Una città del Sudamerica, primi anni Duemila
Tutto accadeva nell’assoluto silenzio. Solo i gesti dei due ragazzi parlavano: i movimenti delle mani, gli arabeschi delle dita, le smorfie in viso, i labiali veloci, le sopracciglia aggrottate, il serrarsi delle mascelle, le alzate di spalle, le torsioni del busto... sino a che entravano in scena le carezze reciproche, l’intrecciarsi delle dita, l’inumidirsi degli occhi, lo sbattere compulsivo delle ciglia, il palpito accelerato al petto, l’incrociarsi delle labbra, il contatto delle lingue che si cercavano nel bacio...
Nessun rumore distraeva Ricardo e María. Un osservatore che fosse stato là, in quell’aula di una scuola fatiscente del quartiere La Cruz dove i due giovani approfittavano di ogni momento per esplorare i sortilegi dell’amore, un osservatore indiscreto avrebbe percepito nitidamente il frusciare e l’ansimare che sempre accompagnano i contatti tra i corpi amorosi. Ma loro due, gli innamorati, nemmeno quelli sentivano. Ricardo e María erano sordi. Così che, anche quando il loro dialogo non si abbandonava alle ansie, ai tormenti e alle dolcezze senza parole del sentimento, il silenzio non ne veniva mai importunato.
Anche quel giorno, in cui Ricardo aveva stabilito di cominciare a redigere in forma scritta la fiaba che María aveva immaginato, i due ragazzi si affidavano al linguaggio dei gesti. Ma i loro discorsi, ornamenti muti del corpo, erano ormai tutt’altro che forme espressive istintive o inconsapevoli. Ricardo, figlio di una ricca famiglia di origini tedesche della capitale, era diventato vari mesi prima il maestro di María, analfabeta afroamericana proveniente da una favela della stessa metropoli. E, convinto che fosse per lei tempo di dimostrare con una prova impegnativa di saper governare le basi del linguaggio dei sordi che le andava insegnando, aveva deciso di farle fare il grande salto: formulare in un complesso racconto gestuale la fiaba Afra angelo degli abissi ideata dalla stessa María, in modo tale che lui potesse tradurla in forma scritta, rivestendola di un ambizioso stile letterario.
Perciò quel giorno Ricardo aveva portato con sé il Romeo e Giulietta di Shakespeare: voleva aiutare la fantasia prorompente di María con qualche prezioso consiglio letterario, e ovviamente sfruttare i personaggi shakespeariani come complici nelle sue tattiche di seduzione. Ma mentre i due ragazzi iniziavano a elaborare la fiaba chiedendo suggerimenti al sommo drammaturgo, tutto potevano pensare, tranne che la vicenda degli sfortunati amanti di Verona si sarebbe trasformata nel suggeritore profetico del loro destino.
Per come si erano svolti i fatti, Ricardo e María sembravano davvero due nuovi Romeo e Giulietta, ripeteva tra sé Jonas Weger, mentre una gentilissima hostess gli chiedeva se desiderasse altro per la prima colazione. Lui manifestò il diniego con un sorriso altrettanto gentile e l’aiutò a liberare il tavolinetto dell’aereo, dove tornò ad appoggiare il volume di Shakespeare che aveva messo nel bagaglio insieme alla copia della fiaba di María dopo aver deciso d’impeto di correre nella città sudamericana diventata teatro della tragedia dei ragazzi.
E pensare, si disse per l’ennesima volta avvertendo un immotivato ma insopprimibile senso di colpa, che i due innamorati si erano gettati a capofitto nella stesura del loro racconto proprio perché volevano farne omaggio a lui, il celebre direttore d’orchestra Jonas Weger! Ospite mesi addietro della fondazione filantropica El Programa diretta dall’“eterno amico” Orlando Andrade, nell’occasione il Maestro doveva incontrare anche i ragazzi sordi del coro Silencio Musical. I giovani erano dunque stati invitati a preparare degli omaggi per il grande musicista in arrivo dall’Europa, e Ricardo e María avevano pensato di fargli dono della fiaba Afra angelo degli abissi.
Mentre l’aereo iniziava a sorvolare le acque senza confini dell’Atlantico, Weger ripensò all’incontro di marzo in cui erano presenti i due ragazzi, ma non riusciva a ricordarseli, tanta era la calca in cui si era trovato, come ogni volta che andava a trovare Orlando. Naturalmente tornò con la memoria anche alla moglie, insieme alla quale era spesso stato in Sudamerica per dar man forte con il proprio prestigio alla fondazione diretta da Andrade, con cui la stessa moglie aveva collaborato per lungo tempo nella raccolta di fondi e donazioni. Rievocando le numerose trasferte passate, si riacutizzarono però i rimorsi. Oh, se avesse dato retta a Irene e accettato la tournée del Teatro alla Scala in Giappone, si rimproverò, non si sarebbe impegnato per il concerto di Augsburg e non sarebbe successo quel maledetto incidente sulla strada del rientro a Monaco! Un po’ come per l’irrazionale senso di colpa che provava nei confronti dei due ragazzi, nella drammatica scomparsa della moglie vedeva infatti un segno dell’influsso demoniaco che la musica esercitava su di lui sino a dettarne gli eventi della vita privata e affettiva: Weger era persuaso che nell’incidente in cui era morta Irene vi fosse stata la firma della musica, che si era infine vendicata su di lei per il numero sempre minore di concerti e tournée cui il marito si concedeva.
