La logica del delitto (Il Giallo Mondadori)
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La logica del delitto (Il Giallo Mondadori)

  1. 266 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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La logica del delitto (Il Giallo Mondadori)

Informazioni su questo libro

Come si può organizzare l'uccisione di un uomo e fallire proprio perché gli esecutori obbediscono agli ordini? Assurdo. Ma una spiegazione c'è, e l'unica persona in grado di darla è il signor Pond. Funzionario statale, è un omino molto ordinario, privo di qualsiasi tratto distintivo a parte la barbetta a punta. Eppure ha una straordinaria capacità di raccontare le storie più affascinanti e un modo tutto suo di risolvere i misteri con l'aiuto di paradossi sorprendenti. Anche Gabriel Gale, eccentrico poeta detective, ha un metodo fuori del comune per risolvere enigmi e delitti. Nelle sue "indagini spirituali" sulle tracce di assassini che hanno smarrito la via della ragione, la sua arma segreta è la forza dell'immaginazione. Del resto il confine tra follia e sanità mentale è solo questione di punti di vista. Dedicati a due fuoriclasse dell'investigazione, otto più otto fulminanti racconti da un maestro indiscusso del giallo inglese.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852027987

IL POETA E I PAZZI

I DUE FANTASTICI AMICI

L’aspetto esterno della taverna del Sol Nascente suggeriva piuttosto il nome del Sol Calante. Aveva un ristretto triangolo di giardino più grigio che verde, le cui misere siepi si confondevano coi malinconici canneti del fiume. Tetti e panchine dei pergolati umidi e oscuri erano parimenti in rovina, e la squallida fontana sfoggiava una ninfa dell’acqua chiazzata dal tempo, ma non sfoggiava più acqua da tempo. La locanda era più divorata che decorata dall’edera, come se le sue vecchie ossa di mattoni scuri fossero lentamente stritolate dalle spire di quel gigantesco dragone parassita. Se da una parte la taverna confinava col fiume, dall’altra costeggiava una strada solitaria che conduceva attraverso le colline a un guado ormai in disuso, dopo che più a valle era stato edificato un ponte.
Fuori dalla porta c’era una panca con un tavolo di legno, sovrastata da un’insegna annerita; l’oro del disco solare si era fatto molto più scuro, ma non era di certo più scuro del locandiere, che spiava cupamente la strada dalla soglia. I suoi capelli erano neri e piatti, e il suo volto apoplettico e purpureo aveva tutta la cupezza, se non lo splendore, del tramonto.
L’unica persona della locanda a mostrare un po’ di vitalità era il cliente che la stava lasciando. Era stato il primo e ultimo cliente da molti mesi, una rondine solitaria che non era riuscita a far primavera, e che ora se ne volava verso lidi più ospitali.
Era un medico in vacanza, un giovane di piacevole bruttezza coi capelli rossi e una faccia spiritosa tagliata con la scure. La sua felina energia contrastava curiosamente con la stagnante inerzia della locanda del guado. Stava chiudendo il suo bagaglio sulla tavola sotto l’insegna, ma l’oste e l’unico servo, che si muoveva oscuramente e pesantemente all’interno, non gli offrivano il minimo aiuto, forse a causa della loro cupezza, forse per via della sognante distrazione provocata dalla perenne inattività. Ma il lungo silenzio fu rotto improvvisamente da una duplice esplosione: lo schiocco della cinghia della valigia che si rompeva e l’allegra esclamazione di stizza che lo accompagnò.
Il medico, che si chiamava Garth, commentò ad alta voce: — Diavolo, devo pure legarla con qualcosa! Oste, non ha una corda, o qualcosa del genere?
Il malinconico taverniere si voltò lentamente e andò a prendere una lunga corda polverosa con un cappio simile a una cavezza, che era forse stata usata per un asino o un vitello. — È tutto quello che ho, e a dire il vero sono io stesso alle corde.
— Lei è un po’ depresso, avrebbe bisogno di un tonico, e magari il mio bagaglio di medico in vacanza si è proprio aperto per offrirgliene uno.
— Per me ci vorrebbe l’acido prussico, se ne ha — rispose il padrone del Sol Nascente.
