
- 312 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Una piccola magia
Informazioni su questo libro
Di scelte giuste, nella vita, Lucy Marinn ne ha collezionate ben poche, soprattutto in fatto di fidanzati. L'ultimo, Kevin, l'ha lasciata confessandole il peggiore dei tradimenti: con la sorella minore di lei, Alice. Doppiamente tradita, Lucy abbandona l'incantata cittadina di Friday Harbor, nello Stato di Washington, un luogo dove tutti si conoscono, e cerca rifugio nella solitaria isola di San Juan, il posto ideale per rimanere sola con i suoi pensieri e il suo dolore. Quello che Lucy non ha previsto è di conoscere un affascinante vinicoltore locale, Sam Nolan, che è in realtà un amico di Kevin incaricato di "distrarla" un po'. E quello che Sam invece non ha previsto è di innamorarsi perdutamente di lei.
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Informazioni
Print ISBN
9788804624349eBook ISBN
9788852029844UNA PICCOLA MAGIA
Traduzione di Alessandra Sora

Una piccola magia
A Jennifer Enderlin,
con un grazie per l’intuito,
la pazienza e l’incoraggiamento;
sei un dono che non do mai per scontato.
Con affetto per sempre,
con un grazie per l’intuito,
la pazienza e l’incoraggiamento;
sei un dono che non do mai per scontato.
Con affetto per sempre,
L.K.
1
Quando Lucy Marinn aveva sette anni, accaddero tre cose: la sua sorellina Alice si ammalò, le fu assegnato il suo primo progetto per la fiera della scienza, e scoprì che la magia esisteva davvero. Per essere più precisi, scoprì di avere il potere di fare cose magiche. E per il resto della vita, Lucy avrebbe custodito la certezza che la distanza tra l’ordinario e lo straordinario non era altro che un passo, un respiro, un battito del cuore.
Questo, però, non era il tipo di certezza che rendeva le persone audaci e coraggiose. O, per lo meno, non nel caso di Lucy. La rendeva cauta. Misteriosa. Perché possedere un potere magico, e in particolare un potere che non potevi controllare, significava essere diversi. E persino una bambina di sette anni capiva che non era consigliabile trovarsi dalla parte sbagliata della linea che divide i diversi dai normali. Bisognava appartenere. Il problema era che, per quanto si potesse mantenere un segreto, il fatto stesso di averne uno bastava a separarti da tutti gli altri.
Non seppe mai con certezza perché la magia arrivò, quando lo fece, quale successione di eventi condusse alla sua prima comparsa, ma pensò che fosse cominciato tutto la mattina in cui Alice si era svegliata con il collo rigido, la febbre e delle macchie rosse sulla pelle. Appena la mamma di Lucy l’aveva vista, aveva gridato al papà di chiamare il dottore.
Spaventata dal trambusto per casa, Lucy si era seduta su una sedia della cucina in camicia da notte, il cuore che batteva forte mentre guardava suo padre sbattere il ricevitore del telefono con tanta fretta che questo era rimbalzato fuori dalla sua base di plastica.
«Trovati le scarpe, Lucy. In fretta.» La voce di suo padre, di solito così calma, si era incrinata sull’ultima sillaba. Aveva la faccia bianca come un teschio.
«Che cosa succede?»
«La mamma e io portiamo Alice in ospedale.»
«Vengo anch’io?»
«Tu per oggi stai con la signora Geiszler.»
Al nome della vicina, che gridava sempre quando Lucy andava in bici sul prato davanti a casa, aveva protestato: «Non voglio. Mi fa paura».
«Non adesso, Lucy.» L’aveva guardata in modo tale che a Lucy le parole erano morte in gola.
Erano andati alla macchina e la mamma era salita dietro, tenendo Alice come se fosse una neonata. I suoni che emetteva Alice erano così impressionanti che Lucy si era coperta le orecchie con le mani. Si era appiattita contro la portiera cercando di occupare meno spazio possibile, la plastica umida del sedile che si appiccicava alle gambe. Dopo averla fatta scendere dalla signora Geiszler, i genitori erano filati via a una velocità tale che gli pneumatici del minivan avevano lasciato delle strisce nere sul vialetto.
La faccia della signora Geiszler era corrugata come una saracinesca, mentre diceva a Lucy di non toccare nulla. La casa era piena di oggetti antichi. Il gradevole sentore di muffa dei vecchi libri e il pungente profumo di limone della cera per mobili aleggiavano nell’aria. Era silenziosa come una chiesa, niente televisione in sottofondo, niente musica, voci, squilli di telefono.
