Si guardano attorno, stralunati e distratti, con abiti nuovi che nascondono il vecchio. Le immagini li simboleggiano. Sono per la verità un gran numero, un numero da non credere. Da loro, stiamone certi, non verrà nessun rinnovamento.
BC
Reazionari
Chi sono gli «uomini nuovi» che reggono le sorti della «Seconda Repubblica»? Nient’altro che dei «reazionari», spiega con vis polemica e sarcastica Bettino Craxi, «figli di una falsa rivoluzione» che non ha portato al potere una nuova classe dirigente, ma un ceto in gran parte presente e organico, anche se con ruoli diversi, alla «Prima Repubblica».
Deluso dalla «faziosità» degli avversari e dalla «viltà» degli alleati di un tempo, l’ex leader del Garofano a partire dal 1994 dà sfogo ai suoi pensieri anche attraverso la satira politica, componendo una serie di litografie dedicate prima ai «Becchini», e poi a «Bugiardi ed extraterrestri».
«Becchini» sono quanti hanno contribuito all’affossamento dei partiti storici della «Prima Repubblica»; «bugiardi» sono coloro che «hanno mentito sin dall’inizio e continuano a mentire»; «extraterrestri» sono quelli che «fingono di aver vissuto per venti, trent’anni sulla luna». Da tutti costoro, conclude Craxi, «non verrà mai nessun rinnovamento».
Guardando all’Italia che sta sotto i nostri occhi, non può sfuggire a nessuno che un’accozzaglia di reazionari continua ad infestare la vita pubblica.
Sono reazionari di ogni razza e specie. Di destra, di centro e di sinistra. Sono caritatevoli verso i problemi sociali di cui in pratica non si occupano. Guardano ai poveri come a degli straccioni e ai ricchi come a dei padreterni. Lo negano indignati, ma in realtà sono dei razzisti come se ne vedono tanti nel mondo. Sono forcaioli sulle questioni della giustizia. Si danno un tono di sussiego ma sono ignoranti come capre. Usano parole di disprezzo verso la Prima Repubblica, ma non sanno dire a nessuno cosa sia la Seconda. Fanno la ruota come i pavoni alle «prime», ma tra loro e la cultura c’è un abisso. Condannano la partitocrazia e organizzano partiti personali. Hanno il culto di «Mani pulite», e il più delle volte hanno le mani sporche. Si vestono da baciapile, ma lasciano Cristo fuori della porta. Si considerano rivoluzionari, ma sono esattamente il contrario. Quando discettano sul passato, sono falsi e bugiardi. Hanno visto il successo della demagogia e pensano che la ruota girerà sempre così. Parlano in nome del nuovo, ma sono vecchi come il mondo. Il futuro dell’Italia val più di una riflessione.
Il nuovo nella politica
Uno sguardo al paesaggio politico italiano per rintracciarvi elementi di novità, pur tenendo conto che travestimenti e riciclaggi sono dietro ogni angolo, e possono indurre facilmente in errore. Da Berlusconi a D’Alema, da Bertinotti a Fini, passando per Scalfaro e Prodi, una carrellata di nomi e una conclusione: trattasi di «falso rinnovamento».
È vero quello che ormai dicono in molti, e cioè che «si stava meglio quando si stava peggio». Un vecchio modo di dire che serve e non serve.
È anche vero che la «falsa rivoluzione» ha prodotto uno stato di cose economico-produttive su cui ci si industria a fare promesse da marinaio. Del resto, come stanno andando effettivamente le cose lo vedremo soltanto da qui a qualche mese.
È giusto semmai aggiungere che, almeno nella politica, non tutto il nuovo è peggio del vecchio. È semmai difficile stabilire cosa sia il nuovo, e chi siano i nuovi, tenuto conto dei travestimenti e dei riciclaggi più o meno forzati, che sono innumerevoli. Basta dare uno sguardo all’intorno e anche chi è costretto a guardare da lontano, per quanto superficiale e confusa possa essere la sua visione degli uomini e delle cose, non può, in definitiva, non vedere.
Cominciamo dalle più alte cariche dello Stato.
Scalfaro non è certo nuovo. Basta sfogliare gli almanacchi parlamentari.
Lo è la Pivetti, ma, a occhio e croce, mi sembra assai peggio di Nilde Jotti.
È nuovo Scognamiglio. Non lo conosco. Per quel che appare, per quel che si legge, che ha scritto e che ha fatto, non pare raggiungere il livello di intelligenza e di cultura politica di Spadolini, cui non mancavano altri difetti, ma che era indubbiamente una personalità di prim’ordine.
È nuovo Dini, il Presidente del Consiglio. Nuovo almeno per la politica nella quale fa valere almeno, e in mancanza d’altro, l’equilibrio e la competenza di un tecnocrate di grande esperienza. I paragoni sono difficili, anche perché negli ultimi otto anni si sono succeduti otto Presidenti del Consiglio.
