
- 406 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Il testamento
Informazioni su questo libro
Dopo aver firmato il testamento Troy Phelan, uno degli uomini più ricchi del mondo, si toglie la vita. Le mogli e i numerosi figli attendono l'eredità per saldare i debiti esorbitanti contratti in attesa di diventare ricchi. Ma l'eccentrico vecchio ha preparato loro una sorpresa, le sue ultime volontà infatti riassumono tutte le controversie legali e affettive della sua vita.
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Informazioni
Print ISBN
9788804484011eBook ISBN
97888520290661
Siamo all’ultimo giorno. Anzi, direi all’ultima ora. Sono un vecchio, solo e non amato, malato, sofferente e stanco di vivere. Sono pronto per l’altro mondo: non può che essere migliore di questo.
Sono proprietario del grattacielo di vetro nel quale mi trovo, del novantasette per cento della società che vi ha sede e, sotto di me, del terreno che lo circonda per quasi un chilometro in tre direzioni, delle duemila persone che ci lavorano e delle altre ventimila che non ci lavorano. Possiedo, inoltre, il condotto sotterraneo che porta gas al grattacielo dai miei giacimenti nel Texas e le linee che lo riforniscono di energia elettrica, e sono utente esclusivo del satellite dal quale un tempo, invisibile nell’alto dei cieli, impartivo ordini a un impero personale che si estendeva in ogni angolo del mondo. Il mio patrimonio supera gli undici miliardi di dollari. Possiedo argento nel Nevada, rame nel Montana, caffè in Kenia, carbone in Angola, gomma in Malaysia, gas naturale nel Texas, greggio in Indonesia e acciaio in Cina. La mia società ne controlla altre che producono energia elettrica e computer, costruiscono dighe, stampano giornali e trasmettono segnali al mio satellite. Ho consociate con filiali in più paesi di quanti si riuscirebbe a elencare.
Una volta possedevo tutti i gingilli adeguati alla mia posizione: yacht, jet, belle bionde, case in Europa, haciendas in Argentina, un’isola nel Pacifico, scuderie di purosangue, perfino una squadra di hockey. Ma sono diventato troppo vecchio per queste cose.
I soldi sono la causa della mia sventura.
Ho avuto tre famiglie, tre ex mogli che hanno messo al mondo sette figli, sei dei quali viventi e impegnati a fare il possibile per tormentarmi. Per quanto mi risulta, sono il padre di tutti e sette, e ne ho seppellito uno. Ma è più giusto dire che fu sua madre a seppellirlo. Io ero all’estero.
Ho tagliato i ponti con tutti quanti, mogli e figli. Oggi si riuniscono qui perché sono in punto di morte ed è giunta l’ora di dividere i soldi.
Sto progettando questa giornata da molto tempo. Il mio grattacielo è costituito da quattordici vasti piani affacciati su un ombroso cortile interno, dove un tempo organizzavo pranzi d’affari all’aperto. Io vivo e lavoro all’ultimo piano, circa mille metri quadrati di lusso che molti giudicherebbero vergognoso, ma che a me non causa il minimo scrupolo. Ho messo insieme ogni centesimo del mio patrimonio con fatica, intelligenza e fortuna. Spendere questo denaro è una mia prerogativa. Anche sperperarlo dovrebbe essere una mia facoltà, ma sono braccato.
Perché dovrebbe importarmi di chi avrà i miei soldi? Io ci ho fatto tutto quello che si può immaginare. Seduto qui, sulla sedia a rotelle, privo di compagnia e in attesa, non mi viene in mente una sola cosa che vorrei acquistare o vedere, un solo luogo dove vorrei andare o un’altra avventura che vorrei vivere.
Ho fatto tutto e sono molto stanco.
Non m’importa di chi si prenderà il denaro, ma m’importa moltissimo di chi non l’avrà.
Ho progettato io ogni metro quadrato del mio grattacielo, perciò so perfettamente dove collocare ciascuno per questa piccola cerimonia. Sono tutti qui che aspettano e aspettano, senza un brontolio né un sospiro. Se ne starebbero nudi in mezzo a una tormenta di neve in attesa di quello che sto per fare.