Seduta immobile sul divano di broccato, Lucy era rimasta a fissare il servizio da tè che era stato disposto con cura meticolosa sul tavolino. Il servizio era di un meraviglioso tipo di vetro che Lucy non aveva mai visto prima. Ogni tazza e piattino rifulgevano di una luminescenza policroma, il vetro decorato a fitti ghirigori e fiori dorati. Ipnotizzata da come cambiavano i colori a seconda dell’angolazione da cui li osservava, Lucy si era inginocchiata sul pavimento, inclinando la testa da una parte e dall’altra.
La signora Geiszler, in piedi nel vano della porta, era scoppiata in una risatina che le aveva ricordato lo scricchiolio dei cubetti di ghiaccio quando ci versava sopra dell’acqua. «È vetro d’arte» aveva detto. «Fatto in Cecoslovacchia. Appartiene alla mia famiglia da cent’anni.»
«Come fanno a metterci dentro l’arcobaleno?» aveva chiesto Lucy con voce sommessa.
«Sciolgono metallo e colore nel vetro fuso.»
Lucy era stata colpita da quella rivelazione. «Come si fonde il vetro?»
Ma la signora Geiszler era stufa di parlare. «I bambini fanno troppe domande» aveva detto, ed era tornata in cucina.
Lucy aveva imparato ben presto la parola che definiva ciò che non andava nella sua sorellina di cinque anni. Meningite. Significava che Alice sarebbe tornata a casa debole e stanca e che Lucy doveva fare la brava e aiutare a occuparsi di lei e non fare disastri. Significava anche che Lucy non doveva litigare con Alice o agitarla in alcun modo. «Non adesso» era la frase che i suoi genitori le dicevano più spesso.
La lunga, tranquilla estate rappresentò un traumatico abbandono della consueta routine, fatta di appuntamenti di gioco, campeggi e sgangherati baracchini di limonata. La malattia di Alice era diventata il baricentro attorno al quale orbitavano ansiosamente gli altri membri della famiglia, come pianeti instabili. Nelle settimane dopo il ritorno dall’ospedale, pile di nuovi giocattoli e libri si accumularono nella sua stanza. Le era permesso correre attorno al tavolo durante i pasti e non era tenuta a dire “per piacere” o “grazie”. Alice non si accontentava di avere la fetta di torta più grossa o di poter restare alzata più degli altri bambini. Non esisteva il troppo, per una ragazzina che aveva già troppo.
I Marinn vivevano nel quartiere Ballard di Seattle, originariamente popolato da scandinavi che lavoravano nel settore della pesca e dell’inscatolamento industriale del salmone. Nonostante la percentuale di scandinavi fosse calata via via che Ballard si espandeva e si sviluppava, i segni della loro eredità culturale erano ancora abbondanti. La mamma di Lucy cucinava con ricette tramandate dai suoi antenati scandinavi... il gravlax, salmone affumicato a freddo e marinato con sale, zucchero e aneto... l’arrosto di maiale ripieno di prugne allo zenzero... o i krumkake, dolci al cardamomo arrotolati in coni perfetti attorno al manico dei cucchiai di legno. Lucy adorava aiutare la mamma in cucina, specialmente perché Alice non era interessata e non si intrometteva mai.
Mentre l’estate scolorava in un autunno frizzante, e la scuola cominciava, la situazione in casa non dava segni di cambiamento. Alice era guarita, eppure sembrava ancora che la famiglia funzionasse con le stesse regole della sua malattia: non agitarla. Lasciarle fare tutto quello che voleva.
Quando Lucy si lamentò, la madre la rimproverò con un’asprezza che non aveva mai usato prima.
«Vergognati di essere gelosa. Tua sorella è quasi morta. Ha sofferto in modo terribile. Tu sei molto, molto fortunata a non aver passato quello che ha passato lei.»
Il senso di colpa si irradiò da Lucy per giorni, rinnovandosi ciclicamente come una febbre persistente. Finché la mamma non le aveva parlato così, Lucy non era riuscita a identificare la fastidiosa sensazione che tendeva le sue viscere come corde di violino. Ma era gelosia. Sebbene non sapesse come liberarsene, sapeva di non dover dire nemmeno una parola al riguardo.
Nel frattempo, tutto ciò che Lucy poteva fare era aspettare che le cose tornassero come prima. Però, non avvenne mai. E anche se la mamma diceva di amarle entrambe egualmente, seppur in modi diversi, Lucy pensava che il modo in cui amava Alice era qualcosa di più.
