— Pyrgus?
Nymphalis lo trovò nel vigneto, in ginocchio, che parlava piano a una vite. Era così concentrato sulla pianta che ovviamente non la sentì.
— Pyrgus! — ripeté lei con voce acuta.
Pyrgus Malvae voltò la testa lentamente, con quella tipica espressione intontita – quasi fosse in trance – che aveva spesso mentre accudiva i grappoli d’uva; poi un sorriso affettuoso gli increspò le labbra quando si accorse chi era stato a chiamarlo. Erano sposati da diciassette anni e il loro amore era più forte che mai. Ma quello non era esattamente il momento più adatto per scambiarsi tenerezze o per perdersi in languidi ricordi.
— La manticora è scappata — annunciò Nymph.
— Cosa? — trasalì lui. — Sei sicura?
— Certo che sono sicura. Sono appena stata al rifugio.
— Nymph, non è possibile! Come è successo?
— Ha importanza?
All’improvviso Pyrgus realizzò la gravità di quanto gli aveva appena detto la moglie. — Ora c’è qualcuno al rifugio?
Lei scosse il capo. — No.
— Assicurati che rimanga così. Non deve avvicinarsi nessuno nell’arco di cento metri, anche duecento se possibile. Non dobbiamo lasciar trapelare nulla, a ogni costo.
— Se ci riusciamo.
— Io vado — disse Pyrgus.
Il rifugio era un edificio basso e lungo, dalla struttura in legno e con speciali pannelli di luce al posto delle finestre. A Pyrgus, che aveva vissuto nel Mondo Analogo per un certo periodo, piaceva pensare che assomigliasse a un meraviglioso esemplare di architettura scandinava, ma in realtà c’erano ben poche somiglianze. L’aveva costruito per dare una dimora agli animali, e dato che lui era incline a salvare qualsiasi bestiola in difficoltà che gli capitava d’incontrare, si ritrovava spesso con le più disparate specie da accudire, ognuna con i propri bisogni. Al momento il rifugio ospitava i soliti contingenti di cani e gatti randagi, un lama delle montagne, un rarissimo haniel del deserto, due porfini, una mandria di cavispi e una colonia di zantanfi. Le spese magiche che dovevano essere sostenute per fornire un habitat protetto e personalizzato a ciascuna creatura ammontavano a una cifra piuttosto ingente, ma fortunatamente i vini del Maniero Malvae avevano riscosso molto successo, tanto che bastavano i vigneti ad assicurare i fondi necessari per il rifugio, nonché al modesto sostentamento di Nymph e Pyrgus.
Pyrgus capì subito qual era il problema. Una parte della cinta muraria meridionale era stata sfondata verso l’esterno, lasciando uno squarcio profondo che ancora sfrigolava di energia magica lungo i bordi. Attraverso il buco si scorgevano le colonne dell’ambiente che in un primo momento era sembrato calmare la manticora, ma a quanto pareva, non abbastanza. Malgrado tutto, Pyrgus provò un moto di ammirazione.
Con estrema cautela si avvicinò all’edificio. Certo, ammirava quella creatura, ma ne aveva anche un profondo timore. Per quanto amasse gli animali, non si lasciava prendere troppo dal sentimento. Se si capitava in balia di quelli più selvaggi nel momento sbagliato, da un istante all’altro ci si poteva ritrovare morti o menomati a vita; e sull’intera faccia del pianeta non esisteva bestia più selvaggia e più imprevedibile della manticora. Volendo entrare più nello specifico, la sua manticora era uno dei primi prototipi ed era stata creata quando gli stregoni Halek non avevano ancora compreso la necessità di incorporarvi un sistema di protezione. Si era dimostrata così problematica, così incontrollabile – nonostante le restrizioni magiche imposte – che ormai gli stregoni avevano deciso di distruggerla quando era intervenuto lui. Non che avesse ricevuto particolari ringraziamenti per il salvataggio – o meglio per il furto, come gli stregoni insistevano a volerlo definire – ma una volta che era riuscito a trasportare la povera creatura oltre il confine della Terra di Halek, questi avevano voluto evitare il rischio di un incidente internazionale e avevano smesso di inseguirlo. Soprattutto perché li aveva sollevati da un grosso problema.