La prima famiglia è costituita da Lillian e dalla sua prole: quattro dei miei figli partoriti da una donna che raramente mi ha concesso di toccarla. Ci sposammo giovani, ventiquattro anni io e diciotto lei, perciò anche Lillian è vecchia. Non la vedo da secoli e non la vedrò oggi. Sono sicuro che recita ancora il ruolo della prima moglie devota, ingiustamente abbandonata per la bella di turno. Non si è mai risposata, e sono certo che da tempo immemorabile non ha rapporti sessuali. Non so nemmeno io come abbiamo fatto a procreare.
Il suo primogenito ha quarantasette anni: Troy jr, un idiota senza arte né parte a cui è toccata la maledizione di portare il mio nome. Da ragazzo ha adottato il diminutivo Tj e tuttora lo preferisce a Troy. Dei sei figli che si trovano qui oggi Tj merita, anche se di poco, la palma del più stupido. Diciannovenne, fu buttato fuori dal college perché spacciava droga.
Come tutti gli altri, Tj ha ricevuto cinque milioni di dollari il giorno del suo ventunesimo compleanno e, come tutti gli altri, se li è fatti scorrere fra le dita quasi fossero sabbia.
Non me la sento di raccontare le tristi storie dei figli di Lillian. Vi basti sapere che ognuno di loro è pesantemente indebitato, di fatto impossibilitato a trovare un impiego e pressoché privo di speranze di cambiare, cosicché la mia firma in calce a questo testamento costituisce l’evento cruciale della loro vita.
Torniamo alle ex mogli. Dalla frigidità di Lillian passai alla torrida passione di Janie, uno splendido bocconcino che assunsi come segretaria nell’ufficio contabilità, ma che promossi rapidamente quando decisi di avere bisogno di lei nei miei viaggi d’affari. Divorziai da Lillian e la sposai: aveva ventidue anni meno di me ed era decisa a non lasciarmi mai insoddisfatto. Sfornò subito due figli e si servì di loro per tenermi stretto a sé. Rocky, il minore, rimase ucciso in un incidente stradale mentre correva su un’auto sportiva con due amici: riuscii a evitare il tribunale solo sborsando sei milioni di dollari.
Sposai Tira quando avevo sessantaquattro anni. Lei ne aveva ventitré e portava in grembo un piccolo mostro di cui ero il padre e che lei battezzò Ramble, per ragioni che ancora oggi non mi sono chiare. Ramble adesso ha quattordici anni ed è già stato arrestato due volte, per furto in un negozio e per possesso di marijuana. Ha capelli bisunti che gli si appiccicano al collo e gli scendono sulle spalle e porta anelli alle orecchie, sulle sopracciglia e al naso. Mi riferiscono che va a scuola quando ne ha voglia.
Ramble si vergogna di avere un padre quasi ottantenne e suo padre si vergogna di avere un figlio con una spilla d’argento conficcata nella lingua.
Come tutti gli altri, si aspetta che io apponga la mia firma su questo testamento che renderà la sua vita migliore. Per quanto ingente, il mio patrimonio durerebbe ben poco se distribuito fra simili imbecilli.
Un vecchio in fin di vita non dovrebbe odiare, ma io non posso farne a meno. Senza alcuna esclusione, sono un branco di miserabili. Le madri mi detestano, e perciò anche ai figli è stato insegnato a detestarmi.
Sono avvoltoi con artigli appuntiti, becchi affilati e occhi avidi, e mi svolazzano intorno pregustando, inebriati, la montagna di soldi in cui si tufferanno.
In questo frangente la mia sanità mentale è di assoluta importanza. Loro pensano che abbia un tumore perché dico stranezze. Parlo a vanvera nelle riunioni e al telefono, e alle mie spalle i miei assistenti bisbigliano, annuiscono e pensano: “Sì, è proprio vero, è il tumore”.
Due anni fa scrissi un testamento in cui lasciavo tutto all’ultima delle mie compagne, che all’epoca gironzolava per casa vestita solo di un paio di slip leopardati. Oh, be’, si sa che vado pazzo per le ventenni bionde tutte curve. Però poi l’ho sbattuta fuori, e il testamento è finito nel tritadocumenti. Mi ero semplicemente stancato.
