
- 224 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Il drago della droga (Segretissimo SAS)
Informazioni su questo libro
Portorico non è un paese per furbi. Johnny Trump, piccolo spacciatore cocainomane, avrebbe dovuto pensarci dieci volte prima di chiedere un incontro con Miguel Cuevas, spietato e inafferrabile boss della droga. Perché sudi tanto, Johnny, sei nervoso? Ti bruciano gli occhi? Colpa della cocaina: metti un po' di collirio. Peccato che un collirio all'acido solforico non sia l'ideale. Scusami, Johnny, ma l'avevo capito subito che non me la raccontavi giusta. Adesso dimmi chi ti manda e ti prometto che te la caverai, cieco ma vivo... Non è nemmeno un paese per creduloni, Portorico. Ecco perché è tempo di inviarci Sua Altezza Serenissima Malko Linge. Il Principe delle Spie saprà cosa fare. All'interno, il racconto "Rewind" di Riccardo Restelli.
Domande frequenti
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Informazioni
eBook ISBN
9788852029257GÉRARD
DE VILLIERS
IL DRAGO
DELLA DROGA
TRADUZIONE DI MARIO MORELLI

Personaggi principali
MALKO LINGE (SAS)
Sua Altezza Serenissima, agente fuori quadro della CIA
EDUARDO GOMEZ
tenente dello SWAT
RAUL DIAZ
capitano della squadra Omicidi di Miami
EDDIE GARCÍA (RICOCHET RABBIT)
sergente della DEA
BRENT HAMMOCK
capo della DEA di Miami
GAIL HUNTER
agente della polizia municipale di Miami
JUNE RICHMOND
agente della squadra Omicidi
MIGUEL CUEVAS
trafficante di droga
MARGARITA GOMEZ
amante di Miguel Cuevas
FAUSTINO
aiutante di Miguel Cuevas
NIEVES MALPICA
autista di Miguel Cuevas
ALFONSO CARINO
il sentero, guru di Miguel Cuevas
JOHNNY TRUMP
spacciatore di cocaina
RONALD KELLER
pilota
1
Johnny Trump annusò disgustato l’odore di cherosene nell’aria umida e calda. Pochi taxi scassati e ammaccati erano ancora in attesa all’uscita bagagli. Il volo 94 della Prinair proveniente da Santo Domingo era stato l’ultimo ad arrivare, con due ore di ritardo: alle 22.50 invece che alle 20.50. La maggior parte dei passeggeri avevano trovato degli amici ad attenderli o si erano accalcati sull’autobus diretto a San Juan. Sul marciapiedi della scalcinata aerostazione era rimasto solo Johnny, con la sua valigetta in mano. Borbottando un’imprecazione, respinse un tassista più insistente degli altri e si guardò attorno con aria preoccupata. Non era solo il caldo umido che gli incollava la camicia al torso adiposo. Moriva di paura. Si strofinò nervosamente gli occhi sempre rossi. Eccesso di cocaina. Johnny era uno di quei tipi che gli spacciatori chiamano con divertito disprezzo “affamati di cocaina”… Già da molto tempo aveva abbandonato il suo lavoro di venditore di automobili per buttarsi nel mondo della droga.
Meticcio americano-colombiano, non aveva fatto fatica a inserirsi nel giro giusto, trasformandosi da cliente in spacciatore.
Scrutò nel buio, cercando quelli che dovevano attenderlo. Senza bagaglio, era uscito tra i primi, inghiottito da un gruppo rumoroso di studenti di ambo i sessi, bloccati da un guasto del loro charter. Un taxi partì rombando come un trattore e l’ultimo autobus per San Juan se ne andò in mezzo a una nuvola azzurrognola di fumo tipica del diesel mal regolato.
Johnny Trump posò la sua ventiquattrore a terra, la strinse saldamente tra le caviglie e si asciugò la fronte con un fazzolettone. I portoricani erano capaci di rubare il guscio a un’aragosta.
