhio e stava scivolando sulla guancia.
«Mademoiselle Jennie» disse Poirot, ricorrendo al nome di battesimo nella speranza di catturare la sua attenzione. «Un tempo ero un poliziotto. Ora sono in pensione, ma quando ero ancora in servizio ho incontrato persone in uno stato di agitazione simile al vostro. Non parlo di gente infelice, che pure abbonda in ogni paese. No, era gente che si sentiva in pericolo.»
Finalmente era riuscito a colpirla. Jennie gli puntò addosso i suoi occhi sbarrati e impauriti. «Un... un poliziotto?»
«Oui. Sono in pensione da molti anni, ma...»
«Dunque a Londra non potete fare nulla? Non potete... insomma, non avete alcun potere, qui? Di arrestare criminali o cose simili?»
«È corretto.» Poirot le sorrise. «A Londra sono un anziano gentiluomo che si gode la pensione.»
Non guardava la porta da quasi dieci secondi.
«Ho ragione, mademoiselle? Vi sentite in pericolo? Guardate alle vostre spalle perché sospettate che la persona di cui avete timore vi abbia seguita fino a qui ed entrerà da quella porta a momenti?»
«Oh, sono in pericolo, eccome!» Sembrava volesse aggiungere qualcosa. «Siete sicuro di non essere ancora un poliziotto di qualche genere?»
«Di nessun genere» le assicurò Poirot. Poi, per evitare che lo credesse del tutto privo di influenza, soggiunse: «Ho un amico che fa il detective a Scotland Yard, se vi servisse l’aiuto della polizia. È molto giovane, poco più che trentenne, ma sono dell’avviso che farà carriera in polizia. Sarebbe lieto di parlare con voi, non ne dubito. Quanto a me, posso offrirvi...». Poirot si fermò, vedendo la cameriera dal viso tondo avvicinarsi con una tazza di tè.
Dopo averla servita a Jennie, si ritirò di nuovo in cucina insieme a Capelli Ribelli. Conoscendo l’inclinazione di quest’ultima a pronunciarsi sul comportamento dei clienti abituali, Poirot suppose che in quell’istante stesse cercando di intavolare una discussione animata sul Gentiluomo Straniero e sulla sua visita inattesa al tavolo di Jennie. Lui, di norma, non parlava più a lungo dello stretto necessario con gli altri avventori del Pleasant. Quando non si presentava a cena con l’amico Edward Catchpool – il detective di Scotland Yard che viveva nella pensione in cui Poirot alloggiava temporaneamente – si limitava alla propria compagnia, fedele allo spirito della hibernation.
I pettegolezzi delle cameriere del caffè non lo turbavano, anzi, era grato per la loro tempestiva ritirata. Si augurava che in quel modo Jennie si sarebbe sentita più libera di parlargli con franchezza. «Sarei felice di darvi un parere, mademoiselle» disse.
«Siete molto gentile, ma nessuno può aiutarmi.» Jennie si asciugò gli occhi. «Vorrei farmi aiutare, lo vorrei più di ogni altra cosa! Ma è troppo tardi. Sono già morta, o lo sarò presto, capite? Non posso nascondermi per sempre.»
Già morta... A quelle parole, nella sala era calato di nuovo il gelo.
«Dunque non c’è nessuno che possa aiutarmi, capite?» proseguì. «E anche ammesso che vi fosse, non lo meriterei. Ma... in effetti mi sento leggermente meglio, con voi seduto al mio tavolo.» Si era stretta le braccia al petto, per darsi conforto o in un vano tentativo di impedire al proprio corpo di tremare. Non aveva ancora bevuto una goccia di tè. «Vi prego, restate. Non succederà niente finché parlerò con voi. È una piccola consolazione, se non altro.»
«Mademoiselle, mi avete molto turbato. Ora siete in vita, e dobbiamo fare quanto è necessario perché vi rimaniate. Vi prego, ditemi...»
«No!» Jennie sgranò gli occhi mentre arretrava sulla sedia. «No, non dovete! Non bisogna fare niente per impedire che succeda. Non si può impedire, è impossibile. Ineluttabile. Quando morirò io, giustizia sarà fatta, infine....