E ora, se la sua ipotesi era corretta, quegli stessi stregoni stavano per ricevere una visita inaspettata…
Usò la sua telechiave per disattivare le misure di sicurezza, che in ogni caso si erano rivelate inutili, e con passo guardingo si infilò attraverso lo squarcio nella cinta muraria. Era sicuro che la creatura fosse scappata – anche Nymph gli aveva detto che era scappata – eppure qualcosa lo avvertiva di stare in allerta. La manticora era intelligente, non doveva mai dimenticarsi di questo, e nemmeno del fatto che in quella creatura, oltre ai geni animali del leone e dello scorpione, albergavano anche quelli elfici. Sarebbe stata benissimo in grado di fingere un’evasione come esca per una trappola. Ma guardandosi intorno, Pyrgus non vide traccia della bestia e nemmeno di posti in cui si sarebbe potuta nascondere. Alla sua destra, mezzo coperto da una colonna, scorse il tavolo dove era solita nutrirsi e sul quale era stata abbandonata una ciotola in legno con foglie mangiucchiate. Pyrgus si avvicinò per annusare.
L’odore confermò immediatamente i suoi sospetti. Si trattava di foglie di cacciadiavoli, una pianta con un blando effetto euforizzante per gli umani, un forte effetto stimolante per gli elfi, ma uno straordinario effetto eccitante sull’organismo di una creatura della Terra di Halek come una manticora. Non c’era da stupirsi che avesse trovato la forza per sfondare la cinta muraria. Ma chi le aveva dato la cacciadiavoli? Non certo Nymph, esperta e appassionata di botanica come tutti gli Elfi della Foresta; nemmeno qualcuno tra gli addetti al rifugio, perché dovevano attenersi alle severe istruzioni in merito alla dieta degli animali a loro affidati; da escludere anche i braccianti che lavoravano nei vigneti, gran parte dei quali evitava il rifugio come la peste; e tantomeno lui stesso.
Per il momento Pyrgus accantonò l’enigma. Aveva un problema più pressante da risolvere: una manticora impazzita che circolava libera e un’orrenda sensazione riguardo al luogo esatto in cui era diretta.
Si precipitò fuori dallo squarcio nella cinta muraria e per poco non andò a sbattere contro Nymph.
— Se n’è andata davvero? — chiese lei, preoccupata.
— Sì, un idiota le ha dato dell’erba cacciadiavoli.
— Per tutti gli Dei! — Nymph indugiò qualche istante. — Non penserai che sia…
— Penso che sia possibile. E non posso biasimarla dopo quello che hanno fatto quei bastardi.
— Cos’hai intenzione di fare?
— Voglio assicurarmene, tanto per cominciare. — Pyrgus si sporse in avanti e le diede un bacio sulla guancia. — In casa abbiamo ancora un po’ di polvere di stelle?
— Ci avevo già pensato — rispose Nymph porgendogli un cartoccio. — Però vacci piano. Ne ho ordinata dell’altra, ma questa è la sola che ci resta fino alla prossima consegna.
— Grazie — mormorò Pyrgus. Con l’unghia del pollice aprì il cartoccio, lo strizzò e poi soffiò forte. La polvere si schiuse a ventaglio nell’aria seguendo una misteriosa corrente. Prese a luccicare quasi immediatamente e infine si posò a terra rivelando una scia di impronte scintillanti – impronte di manticora! – che conducevano dallo squarcio nella cinta muraria verso il bosco in fondo al campo. Senza indugiare, Pyrgus e Nymph s’incamminarono insieme lungo il percorso indicato e poco dopo si misero a correre quasi in preda al panico.
— Dove pensi che sia diretta? — chiese Nymph a un certo punto. Sembrava in grado di evitare gli ostacoli per istinto, dal momento che non distoglieva un istante gli occhi dal sentiero luminoso.
Pyrgus, che invece faticava a starle dietro, ansimò: — Di sicuro verso la Terra di Halek. — Moderò un po’ il passo e la moglie si adeguò subito alla sua andatura. — È stata creata lì. E quindi è quello il suo paese natale.
— Forse vuole solo tornare a casa — suggerì Nymph. — Insomma, per vivere in una foresta o qualcosa del genere.
Ma Pyrgus scosse la testa. — Non c’è speranza che sia così. Qui c’è puzza di guai, Nymph. Grossi guai.
Il recinto intorno ai vigneti più meridionali correva a quasi sei chilometri dal confine con la Terra di Halek. Da un certo punto si riuscivano persino a vedere le torrette e il posto di blocco di un valico di confine ufficiale. Al di fuori di queste aree sorvegliate, gli stregoni conservavano l’integrità dei loro confini tramite scudi magici – solitamente campi di forze – che erano considerati tra i più efficienti e sofisticati nell’universo conosciuto. Le creature selvagge indigene potevano muoversi da una parte all’altra di queste barriere senza alcun impedimento. Qualsiasi altra cosa veniva respinta. I campi di forze si estendevano in profondità sottoterra e in alto sopra i cieli che coprivano la Terra di Halek. Senza i documenti necessari, niente e nessuno poteva entrare nel paese degli stregoni.