Garth gli disse allegramente: — È un rimedio che non consiglio. Può essere dannatamente efficace, ma non potrei assicurare che favorisca effettivamente la ripresa. Ma lei è davvero giù, accidenti, non si è nemmeno rallegrato quando ho avuto l’eccentricità di pagarle il conto!
— Le sono molto obbligato — brontolò l’altro — ma ci vorrebbero molti più conti pagati per tenere a galla questa barca marcita e bucata. Una volta, quando veniva ancora usato il guado, facevo buoni affari, ma l’ultimo signorotto ha chiuso il passaggio e adesso tutti usano il ponte, due chilometri più in giù. Nessuno passa più di qui, a parte lei, e non so francamente perché dovrebbero farlo.
— Ho sentito che il nuovo signorotto è andato in rovina anche lui, quindi alla fine ha avuto la sua vendetta. Si chiama Westermaine, vero? Mi pare che risieda nel castello con sua sorella, e che viva di molto poco. È tutta questa zona che è finita in miseria. Però lei si sbaglia: non è vero che non ci viene più nessuno. Vedo due uomini che stanno scendendo dalla collina.
La strada della valle faceva angolo retto col fiume. Il dimenticato sentiero del guado saliva, ormai semicancellato, sulle pendici della collina verso i cancelli in rovina di Westermaine Abbey, che si stagliavano contro il pallore fosco delle nubi, vagamente tempestose. Ma dall’altra parte della valle il cielo era terso, e il primo pomeriggio aveva assunto l’allegro chiarore del mattino. E nel punto in cui la bianca strada curvava sulla collina avanzavano due figure, due minuscoli puntini che anche a quella distanza sembravano curiosamente dissimili.
Mentre si avvicinavano alla locanda, il contrasto tra loro si accentuò notevolmente, aumentato dalla loro aria di incredibile familiarità. Pareva quasi che camminassero a braccetto. Uno era basso e tarchiato, l’altro insolitamente alto e magro. Erano tutti e due biondi, ma i capelli del ragazzo tarchiato avevano la riga ed erano ben lisciati, mentre quelli dell’altro erano fantasticamente spettinati in mille ciuffi grotteschi e ribelli. Il giovane basso aveva un volto squadrato con un naso a punta e degli occhi brillanti da uccello che davano a quel rostro l’aspetto di un becco.
Il ragazzo sembrava, è vero, un passero, ma era sicuramente più un uccello di città che di campagna, perché era vestito con la banale correttezza di un impiegato di banca e portava una valigetta come se si stesse recando nella City, mentre il suo compagno aveva sulle spalle uno zaino con tutta l’attrezzatura tipica dei pittori. Il suo volto allungato era leggermente cadaverico, i suoi occhi distratti e sognanti, ma il mento si protendeva aggressivo, come per una sua inconscia risolutezza interna, di cui gli occhi azzurri e vacui non avevano ancora preso coscienza. I due giovani non portavano cappello, accaldati entrambi dalla lunga marcia, ma il tipo tarchiato aveva in mano una paglietta e l’altro aveva disordinatamente infilato nello zaino un feltro grigio.
Si fermarono di fronte alla taverna e il più basso disse allegramente all’altro: — Qui ti potrai dare finalmente da fare!
Con gioviale civiltà ordinò all’oste due pinte di birra, e quando il cupo taverniere fu scomparso nella sua cupa taverna, si rivolse al medico con la consueta raggiante loquacità.
— Il mio amico è un pittore, ma di un tipo così speciale che potrebbe anche considerarlo un imbianchino, benché non nel significato consueto della parola. La sorprenderà scoprire che viene dall’Accademia delle belle arti, ma non è di certo il solito barbagianni impagliato che si fregia di un titolo cattedratico. È uno dei primi tra i nostri giovani geni, e ha fatto delle mostre in tutte le più eccentriche gallerie alla moda, però la sua vera ambizione è quella di dipingere insegne di osterie, e deve ammettere che un genio del genere non lo si incontra tutti i giorni. Come si chiama questa locanda, a proposito?