D’Alema è giovane, ma non nuovo. Porta le stigmate del vecchio sistema e in un certo senso anche quelle del vecchio comunista, e neppure le migliori.
È abbastanza nuovo Bossi. Nel vecchio sistema aveva un ruolo marginale. Dopo tanto sbraitare, non credo che farà nascere la Repubblica del Nord, e temo che l’Italia nelle sue mani finirebbe in brandelli. Ma non vorrei esagerare.
È nuovo Berlusconi. Lo è per la politica, non per altro. Al vecchio sistema non era né estraneo né sconosciuto. Quando si presenta in veste di giudice o addirittura di vittima del vecchio sistema, non può che strappare un sorriso in chi è di buon umore.
Per restare tra i grandi imprenditori che siedono sui banchi parlamentari, a tempo perso, l’avv. Agnelli, senatore a vita, è più vecchio che vecchio non si può.
Tra i leader politici, è totalmente nuovo Buttiglione. Si è mosso a zigzag come sovente succede per chi muove i primi passi in un ambito di responsabilità sino a prima sconosciute. C’è chi sostiene che nella politica come nella vita i «sor Prudenzio Pelnelluovo» sono destinati a pestar acqua nel mortaio. Ma in questo caso forse si sbaglia.
Non è di certo nuovo Fini. Nuovo per il look televisivo, ma non per il resto. Ha da un lato tagliato ponti che erano già stati tagliati e per un altro dà mostra di tagliare ponti che non possono essere tagliati.
Non sono nuovi Bertinotti e Cossutta, che peraltro non pretendono di esserlo. In realtà non hanno «rifondato» un bel nulla, ma semmai difeso un vecchio zoccolo duro, il che, a seconda dei punti di vista, potrebbe essere considerata anche un’opera meritoria.
A differenza di Buttiglione, non sono nuovi Mastella, Bianco, Casini, tutti democristiani doc, quest’ultimo forse meno degli altri avendo ricoperto in passato ruoli minori.
Dulcis in fundo, Prodi è una vera novità per chi ci crede, e cioè a dire quasi nessuno.
Tralascio una analisi dei leader dei «cespugli», non per mancar loro di rispetto, ma solo perché, se sono destinati a rimanere cespugli serviranno ben a poco, vecchi o nuovi che siano, anche se, pure tra loro, mi pare che i nomi siano più vecchi che nuovi.
Una somma di fattori contraddittori che spiega bene, o almeno spiega in parte, l’attuale stato di confusione politica, ed il disordine conflittuale tra formazioni divise od alleate, o alleate in attesa di dividersi, che sono in lizza permanente tra loro, mentre il Paese va alla deriva, per contendersi un potere politico divenuto sempre più un potere fantasma.
Il vecchio sistema era pieno di difetti, ma il nuovo, vero, convincente, strategicamente insediato, è ben al di là da venire. È forse la sorte inevitabile che tocca alle «false rivoluzioni», e cioè le rivoluzioni che non sono guidate da rivoluzionari e da ideologie rivoluzionarie, o più modestamente «i falsi rinnovamenti» che non sono guidati con mano ferma da veri rinnovatori e da ideologie rinnovatrici.
E i paesi che non sono guidati con mano ferma sono destinati a regredire, non a progredire. Non lo predico io, lo insegna la Storia.
Sotto due Repubbliche
L’ex segretario del Psi cita i casi di alcuni tra gli esponenti più rappresentativi del «nuovo corso», la cui biografia politica affonda però le radici nell’era precedente. Altro che uomini nuovi, riflette in più di una nota Bettino Craxi: «Alcuni di loro appartengono semmai al gruppo di quanti vediamo sempre, ancora oggi, candidati a tutto e circondati da aureole di sacralità olimpica».
A proposito della Seconda Repubblica, per la precisione della storia mi chiedo:
a) Scalfaro, presidente della Repubblica, non è stato eletto deputato tredici volte nella Prima?
b) Mancino, presidente del Senato, non era il capogruppo della Dc nella Prima?
c) Napolitano, ministro degli Interni, non era il capogruppo del Pci nella Prima?
d) Andreatta, ministro della Difesa, non aveva fatto più volte il ministro nella Prima?
e) Marini, nella Prima, non era il segretario della Cisl?
f) D’Alema, nella Prima, non era il capogruppo del Pds?
g) Prodi, nella Prima, non era il presidente dell’IRI?
h) Fini, nella Prima, non era stato segretario del Msi?
i) Casini, nella Prima, non era il braccio destro di Forlani?
l) Pisanu, nella Prima, non era il segretario di Zaccagnini?
Ho citato dieci casi e mi fermo. Quanti se ne potrebbero citare?
Forse si potrebbe scrivere un libro, come fece una volta Tripodi, che scrisse Sotto due bandiere. Si potrebbe scrivere un libro, dal titolo Sotto due Repubbliche.
