Balthazar
eBook - ePub

Balthazar

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Informazioni su questo libro

I fantasmi tormentano Skye. Vogliono farle rivivere l'istante in cui hanno esalato l'ultimo respiro, l'incubo finale. Non le danno tregua, dal giorno in cui ha lasciato l'accademia di Evernight. Ormai lontana da lì, Skye non ha dimenticato Balthazar. Lo ha guardato con adorazione tra i corridoi della scuola, senza alcuna speranza, per due lunghi anni, e ora Balthazar è il suo professore di storia.
Ma non è solo un professore. Balthazar è un vampiro. E Redgrave, un vampiro molto più spietato e feroce di lui, è sulle tracce di Skye, e la vuole a ogni costo. Mentre lottano per sopravvivere, Skye e Balthazar devono fare i conti con una scia di odio e rancore lunga quattrocento anni. Fino a scoprire che se il passato ti insegue, solo l'amore ti può salvare.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804622024
eBook ISBN
9788852029950

CLAUDIA GRAY

Art


traduzione di Luca Fusari



Mondadori

Capitolo primo

I morti la stavano osservando.
Skye Tierney strinse le briglie del suo cavallo tra le dita avvolte in un paio di guanti e serrò gli occhi, decisa a respingere questa sensazione. Ma era inutile, anche senza vedere le immagini, sapeva che cosa stava succedendo attorno a lei. L’orrore era tangibile, e reale, come il grigio cielo d’inverno che incombeva sopra la sua testa.
Evitare di guardare, del resto, peggiorava la situazione. Skye fece un respiro profondo, tremante, e si costrinse a riaprire gli occhi, a vedere la donna che fuggiva per salvarsi la vita.
Lei credeva che lui non l’avrebbe seguita fin quassù. Lui non è più lo stesso da quando è caduto, due mesi fa; sembra che dal taglio sulla sua testa sia uscita la bontà e sia entrato qualcos’altro, qualcosa di oscuro. Era convinta che non le badasse, e invece sì. Altroché. Adesso è qui, le sue dita affondano nella pelle del braccio mentre le parla di come sia necessario fermarla.
Questo attacco è diverso dagli altri. La sta spaventando così tanto che la sua gola si è seccata e lei vorrebbe solo gettarsi a terra e fingersi morta come un insulso animale, così forse lui se ne andrà dietro un’altra delle sue allucinazioni. Ma non riesce a liberarsi neanche per lasciarsi cadere; lui è più grosso, troppo forte. Con la voce che trema, gli dice che ha perso la testa, che quando tornerà in sé si pentirà di tutto questo. Il tentativo di scappare fa affondare ancora di più le dita di lui nella sua carne, la pelle sembra sul punto di strapparsi. I piedi di lei scivolano tra le foglie d’autunno mentre lo colpisce con la mano libera.
Lui sorride come se avesse appena visto qualcosa di bellissimo mentre la strattona e la fa girare, come un bambino che gioca con la sua amica, come la faceva girare quand’erano piccoli, ma stavolta la avvicina al ciglio del burrone e la lascia andare giù.
Lei non smette di urlare, scalcia e si sbraccia nel vuoto che la investe, ma è una ribellione futile, e la caduta è lunga, così lunga, così veloce…
Skye caracollò all’indietro verso Eb, con le vene infiammate dall’adrenalina e un nodo alla gola. L’immagine svanì, l’orrore no.
— Sta succedendo ancora — sussurrò. Ad ascoltarla non c’era nessuno a parte il cavallo, che tuttavia voltò la testa nera e massiccia verso di lei, con un’aria dolce nello sguardo. I suoi genitori pensavano che gli attribuisse sentimenti che lui non poteva avere né capire. Non ne sapevano niente di cavalli.
Appoggiando la testa al collo robusto di Eb, Skye cercò di riprendere fiato. Malgrado la giacca imbottita grigia e il maglione pesante color foglia di tè, l’aria fredda penetrava fino alla pelle e moltiplicava i brividi. Il vento sferzava le ciocche di capelli castano ramato che sbucavano dal cap, l’elmetto da equitazione, ricordandole che era quasi sera e che la bellezza invernale dei sentieri tra i boschi dietro casa avrebbe presto ceduto alla morsa di un gelo spietato, quasi feroce. Eppure non riusciva a muoversi.
I due si erano parlati in una lingua che Skye non conosceva, che non credeva di aver mai nemmeno sentito in vita sua. A giudicare dall’abbigliamento e dai capelli, dovevano essere Indiani d’America. Aveva assistito a una scena vecchia di cinque o seicento anni? Le visioni la riportavano così indietro? Sembrava non avessero fine.
Difficile accettarlo, ma le immagini di morti passate che la assediavano da cinque settimane – dal crollo dell’Accademia di Evernight – non accennavano a svanire. Skye non aveva dubitato neanche per un attimo che si trattasse di morti vere anziché di semplici incubi. Questo… potere paranormale, qualunque cosa fosse, era diventato una parte di lei.