Si mise in punta di piedi a guardare l’insegna annerita con una vivacità singolarmente contenuta, nella sua curiosità. Poi si voltò verso il silenzioso compagno. — Il Sol Nascente! È quello che chiameresti un presagio, dopo ciò che mi dicevi stamane sul bisogno di far rivivere le autentiche taverne del passato. Il mio amico è un tipo poetico, ha detto che sarebbe stata l’Alba di una Nuova, Vecchia Inghilterra.
Garth scoppiò a ridere. — Dicono che sul nostro impero non tramonta mai il sole!
Il pittore ruppe semplicemente il silenzio, come se stesse pensando ad alta voce. — L’impero non m’interessa, non m’interessa vedere un pub sulla cima dell’Everest o sul canale di Suez. Ma spenderei bene la mia esistenza se facessi rivivere tutte le defunte taverne di un tempo, rendendole di nuovo inglesi e cristiane. E non vorrei fare altro fino alla mia morte.
— E lo potrai fare — lo rassicurò il suo compagno. — Un’insegna dipinta da un artista come te attirerà la gente da chilometri e chilometri di distanza, e renderà questa osteria un locale alla moda!
— Vuole davvero mettersi a dipingere insegne di osterie? — rise il dottor Garth.
Il pittore fu preso evidentemente dal suo argomento di discussione preferito, perché era uno di quei tipi che possono indifferentemente perdersi in un astratto silenzio o in un’accalorata discussione.
— Quali migliori soggetti potrei trovare per la mia arte? È forse più dignitoso il ritratto accademico di un sindaco pomposo con la sua catena d’oro o della moglie di un miliardario truffaldino con il suo diadema di diamanti? Non è meglio dipingere la testa di uno dei nostri grandi ammiragli, alla quale si rivolgeranno gli onesti brindisi degli ubriaconi? È forse meglio ritrarre un vecchio idiota nepotista con la Giarrettiera con l’immagine di san Giorgio piuttosto che dipingere san Giorgio stesso nell’atto di uccidere il drago? Ho restaurato sei insegne di San Giorgio e il Drago, e altrettante del Drago senza san Giorgio. L’insegna del Drago Verde solletica l’immaginazione, sembra quasi il terribile spirito di una foresta tropicale. E il Cinghiale Azzurro, non suggerisce qualcosa di notturno e celeste, come le stelle dell’Orsa Maggiore? Non sembra il cinghiale cupo e mostruoso che simboleggiava la notte e il caos nella mitologia celtica?
Poi si assorbì nel compito di vuotare il suo boccale di peltro, mentre il suo tracagnotto compagno lo contemplava con un’assurda aria di proprietà, come se fosse l’imbonitore e domatore di un mostruoso e bizzarro animale.
— Le ho detto che è un poeta, oltre che un pittore! Non ha mai sentito parlare dei poemi di Gabriel Gale, illustrati dall’autore? Sono il suo agente, e se vuole posso procurargliene una copia. Mi chiamo Hurrel, James Hurrel. La gente ride di noi due, ci ha soprannominati Castore e Polluce, i Gemelli Celesti, perché siamo inseparabili. Io non perdo mai Gabriel di vista. Devo sorvegliarlo. Sa, l’eccentricità del genio...
Il pittore sollevò dal boccale di peltro un volto ardentemente polemico e gridò eccitato: — I geni non devono essere eccentrici, devono essere centrici! Devono essere al centro del cosmo, non ai margini piroettando su di essi nella loro eterna rivoluzione. La gente crede che sia un complimento accusare qualcuno di essere ai margini del mondo e della società, come un reietto, e così parlano dell’eccentricità del genio. Ma cosa direbbero se io rispondessi che vorrei avere la centricità del genio?
— Direbbero che la birra ha un po’ confuso i suoi polisillabi — rise il dottor Garth. — È un’idea romantica far rivivere le vecchie insegne come dice, ma temo che il romanticismo non faccia per me.