GIULIANO AMATO
Amatissimo
Giuliano Amato è stato uno dei più stretti collaboratori di Bettino Craxi, del quale fu prima consigliere economico e poi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nei due governi che il leader del Garofano guidò tra il 1983 e il 1987. Rivestì in seguito la carica di vicesegretario del Partito socialista (1989-1992). Amato, il quale figura nella cartella litografica dedicata ai «Becchini», ha più volte riflettuto pubblicamente sul suo rapporto personale con Craxi, «una persona che ha contato molto nella mia vita, mi ha fatto crescere e mi ha fatto anche soffrire», dichiara nell’agosto 2000 a «Reset». Nello scritto che pubblichiamo, l’autore parla di sé in terza persona.
Amato è un genio elettronico di opportunismo. A differenza di altri della sua generazione che sono sempre rimasti più o meno al loro posto senza girovagare per i labirinti politici, Giuliano Amato se ne andò un bel giorno dal Psi per finire nel Psiup. Si trattava di un partito avventuroso che era nato per iniziativa del Pci e dell’Urss, e che era vissuto sino alla sua scomparsa con il denaro sovietico, secondo le carte ormai rese note.
Naturalmente lui, come altri illustri professori di democrazia, di questo fastidioso particolare non ne sapeva nulla, neppure per sentito dire, come del resto in questa materia gli capitò sovente, anche dopo, di essere una specie di cieco, sordo e muto.
Scomparso il Psiup, Amato tornò con altri nel Psi. Qui si mise in una specie di sinistra intellettuale, aspirante governativa «programmatica», che aveva come leader Giolitti. Un piccolo gruppo in cerca di sistemazione che poi trovò magicamente.
Dal giolittismo, dopo una lunga corrispondenza epistolare dagli Usa con il nuovo segretario del Psi Bettino Craxi, il «giolittiano» Amato passò senza far tanto rumore al «craxismo» che risultava ormai vincente nel Psi.
Nel nuovo clima del Psi di allora, libero e aperto ad ogni dibattito, Giuliano Amato preferiva varie frequentazioni tecnocratiche, il cui primo scopo sembrava innanzitutto essere quello di mettere in soffitta ciò che restava delle teorie socialiste.
Craxi tuttavia ne apprezzava in particolare modo la capacità di lavoro che era notevole, l’intelligenza tecnica ben organizzata, meno le sue teorie che d’altra parte a Craxi entravano da un orecchio e gli uscivano dall’altro. Il segretario del Psi del resto, aperto e scopritore del nuovo, non era di certo un figlio del vecchio, anzi era alle prese con le sue nuove teorie.
A Palazzo Chigi Amato fu un fedele esecutore delle direttive di Craxi. Allargò il giro delle sue conoscenze, si affermò senz’altro tra i collaboratori del Presidente come il primus inter pares. Da quella posizione non mancò di entrare nelle grazie di tutti i maggiori potentati economici e anche dei clan giornalistici, compreso quello che aveva cominciato a ringhiare contro Craxi, e cioè il gruppo Scalfari-De Benedetti.
Finita la Presidenza di Craxi, tornò al partito in posizione di rilievo. Anzi meglio. Craxi venne via via assorbito per anni dagli incarichi internazionali di prestigio che gli venivano conferiti dall’Onu, e Amato, vicesegretario unico, diveniva in un certo senso il factotum numero uno anche per il curriculum che lo accompagnava, e cioè la collaborazione con Craxi alla vicepresidenza del Consiglio.
Figuriamoci se come vicesegretario unico, per lunghi periodi maggiore responsabile politico della struttura partitica, non era al corrente della rava e della fava delle spese e delle entrate del partito. Si fosse trattato solo della fava, sarebbe stato già moltissimo.
A più riprese egli ha invece detto, scritto e fatto capire che non ne sapeva perfettamente nulla, mentendo spudoratamente. Viveva sulle nuvole, anzi sulla luna. Del resto, in materia di spese e di entrate ha anch’egli una sua storia personale su cui si è mantenuto sempre il massimo riserbo.
In questi anni, e ne sono passati ben cinque da quando Craxi vive come un esiliato, il signor Amato non si è mai fatto vivo una sola volta anche quando risalivano verso l’Italia le voci inequivocabili riguardanti le precarie condizioni di salute del leader socialista. Sono andati a trovarlo nel tempo amici e tante personalità che non conosceva. Hanno voluto conoscerlo alte personalità internazionali, autorità civili, religiose e persino avversari politici. Gli sono stati inviati a più riprese messaggi di amicizia, di solidarietà e di riconoscimento. Recentemente gli è giunto anche un dono personale dal Santo Padre.
Di Amato nessuna notizia. Si faceva vivo semmai ogni qualvolta girava per l’aria la sua candidatura ad alte cariche dello Stato, e sempre per interposti e semiufficiali messaggeri, per vedere di che umore Craxi era verso di lui e se gli avesse fatto per caso qualcosa contro, cosa che comunque Craxi non aveva allora nessuna intenzione di fare.
Ma dopo la sua ennesima prova di opportunismo e di vigliacche...