Tra la musica e Irene si era prodotta una sorta di convivenza venata di competizione sentimentale sin dall’inizio, da quando Jonas l’aveva conosciuta in Argentina durante il suo primo allestimento del Franco cacciatore di Weber. Nei primi anni Sessanta Irene si era da poco laureata e stava avviandosi al giornalismo. Ma, scoccato il colpo di fulmine, si ritrovò presto a fare da accompagnatrice e poi da organizzatrice e amministratrice degli impegni del Maestro, che da allora la elesse in pratica a sua rappresentante. La moglie sarebbe così diventata un’agente paradossale nel circuito musicale, consistendo spesso il suo lavoro nel rifiutare incarichi anziché nel cercarli. Era stata peraltro lei che, prendendo all’inizio del rapporto l’abitudine di chiamarlo Jonas, aveva suggerito a Johann Dietrich di assumere quel nome d’arte piuttosto insolito che alle diverse latitudini linguistiche la gente pronunciava nei modi più impensati. Nella stagione iniziale della carriera del Maestro, per circa dieci anni, la coppia aveva quindi percorso in lungo e in largo il Sudamerica, tra Argentina, Brasile, Venezuela, Cile. Sinché il colpo di stato fascista cileno del 1973 li aveva convinti a passare l’Atlantico riportando il musicista nel suo Paese, la Germania.
Ora il Maestro stava dunque volando verso le terre d’origine di Irene e della propria carriera. La decisione di correre a manifestare solidarietà per la tragedia dei due ragazzi sordi era un segno di attaccamento a quei luoghi pieni di ricordi e una dichiarazione di affetto per Orlando Andrade, anch’egli in gioventù un direttore d’orchestra che aveva poi preferito dedicarsi all’insegnamento e all’organizzazione musicale.
Lungo il decennio sudamericano del maestro Weger, Orlando ne aveva favorito gli ingaggi e lo aveva aiutato in alcuni difficili momenti economici, ma anche protetto in più d’una circostanza pericolosa, come nella precipitosa fuga notturna da Buenos Aires dopo una soffiata che annunciava un’irruzione della polizia per arrestare Irene, accusata di tenere rapporti con ricercati politici. Il musicista tedesco conosceva quindi da lungo tempo gli incanti e gli orrori della vita in molti Paesi dell’America Latina, e per questo ammirava Orlando, che da quasi trent’anni dirigeva la fondazione Programa Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles, la rete di educazione musicale e artistica a tutti nota semplicemente come El Programa.
Il cordoglio, si sa, predilige i giorni di festa, quando può affondare meglio il dolore nei sentimenti indifesi di coloro che ricordano. Il maestro Weger, una volta rimasto vedovo, se n’era tanto accorto da cercare di scansare le ricorrenze festive con la maniacalità di un bambino che per scaramanzia tenti di non calpestare le linee del selciato. Ma a Natale non era possibile evitare il consueto invito a casa della sorella.
Anche durante quel Natale si sentiva pesare sull’animo il cronico umore malinconico. Benché Walli e la sua famiglia lo circondassero di premure, teneva nascosto a fatica il “morbo dell’addio” alla professione e alla vita che gli rodeva in petto. Sinché, a metà pomeriggio, mentre il gruppo familiare si raccoglieva nel soggiorno vicino all’albero riccamente addobbato, il Maestro si chiese perché il vecchio amico Orlando non gli avesse ancora telefonato come d’abitudine per gli auguri. Provò a chiamarlo, ma trovava sempre occupato. Sentì allora il suo più stretto collaboratore, il giovane collega Gregorio Donoso, che da qualche anno dirigeva l’Orquesta Sinfónica Nacional Juvenil.
«Buongiorno Gregorio, sono Jonas, buon Natale» gli disse, sfoggiando ancora con disinvoltura lo spagnolo appreso nei lontani anni sudamericani.
«Buongiorno Maestro, buon Natale anche a te. Sei a Vienna?» rispose Gregorio, con cui nel corso del tempo Jonas aveva fraternizzato al punto da invitarlo a passare a dargli del tu.
«Sì, sono da mia sorella Walli, che non voleva me ne stessi da solo. C’è buona parte della sua famiglia riunita, compresa la piccola Margarete.»
«Tanti auguri a tutti, e in particolare a Margarete. Dille che qui i bambini della fondazione la aspettano sempre» disse Gregorio in tono affettuoso, ma con una strana ombra nella consueta solarità della voce.
«Certo, glielo dirò... senti, sto provando a contattare Orlando, ma trovo sempre occupato. È strano. Di solito mi chiama per gli auguri quando da voi è ancora primo mattino.»
«Oh, Maestro, purtroppo so perché sta di continuo al telefono. Sono capitate cose terribili... anch’io sto per uscire: devo raggiungerlo all’hospital universitario.»