L’agente tagliò corto alla discussione con energia. — Non è solo un’idea romantica, è un’idea pratica, pratica e realistica. Io sono un uomo d’affari e la considero veramente una proposta d’affari, non solo per noi, ma per tutti: per il locandiere, il signorotto e gli abitanti del villaggio. Per tutti. Guardi questa vecchia taverna cadente chiamata il Sol Nascente. Se tutti collaborassero, in un solo anno potrebbero trasformare questo buco vuoto in un alveare di api indaffarate. Il signorotto potrebbe riaprire il sentiero e far visitare i ruderi del suo castello, potrebbe costruire un ponte accanto alla locanda che sfoggia un’insegna dipinta dal grande Gabriel Gale, e vedrete che tutti i turisti colti d’Europa si fermerebbero qui a pranzo.
— Sembra quasi che siano già qui. Il nostro pessimistico oste considerava il suo albergo come una rovina nel deserto, ma, a sentir lei, adesso mi pare quasi lussuoso come il Savoy!
I tre davano le spalle alla strada, e discutevano guardando la tetra taverna, ma solo il pittore poeta si era reso conto di una presenza che si era aggiunta al gruppetto, forse perché le ombre allungate di un cavallo e di due esseri umani si erano proiettate accanto a lui dalla strada soleggiata. Gabriel si girò e rimase a guardare l’alto calesse fermo sul ciglio opposto, le cui redini erano strette nelle mani guantate di una donna alta e bruna con un tailleur blu scuro elegante ma non particolarmente nuovo. Accanto a lei era seduto un uomo più vecchio di una decina d’anni, ma che sembrava addirittura decrepito, tanto il suo volto dagli zigomi alti era consunto e malaticcio, e i suoi grandi occhi grigi consumati dall’ansia.
Nel silenzio momentaneo la voce chiara della ragazza parve echeggiare le parole del dottor Garth. — Potremmo fermarci qui a pranzo, che ne dici?
Scese con leggerezza dal calesse e rimase accanto alla testa del cavallo, mentre il suo compagno la seguiva con maggior esitazione. Indossava un completo di tweed leggero, piuttosto inadatto alla sua aria di invalidità permanente, e sorrideva nervoso all’energico Hurrel.
— Mi perdoni se ho origliato quello che diceva, anche se non stavate di certo parlando come se si trattasse di un segreto...
Effettivamente Hurrel stava parlando come se fosse un imbonitore che cercasse di sovrastare il tumulto di una fiera, quindi gli sorrise giovialmente. — Stavo solo dicendo che cosa potrebbe fare un signorotto intelligente di un posto come questo, e non mi dispiace affatto che qualcuno si interessi alle mie idee.
— Le sue idee mi interessano proprio perché sono io il signorotto del posto, se mi si può ancora chiamare così — disse l’uomo in tweed.
Hurrel continuava a sorridergli. — Oh, mi scuso molto, ma se vuol fare la parte di Harun al Rashid e invitarci a pranzo...
— Non mi sono affatto offeso, si figuri, e mi sto anzi chiedendo se lei non abbia ragione.
Gale intanto guardava la ragazza vestita di blu ben più a lungo di quanto non fosse educato fare, ma i pittori, i poeti e le persone distratte hanno di solito un’autorizzazione speciale, in questi casi. Il suo compagno lo avrebbe fatto infuriare se l’avesse chiamata una delle classiche eccentricità del genio, ed era in effetti discutibile che tanta ammirazione fosse poi così eccentrica. Perché lady Diana Westermaine sarebbe stata una splendida insegna per qualsiasi locanda, una frasca che avrebbe pubblicizzato il miglior vino di qualunque oste, e sarebbe riuscita persino a nobilitare un pomposo ritratto accademico, se la sua sfortunata famiglia avesse potuto concederselo.
I suoi capelli scuri avevano una curiosa sfumatura castana, che in certe luci particolari poteva sembrare addirittura rossiccia. Le sopracciglia nere avevano carattere, nel migliore e nel peggior senso della parola. Gli occhi, più grandi e più grigi di quelli del fratello, non erano tanto ansiosi quanto piuttosto spiritualmente e malinconicamente stanchi. Gale pensò che la sua anima era più affamata del suo corpo. Ma pensò anche che la gente è affamata solo se è in salute. E quando rivolse educatamente i suoi sguardi al resto del gruppetto, ricordando finalmente le buone maniere, fu lei a fissarlo, con una più gelida curiosità.