Tre anni fa ne redassi un altro, per sfizio, lasciando tutto a più di cento enti caritativi. Un giorno, mentre Tj e io stavamo imprecando l’uno contro l’altro, sua madre e i suoi fratelli assunsero un branco di azzeccagarbugli e chiesero al tribunale che fossi ricoverato in una clinica e sottoposto a esami e terapie. Una mossa astuta da parte dei loro legali perché, qualora fossi stato ritenuto incapace di intendere e di volere, il mio testamento sarebbe diventato carta straccia.
Ma io ho molti avvocati che pago mille dollari l’ora perché interpretino le leggi a mio favore. Non fui ricoverato, anche se forse in quel periodo avevo perso un po’ la bussola.
Ho un tritadocumenti personale, lo stesso che ho usato per ciascuno dei miei vecchi testamenti: se li è divorati tutti, uno dopo l’altro.
Indosso lunghe tuniche bianche di seta thailandese, ho la testa rasata come un monaco e mangio poco, cosicché il mio corpo è magro e avvizzito. Loro credono che io sia buddhista, ma in realtà sono seguace di Zoroastro: la differenza fra le due cose gli sfugge. Riesco quasi a capire perché sono convinti che le mie facoltà mentali si siano ridotte.
Lillian e la prima famiglia sono nella sala riunioni del tredicesimo piano, appena sotto di me. È un’ampia stanza, tutta marmo e mogano, con tappeti preziosi e un enorme tavolo ovale al centro. In questo momento è piena di gente molto nervosa. Non stupisce il fatto che ci siano più avvocati che famigliari. Lillian ha un avvocato e così pure ciascuno dei suoi quattro figli, con l’eccezione di Tj, che se n’è portati tre per darsi importanza e sentirsi protetto in ogni possibile risvolto giuridico. Tj ha più problemi legali di un condannato a morte. A un’estremità del tavolo c’è un grande schermo digitale sul quale potranno assistere a tutta l’operazione.
Tj ha un fratello che si chiama Rex: quarantaquattrenne, il mio secondogenito è attualmente sposato con una spogliarellista di nome Amber, una povera creatura priva di cervello, ma fornita di un paio di tettone finte. Credo che sia la sua terza moglie. Seconda o terza, sarò forse io a censurarlo? È qui, insieme con gli altri attuali coniugi e/o conviventi, ad attendere sulle spine la spartizione di undici miliardi di dollari.
La prima figlia femmina di Lillian, e la mia maggiore, è Libbigail, una ragazza che io ho amato con tutto il cuore finché non lasciò casa per il college e si dimenticò di me. Poi ha sposato un africano e io l’ho cancellata dai miei testamenti.
L’ultima nata di Lillian è Mary Ross. Moglie di un medico che aspira a diventare straricco, è sommersa dai debiti.
Janie e la seconda famiglia aspettano in una sala del decimo piano. Dopo il nostro divorzio di molti anni fa, la mia ex moglie ha avuto altri due mariti. Sono quasi certo che adesso vive da sola. Ho assunto alcuni investigatori perché mi tengano sempre aggiornato, ma nemmeno l’FBI riuscirebbe a star dietro alla sua girandola di letti. Come ho già detto, suo figlio Rocky è rimasto ucciso. Sua figlia Geena è qui con il secondo marito, un idiota con un master in Business administration, abbastanza pericoloso da polverizzare magistralmente mezzo miliardo di dollari nel giro di tre anni.
Poi c’è Ramble, stravaccato su una poltrona al quinto piano e intento a leccarsi l’anello d’oro all’angolo del labbro, a inanellarsi gli untuosi capelli verdi e a guardare torvamente sua madre, che ha avuto il fegato di presentarsi qui in compagnia d’un piccolo gigolo peloso. Ramble si aspetta di diventare ricco, oggi, di incassare una fortuna da me solo perché l’ho concepito. Anche lui ha un avvocato, una specie di hippy che Tira ha visto in televisione e che ha assunto subito dopo esserselo scopato. Aspettano anche loro, come tutti gli altri.