«Perché? Cosa è successo?»
«Una cosa terribile... due nostri ragazzi sono morti, e i loro corpi sono stati portati all’ospedale per le autopsie» spiegò Gregorio con la voce che ora si incrinò definitivamente per l’emozione.
«Cosa? Chi è morto?!»
«Il ragazzo si chiamava Ricardo Langer» iniziò a raccontare con affanno l’altro. «Era un ragazzo sordo, molto istruito, coinvolto da tempo nel nostro coro Silencio Musical, dove aiutava nello studio gli altri ragazzi sordi... l’hanno ucciso ieri sera nel quartiere La Cruz. Pare sia stata una banda di giovani criminali... lui era di una ricca famiglia di Palmarito, ma ieri è andato in quella favela, una delle più pericolose della città, per incontrare la sua ragazza, María Peña... i nostri ragazzi di La Cruz dicono che la settimana scorsa Ricardo si era presentato dalla madre di María per ufficializzare il loro fidanzamento, e che aveva annunciato di voler andare la sera di Natale con un taxi sino alla baracca per portarla alla messa di mezzanotte in cattedrale. Ma ad aspettarlo ha trovato anche i suoi assassini...»
«Dio mio, Dio mio» ripeté Jonas, mentre i familiari attorno a lui si facevano silenziosi.
Le notizie erano ancora confuse, continuò a spiegare Gregorio. Ciò che era comunque certo era il ritrovamento del corpo di Ricardo, scoperto quella stessa mattina di Natale in una discarica del quartiere, con la testa maciullata. Invece María l’aveva trovata la madre all’alba, nella sua cameretta, morta in un mare di sangue. Durante la notte, la ragazza si era conficcata un grosso coltello da cucina nella pancia, disperata per aver assistito alla morte del suo amato. Le prime voci raccolte dicevano che dopo l’aggressione gli assassini l’avevano trascinata via insieme a Ricardo, forse già morto. Ma María era rientrata a notte fonda sana e salva, quando i vicini avevano sentito la madre urlare a lungo. Anche allora nessuno si era però preoccupato di intervenire o di chiamare i soccorsi. La polizia si era mossa soltanto la mattina, e unicamente perché la famiglia di Ricardo era molto importante...
Jonas era rimasto in ascolto di Gregorio impietrito, ma il suo turbamento aumentò ancor di più quando l’amico gli rivelò che sicuramente aveva conosciuto quei ragazzi durante il suo viaggio di marzo. In quell’occasione aveva ricevuto molti omaggi, e tra questi c’era anche il racconto di María, che i due innamorati gli avevano consegnato personalmente. Weger si ricordava bene di quei regali e della fiaba: li aveva lasciati volutamente a casa della sorella Walli, a disposizione della nipotina Margarete che, avendolo accompagnato nel viaggio, aveva molto fraternizzato con i bambini del Programa.
Quando il Maestro raccontò ai familiari ciò che era accaduto, l’umore generale ne risultò così avvilito che la sorella convinse tutti a uscire per una breve passeggiata al vicino Stadtpark.
Al rientro, la piccola Margarete si sedette accanto al Maestro e tornò a fare la richiesta che gli aveva avanzato al parco.
«Nonno Jonas, mi leggi per favore in tedesco la favola di María e Ricardo? Io non capisco lo spagnolo. Da piccola, quando nonna Irene veniva a trovarmi, me lo insegnava, ma l’ho dimenticato.»
«Tesoro, tra poco devi rientrare a casa con i tuoi genitori» le disse, dopo un lieve turbamento causato dal sentir nominare la moglie.
«No, no... mamma e papà mi hanno detto che posso restare a cena da nonna Walli. Verranno a prendermi dopo. Per favore, me la leggi adesso?» insistette la bambina.
Margarete stava per compiere dieci anni e “nonno Jonas”, come lei chiamava il prozio, ne era completamente infatuato. Ma il Maestro titubava. Avendo scorso la favola, gli sembrava troppo cruda nei contenuti. Accettò dunque con qualche titubanza di leggere alla nipotina il breve testo, che le tradusse in tedesco con numerosi intoppi e cercando soprattutto di smussarne i dettagli più atroci.
C’era una volta in una lontana isola dei Caraibi un giovane di pelle scura di nome Miguel. Faceva il pescatore, ma doveva andare sempre in mare da solo perché gli altri uomini lo odiavano per la sua bellezza che faceva innamorare tutte le donne.
Quando nel villaggio nascevano bambini molto belli, non importa se di carnagione bianca o nera, si diceva che il padre era Miguel. Per colpa di queste voci, i bambini che crescendo si dimostravano belli venivano rifiutati. Il paese li abbandonava senza nemmeno dare loro un vestito né un paio di scarpe, e le madri venivano cacciate o uccise a coltellate dai loro uomini, che poi le gettavano in pasto ai pesci.
I bambini abbandonati iniziarono così a radunarsi come branchi di lupi vicino alla raffineria dell’isola. Lì vivevano concedendosi per ...