Nel frattempo Hurrel faceva meraviglie, per non dire miracoli. Con l’eloquenza di un diplomatico e la tenacia di un piazzista, aveva intessuto intorno al signorotto una ragnatela di suggerimenti e possibilità. Era veramente uno di quegli immaginifici uomini d’affari di cui spesso si sente parlare, ma che s’incontrano molto più raramente, ed erano affari che un uomo come Westermaine avrebbe immaginato svolgersi solo mediante lunghe trattative di mesi e prolisse lettere di avvocati, mentre ora si dipanavano rapidamente di fronte a lui in una manciata di secondi. Un nuovo ponte di legno d’artistica costruzione era già sorto sul fiume, la valle era già punteggiata di artistici villaggi dagli esosi canoni d’affitto, e la nuova insegna del sole dorato dipinta da Gabriel Gale era già sorta su di loro, come il simbolo del sole ardente che stava per sorgere sull’intera regione.
Ancora prima di rendersene conto, il gruppetto si trovò amichevolmente sospinto nella locanda, e a un tavolo nel malinconico giardino sulla riva del fiume, dove si sarebbe svolto un pranzo che aveva assunto tutta l’apparenza di un comitato d’affari. Hurrel si mise a disegnare progetti sul tavolo di legno e a fare calcoli sui tovaglioli di carta, snocciolando cifre su cifre e rispondendo a ogni obiezione, sempre più raggiante e irrequieto. Aveva una magia particolare per rendersi credibile, il fatto che lui stesso credeva a quello che stava dicendo. E il signorotto, che non aveva mai incontrato una persona del genere, non aveva alcuna arma per poterla contrastare, se anche avesse voluto farlo.
In mezzo a quel tumulto, lady Diana continuava a guardare Gabriel, seduto dalla parte opposta del tavolo, con aria sognante e distaccata. — Che ne pensa, signor Gale?
Ma fu il suo agente a rispondere per lui, come rispondeva per tutti e di tutto. — Oh, non è il caso di parlare d’affari con lui, Gabriel è solo una delle nostre potenzialità di mercato, sarà lui ad attrarre gli intellettuali e le personalità del mondo dell’arte. È un grande pittore, ma i pittori devono limitarsi a dipingere. Oh, non si preoccupi, non gli importa affatto che io dica questo, a lui non importa nulla di quello che dico, o che dicono gli altri. Di solito ci mette una buona mezz’ora a rispondere.
Ma il pittore rispose alla signora molto prima del tempo previsto, anche se disse soltanto: — Penso che sarebbe il caso di consultare l’oste.
L’elastico Hurrel balzò subito in piedi. — Va bene, lo farò immediatamente. Torno tra un minuto — e scomparve di nuovo all’interno dell’oscura locanda.
— Il nostro amico è molto attivo — sorrise Westermaine — ma le persone che fanno le cose, voglio dire, le cose pratiche, sono fatte così.
Lady Diana guardò ancora il pittore corrugando la fronte, come se le dispiacesse di vederlo eclissato dalla sfolgorante energia dell’amico, ma lui si limitò a sorriderle.
— No, io non sono di certo un tipo pratico, e di cose pratiche non ne capisco nulla.
Ma fu subito interrotto da un grido proveniente dalla strada. Il medico balzò in piedi e corse a guardare all’interno della locanda. Anche Gale fu preso da un’improvvisa agitazione, e tutti seguirono a ruota il dottor Garth, che era già arrivato alla porta principale.
Il pittore però sbarrò il passo agli altri con la sua alta figura. — Portate via la signora.
Westermaine vide aldilà delle sue spalle un’immagine orribile, la nera sagoma di un uomo appeso all’insegna del Sol Nascente.
Ma fu questione di un istante, perché Garth aveva già tagliato la corda dell’impiccato con l’aiuto di Hurrel, che era stato il primo a dare l’allarme col suo grido. Il dot...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. La logica del delitto (Il Giallo Mondadori)
  3. IL POETA E I PAZZI
  4. I PARADOSSI DEL SIGNOR POND
  5. Copyright