Conosco questa gente. La tengo d’occhio.
Snead avanza dal fondo del mio appartamento. È il mio portaborse da quasi trent’anni, un ometto bruttino e rotondo in panciotto bianco, mansueto e umile, perennemente piegato in due come se stesse omaggiando un sovrano. Mi si ferma davanti, con le mani giunte sul ventre, come sempre, la testa reclinata di lato, un sorriso sdolcinato, e domanda: «Come sta, signore?», con una cadenza affettata che ha acquisito ai tempi in cui risiedevamo in Irlanda.
Io non dico niente, perché non sono tenuto a rispondergli, né lui si aspetta che lo faccia.
«Caffè, signore?»
«Colazione.»
Snead batte le palpebre e si inchina ancora di più, poi esce dalla stanza col risvolto dei pantaloni che spazza il pavimento. Anche lui pensa di diventare ricco alla mia morte, e immagino che stia contando i giorni come fanno gli altri.
Il guaio di possedere soldi è che tutti ne vogliono un po’. Una piccola fetta del patrimonio, anche sottile sottile. Che cosa vuoi che sia un milione di dollari per chi ne ha miliardi? “Regalami un milione, vecchio mio, che tanto nemmeno te ne accorgi.” “Concedimi un prestito e poi ce ne dimentichiamo tutti e due.” “Infila il mio nome in qualche punto del tuo testamento, c’è posto anche per me.”
Snead è un maledetto ficcanaso e anni fa l’ho sorpreso a frugare nella scrivania, credo alla ricerca delle mie ultime volontà. Mi vuole morto perché si aspetta qualche milione.
A che titolo nutre simili aspettative? Avrei dovuto cacciarlo da tempo.
Nel mio nuovo testamento il suo nome non figura.
Mi mette davanti un vassoio: una confezione intonsa di cracker, un vasetto di miele ancora sigillato e un bicchiere di succo di frutta a temperatura ambiente. Un cambiamento anche minimo e Snead sarebbe licenziato in tronco.
Lo congedo e intingo i cracker nel miele. L’ultimo pasto.
2
Guardo attraverso le vetrate antiriflesso. Nelle giornate limpide riesco a vedere la sommità del monumento a Washington, a dieci chilometri di distanza, ma oggi no. Oggi fa freddo, il clima è rigido e ventoso e il cielo coperto: una giornata niente male per morire. Il vento strappa le ultime foglie dai rami e le disperde nel parcheggio sottostante.
Perché mi preoccupa il dolore? Che male c’è in un po’ di sofferenza? Nessuno ha causato più infelicità di me.
Premo il pulsante e appare Snead. S’inchina e spinge la mia carrozzella fuori dell’appartamento, nell’ingresso di marmo, lungo il corridoio di marmo, al di là di un’altra porta. Ci stiamo av...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- Il testamento
- Capitolo 1
- Capitolo 2
- Capitolo 3
- Capitolo 4
- Capitolo 5
- Capitolo 6
- Capitolo 7
- Capitolo 8
- Capitolo 9
- Capitolo 10
- Capitolo 11
- Capitolo 12
- Capitolo 13
- Capitolo 14
- Capitolo 15
- Capitolo 16
- Capitolo 17
- Capitolo 18
- Capitolo 19
- Capitolo 20
- Capitolo 21
- Capitolo 22
- Capitolo 23
- Capitolo 24
- Capitolo 25
- Capitolo 26
- Capitolo 27
- Capitolo 28
- Capitolo 29
- Capitolo 30
- Capitolo 31
- Capitolo 32
- Capitolo 33
- Capitolo 34
- Capitolo 35
- Capitolo 36
- Capitolo 37
- Capitolo 38
- Capitolo 39
- Capitolo 40
- Capitolo 41
- Capitolo 42
- Capitolo 43
- Capitolo 44
- Capitolo 45
- Capitolo 46
- Capitolo 47
- Capitolo 48
- Capitolo 49
- Capitolo 50
- Capitolo 51
- Capitolo 52
- Nota dell’autore
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