Non che prima di quest’inverno non avesse creduto al soprannaturale; era cresciuta in una casa stregata. Per lei il fantasma della loro soffitta era stato vero quanto suo fratello Dakota e, proprio come Dakota, si era divertito a nasconderle i giocattoli per farla arrabbiare. Non aveva mai avuto paura della bambina-spettro dell’ultimo piano; in un certo senso, sapeva che era giovane e giocherellona. I suoi scherzi erano stati gesti innocui e divertenti, come rubarle le calze per nasconderle nell’armadio di Dakota, oppure bussarle sulla struttura del letto quando stava per addormentarsi. Dakota era stato il primo a “conoscere” il fantasma e a spiegarle che non c’era nulla da temere, che probabilmente i fantasmi erano un fenomeno naturale come la pioggia o il sole. Perciò Skye non aveva mai dubitato che esistessero, dietro la superficie del mondo visibile a tutti.
Ma non aveva mai sospettato quanto potesse farsi vicino, e pericoloso, il soprannaturale.
Aveva frequentato l’Accademia di Evernight dal secondo anno di liceo. Per quanto ne sapevano lei e tanti altri, era un collegio d’élite sulle colline del Massachusetts; certo, c’erano regole strane, e qualche suo compagno di scuola sembrava dimostrare molti più anni di quanti ne dichiarasse, ma non era così assurdo… almeno, così aveva creduto.
No, non aveva mai sospettato che a Evernight ci fosse qualcosa fuori dal comune. Quando il suo buon amico Lucas le aveva detto che la scuola era pericolosa, addirittura frequentata da vampiri, lo aveva preso per uno scherzo.
Finché non era scoppiata la maledetta guerra tra vampiri.
Eb le diede una spintarella con il muso, come per farla tornare alla realtà. Sì, aveva ragione lui. Niente la tranquillizzava come andare a cavallo.
Skye ritrovò l’equilibrio sulla terra innevata, infilò il piede nella staffa e tornò in sella. Eb restò immobile, in attesa, pronto per lei. E pensare che era suo soltanto perché a dodici anni aveva chiesto ai genitori un cavallo nero con una stella bianca sulla fronte.
(Che sciocchezza, aveva detto Dakota. All’epoca suo fratello aveva sedici anni, si dava un sacco di arie ed era comunque la persona che Skye più desiderava sorprendere. Non si sceglie un cavallo per il colore. Non è un Mio Mini Pony. Ma l’aveva detto sorridendo, e lei lo aveva subito perdonato…
No. Non si sarebbe concessa di pensare a Dakota).
Sì, certo, era stata una sciocca. All’epoca non sapeva cosa cercare in un cavallo: sicurezza, equilibrio, la capacità di riconoscere la persona sulla sua groppa con la stessa certezza di un essere umano. Eb possedeva queste caratteristiche, e anche la stella.
Meglio che torni a casa prima che mamma o papà mi vengano a cercare, pensò. E fu un pensiero vano. I suoi genitori erano ad Albany, immersi nel lavoro. In teoria, erano sempre così impegnati proprio a causa della delicata professione che si erano scelti. Skye era la prima a saperlo. Ma sapeva anche che dietro quell’immersione assoluta nel lavoro, nell’ultimo anno, c’era il desiderio di non pensare a Dakota. Skye non si era resa conto di quanto esagerassero, fino a cinque settimane prima, quando era tornata dal collegio. E non si era resa conto neanche di quanto desiderasse rivederli a casa.
Ma ognuno doveva affrontare la situazione a modo suo. Se questo significava stare da sola, pazienza.
Schioccando la lingua e dando di gambe, Skye incitò Eb, che macinava la neve con gli zoccoli. Ne era caduta solo una decina di centimetri, la norma nello stato di New York in pieno gennaio. Presto l’avrebbero vista accumularsi anche di mezzo metro alla volta. Tutto intorno, i rami spogli degli alberi allungavano le loro grinfie verso il cielo basso e grigio.
— Adesso sappiamo che è meglio evitare il burrone — disse ad alta voce, il fiato che disegnava nuvolette nell’aria frizzante del tardo pomeriggio. — Un altro posto dove non andremo. Presto troveremo un lungo sentiero nei boschi per cavalcare, uno in cui non sia mai morto nessuno, e io non dovrò più vedere niente di spaventoso.
Ma Skye sapeva già che non sarebbe riuscita a sfuggire alla presenza della morte.
Era cominciato nell’ultimo, terribile giorno a Evernight. Mentre i vampiri si scontravano in una lotta di cui lei non coglieva il senso, i fantasmi intrappolati nell’edificio si erano liberati. Ma una di loro, Bianca, l’amore morto di Lucas, era rimasta imprigionata. Per lealtà verso l’amico, Skye si era offerta spontaneamente di accogliere Bianca dentro di sé, di farsi possedere per aiutarla a fuggire.
Ciò che Skye non aveva considerato era cosa si provasse a condividere il proprio corpo con una persona morta, quanto fosse terrificante, anche se di quella persona ci si fidava d’istinto. E non aveva certo immaginato che essere posseduta le avrebbe lasciato una finestra aperta per sempre sul mondo dei morti.