Nymph e Pyrgus attraversarono il bosco a passo svelto, poi si fermarono fianco a fianco nel punto in cui la scia luminosa della manticora superava il limite ultimo della loro proprietà. L’alto recinto era stato abbattuto come una fila di stuzzicadenti: un giochetto per una creatura che poco prima aveva sfondato un muro massiccio. La scia si inoltrava poi nella Terra di Halek passando attraverso l’invisibile campo di forze come se non esistesse nemmeno.
— Lo scudo magico deve averla classificata come una creatura selvaggia — mormorò Nymph con la voce che le tremava.
Ma Pyrgus scosse la testa. — Lei è stata costruita laggiù — disse. — Tutti i suoi componenti provengono dalla Terra di Halek. Per quanto concerne lo scudo magico, lei è praticamente una nativa.
Rimasero a fissare davanti a sé con aria avvilita ancora per qualche istante. Quando lo scintillio cominciò a svanire, Nymph mormorò: — E adesso cosa facciamo?
— Dovrò andare nella Terra di Halek.
— Andremo insieme — disse subito Nymph.
— Non abbiamo abbastanza tempo per procurarti i documenti necessari — obiettò Pyrgus. — In qualità di Principe del Regno, io ho accesso automatico. — Era uno dei pochi vantaggi garantiti dalla discendenza reale che aveva mantenuto anche dopo l’abdicazione. — E poi uno di noi due deve restare qui a tirare avanti la baracca.
Il lato meraviglioso di Nymph era che non si metteva mai a discutere su decisioni inevitabili. Senza distogliere lo sguardo dalla scia sempre più fievole sussurrò: — Credi che riuscirà a trovare il laboratorio?
— È solo questione di tempo — rispose Pyrgus, cupo. — Sono creature straordinarie.
— Quanto tempo?
— Difficile a dirsi. Spero di riuscire a farle cambiare idea prima che accada.
Nymph si leccò le labbra. — E se non ci riesci, hai intenzione di avvisarli?
— Non lo so — ammise Pyrgus. — Una parte di me pensa che si meritino qualsiasi cosa ha in serbo per loro il destino.
— Ma la manticora potrebbe venire uccisa. O rimanere ferita.
— La manticora verrà uccisa di certo. Ma non prima che riesca a portare con sé nella tomba almeno alcuni dei suoi carnefici d’un tempo.
— Non puoi lasciarla morire — gemette Nymph. — Non così. Devi farle cambiare idea e riportarla indietro.
— Sempre che riesca a trovarla — borbottò Pyrgus.
— Guarda cosa hai fatto! — strillò Aisling inferocita.
Mella aprì gli occhi e si alzò in piedi. Si sentiva intontita, ma qualcosa doveva averle fatto passare di colpo la sbornia da tè. Zia Aisling le stava agitando sotto il naso il teletrasporto del portale, o perlomeno ciò che ne era rimasto. A quanto pareva ne mancava metà, e dal moncone penzolavano grovigli di cavi con attaccati brandelli di ingranaggi elettrici. L’aggeggio era irrimediabilmente distrutto.
— Dove siamo? — chiese Mella.
— Come facciamo a tornare indietro? — ribatté Aisling.
Mella si guardò intorno. Stavano a metà di una stretta scala a chiocciola in legno, che si snodava in un qualche luogo cupo dalle pareti anch’esse in legno o forse semplicemente rivestite di pannelli in legno. La scala scendeva così ripida da formare quasi uno strapiombo, eppure non aveva ringhiere sui lati, soltanto una grossa corda annodata che pendeva da un lontano soffitto.
— Dove siamo? — chiese Aisling in tono adirato, come se la nipote non le avesse appena posto la stessa domanda. Abbassò lo sguardo sul teletrasporto che stringeva in mano. — Questo stupido coso è saltato in aria. Hai sentito anche tu l’esplosione? Perché mi hai detto di premere il pulsante?
— Non so dove siamo — farfugliò Mella. Si sentiva ancora la mente annebbiata per il tè, ma non troppo. Era evidente che avevano attraversato un portale: era l’unica ipotesi sensata a cui riusciva a pensare. Perciò presumibilmente erano tornate nel Regno degli Elfi, ma dove esattamente non ne aveva idea.
— Devi per forza sapere dove siamo — insistette Aisling. — Sapevi come far funzionare questo telecomando!
Quella donna era sua zia, ma era come trattare con una bambina capricciosa. — Parla a bassa voce — l’ammonì Mella. Fino a quando non avesse scoperto dove erano finite, sarebbe stato opportuno non attirare troppo l’attenzione. Non ovunque nel Regno degli Elfi veniva garantita un’accoglienza amichevole.
— Io non ho nessuna intenzione di parlare a bassa voce! — sbottò...