Lucy adorava sua madre, che inventava sempre passatempi interessanti nelle giornate di pioggia e sopportava di buon grado che lei volesse giocare con i vestiti e le scarpe con il tacco alto del suo guardaroba. L’affetto giocoso di sua madre, però, sembrava avvolto attorno a un misterioso nocciolo di tristezza. Ogni tanto Lucy entrava in una stanza e la trovava a guardare con occhi vacui un punto fisso sul muro, un’espressione smarrita sul viso.
Certe mattine, Lucy entrava in punta di piedi nella stanza dei genitori e si infilava nel letto di fianco alla mamma; restavano raggomitolate l’una contro l’altra finché il freddo dei piedini nudi di Lucy non si era dissolto nel tepore delle coperte. Il papà si innervosiva, quando si rendeva conto che Lucy era nel letto con loro, e borbottava che avrebbe dovuto tornarsene nella sua stanza. «Solo un momentino» mormorava la mamma, le braccia protettive strette attorno a Lucy. «Mi piace cominciare la giornata così.» E Lucy si rintanava più profondamente nel suo corpo.
C’erano ripercussioni, però, se Lucy mancava di compiacere la mamma. Se arrivava a casa con una nota perché era stata beccata a chiacchierare in classe o perché aveva preso un brutto voto in matematica, oppure se non si esercitava a sufficienza al pianoforte, la mamma diventava fredda e serrava le labbra. Lucy non capiva mai perché sembrava che lei dovesse guadagnarsi qualcosa che ad Alice era concessa gratuitamente. Dopo la sua malattia quasi mortale, Alice venne assecondata in tutto e viziata. Aveva delle maniere orribili, interrompeva le conversazioni, si trastullava con il cibo a tavola, strappava le cose di mano alle altre persone, e tutto questo veniva ignorato.
Una sera in cui i Marinn avevano programmato di uscire lasciando le bambine con la babysitter, Alice pianse e strillò finché non annullarono la prenotazione al ristorante e restarono a casa per accontentarla. Si fecero portare una pizza e la mangiarono in cucina, entrambi con addosso i vestiti eleganti che si erano messi per uscire. I gioielli della mamma brillavano e producevano bagliori di luce riflessa sul soffitto. Alice afferrò un pezzo di pizza e andò pigramente in soggiorno a guardare i cartoni in tv. Lucy prese il suo piatto e fece per seguirla.
«Lucy,» disse la mamma «non alzarti da tavola finché non hai finito di mangiare.»
«Ma Alice sta mangiando in soggiorno.»
«Lei è troppo piccola per capire.»
A sorpresa, il papà si unì alla conversazione. «Ha solo due anni meno di Lucy. E se ben ricordo, a Lucy non abbiamo mai permesso di andarsene in giro durante i pasti.»
«Alice non ha ancora ripreso i chili che ha perso durante la meningite» rispose la mamma bruscamente. «Lucy, torna a tavola.»
L’ingiustizia della situazione strinse la gola di Lucy come una morsa. Riportò il piatto a tavola il più lentamente possibile, chiedendosi se il padre sarebbe intervenuto in sua difesa. Ma lui aveva scrollato la testa ed era rimasto zitto.
«Deliziosa» disse la mamma vivacemente, affondando i denti nella pizza come fosse una rara delizia. «Ne avevo proprio voglia. Non mi andava di uscire. È così bello starsene comodi a casa propria.»
Il papà non rispose. Metodicamente finì la sua pizza, portò il piatto vuoto al lavello e andò in cerca del telefono.
«La maestra ha detto di darvi questo» disse Lucy, tendendo un pezzo di carta alla madre.
«Non adesso, Lucy, sto cucinando.» Cherise Marinn tagliava il sedano sul tagliere, il coltello che riduceva i gambi in tanti piccoli pezzi a forma di U. Mentre Lucy aspettava con pazienza, la madre le lanciò un’occhiata e sospirò. «Dimmi che cos’è, tesoro.»
«Le istruzioni per la fiera della scienza delle seconde. Abbiamo due settimane per prepararla.»
Arrivata alla fine del gambo di sedano, la madre di Lucy appoggiò il coltello e allungò la mano verso il foglio. Le belle sopracciglia si avvicinarono mentre leggeva. «Ha l’aria di essere un progetto che richiede molto tempo. Sono tenuti a partecipare tutti gli alunni?»
Lucy fece cenno di sì.
La madre scosse la testa. «Vorrei che le tue maestre sapessero quanto tempo chiedono ai genitori p...
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