Mentre Eb la guidava nel fitto della boscaglia, Skye si domandò se ci fosse qualcun altro che come lei avesse certe visioni. Se qualcuno avrebbe mai capito che in tutta Darby Glen, nelle strade, nei palazzi, persino qui nel bosco, il mondo riverberava dell’eco di una serie infinita di morti…
Uno schiocco poco distante la fece quasi spaventare, ma solo per un momento; non era insolito veder sfrecciare una volpe nella neve o imbattersi in un cervo alla ricerca del poco cibo rimasto in questo periodo dell’anno. Skye fu quasi lieta di distrarsi dai suoi pensieri. Meglio perdersi nel momento, nel calore di Eb, nel ritmo del suo passo, nella bellezza dei boschi circostanti. Così guardò in direzione del rumore più serena che allarmata…
Finché non vide che a provocarlo non era stato un animale ma un uomo.
Era fermo, avvolto in un cappotto marrone, intento a fissarla. Se avesse sorriso, salutato con la mano o detto “ciao”, Skye non lo avrebbe trovato strano; erano terre pubbliche, dopotutto, e anche se in questo periodo dell’anno lei e Eb avevano le piste tutte per loro, non erano certo gli unici a trovare bellissimi i boschi invernali.
Ma l’uomo non fece alcun gesto. Restò a guardarla con un’espressione neutra, quasi altezzosa, che le sembrava familiare in modo irritante.
— Forza, Eb. — Skye incitò il cavallo ad aumentare l’andatura, sebbene fosse ancora poco turbata. Chiunque fosse, non le ispirava niente di buono. Ma lei, a cavallo, sarebbe stata sicuramente più veloce.
Almeno, così credeva.
Eb allungò il passo e Skye tese tutti i muscoli del corpo per non perdere l’equilibrio in sella. I rami si spezzavano sotto gli zoccoli, il ghiaccio si sbriciolava, ma non erano gli unici rumori. C’erano anche dei passi, dietro di loro.
Skye si guardò alle spalle e vide l’estraneo con il cappotto marrone seguirli a piedi, a passo stranamente sicuro sul terreno infido. La sua espressione irritante non era cambiata, ma le mani erano uscite dalle tasche. Le apriva e chiudeva senza sosta, come per scaldarle in vista di un gesto faticoso. Strangolare qualcuno, per esempio.
Decise che era una reazione un po’ paranoica; non poteva permettere che le visioni irrompessero anche tra i pensieri razionali. Ma lanciò un’altra occhiata al sentiero e si domandò se non fosse il caso di spronare ancora Eb. C’erano sassi e neve ma il fondo non era così malmesso. Diede un colpetto di talloni ai fianchi del cavallo, non troppo brusco, quanto bastava a fargli capire che era ora di muoversi.
Eb partì a trotto spedito, o almeno spedito quanto poteva nel sottobosco, ma sufficiente a distanziare il passo di un essere umano.
Skye diede un’altra occhiata dietro di sé. L’estraneo la rincorreva. E non perdeva terreno, anzi.
Stava succedendo davvero. Non era paranoia né una visione soprannaturale di morte o un’allucinazione isterica provocata da quello che aveva passato a Evernight. Quell’uomo era vero, e voleva farle del male, e la stava rincorrendo a gran velocità.
Skye affondò i talloni nei fianchi di Eb e fece schioccare le briglie, il segnale del galoppo. Malgrado il terreno infido, Eb reagì subito e cominciò a correre. Skye si chinò in avanti, anche per evitare le frustate dei rami bassi. Il respiro accelerò, l’aria era di un freddo così brutale da bruciarle la gola. La paura la agitava, ma anche la rabbia, così intensa che quasi cancellava il terrore. Come osava quel verme tentare di inseguirla? Era un maniaco disgustoso e le sarebbe piaciuto prenderlo a colpi di frustino, ma sapeva bene che era il caso di darsela a gambe, e in fretta. Più in alto, sentì uno strano tonfo tra gli alberi. Il suo sguardo saettò all’insù e, malgrado il movimento confondesse i contorni, riconobbe una sagoma. Era lui. A sei metri d’altezza. E stava balzando avanti come se non avesse peso.
Oh, mio Dio, pensò Skye. È un vampiro.
Non era come i vampiri di Evernight. Non cercava di nascondere la sua natura. Correva più veloce di Eb. Voleva lei. Voleva ucciderla.
Eb inciampò così all’improvviso che neanche la seduta esperta di Skye potè tenerla salda in sella. Gli rotolò davanti, atterrando sul suolo ghiacciato con una violenza che le tolse il respiro.
Stordita, Skye si rialzò a fatica. Un pezzo del suo cap spaccato giaceva nella neve; non fosse stato per la protezione, ci avrebbe trovato la sua testa. La mano sinistra era graffiata quanto bastava a sanguinare, parecchio. Per un momento guardò il cavallo, immobile dopo aver inciampato, come se si fosse ...

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