— Salve, Johnny, hai fatto un buon viaggio?
Il meticcio si voltò così bruscamente che per poco non cadde. Un uomo ancora più grosso di lui, stretto in una camicia che pareva sul punto di scoppiare, lo guardava sorridendo, porgendogli la mano. I suoi occhi neri, molto infossati, erano del tutto privi di espressione. Johnny gli strinse la mano.
— Ottimo, Faustino. Ma quello schifo di aereo aveva due ore di ritardo.
Il suo interlocutore scoppiò in una gran risata: — Lo so! Ho avuto il tempo di bere tre Bud… Vamos!
Si avviò dondolando verso il parcheggio. Era un cubano arricchito negli Stati Uniti verso gli anni Sessanta. Specializzato nella “sorveglianza” degli spacciatori di cocaina. Al momento di salire su una grossa auto americana parcheggiata in una zona buia, chiese, senza alzare il tono della voce: — Hai i soldi?
— Certo.
Johnny Trump si strofinò di nuovo gli occhi, resistendo a fatica alla voglia di voltarsi per vedere se c’erano davvero gli altri. Proprio la cosa da non fare… Faustino aprì la portiera che cigolò, e Johnny Trump salì sulla macchina. Nella penombra vide un uomo al volante. Faustino si sedette pesantemente accanto a lui e indicò con un cenno della testa il guidatore.
— È Nieves.
Nieves annuì in silenzio, ma non mise in moto. Il cubano puntò verso la valigetta un dito su cui brillava un grosso diamante.
— Fa’ vedere.
Normale. Tuttavia Johnny sudava tanto che ci mise parecchi secondi a trovare la combinazione e sollevare il coperchio, scoprendo così un libro porno, una pistola calibro 38 e delle mazzette di biglietti da cento dollari tenute insieme da elastici. Si infilò subito l’arma nella cintura. Per uscire da Santo Domingo non aveva avuto problemi: conosceva i doganieri. Avrebbe rivenduto la calibro 38 a Portorico prima di ripartire. Le armi valevano un patrimonio.
— Settecentomila dollari — disse.
Sette mazzette da centomila dollari, alte ognuna otto centimetri. Faustino annuì soddisfatto e disse all’autista: — Andiamo.
Grosse gocce di pioggia cominciavano a picchiettare sul tetto. Funzionava un solo tergicristallo. Il motore, dopo qualche singulto, si decise ad avviarsi. Pochi minuti dopo viaggiavano sull’Expreso Baldorioty de Castro verso il centro di San Juan. Johnny Trump si strofinò di nuovo gli occhi. Aveva l’impressione che il cuore volesse uscirgli dal petto. La macchina rollava come una nave sull’asfalto sconnesso. Nieves accese la radio e una voce tonante disse in spagnolo: — Qui Radio Salsa 63. Il potere della musica salsa.
La musica si scatenò, ininterrotta: l’altoparlante vibrava, non era possibile parlare. Faustino sembrava dormire. Stavano costeggiando il quartiere residenziale di Condado. Nieves sterzò bruscamente, uscì dall’Expreso e imboccò un viale tranquillo. Passò sopra la superstrada e prese una via piuttosto stretta che portava verso sud attraverso il quartiere popolare di Santurce. Dopo i grandi palazzi moderni, c’erano solo strade buie fiancheggiate da case di legno con le verande illuminate, popolate di vecchi che riposavano sulle poltrone a dondolo, dietro griglie di protezione. Con il trentasette per cento di disoccupati, Portorico galoppava in testa alle statistiche e l’onestà ne risentiva in maniera pesante.
Nieves rallentò quasi a passo d’uomo in una strada senza marciapiedi, costeggiata da misere catapecchie. Sulla sinistra apparve un bar con un’insegna al neon verde e Nieves vi si fermò davanti. La pioggia era cessata improvvisamente come era iniziata. Una dozzina di clienti appoggiati al muro bevevano birra direttamente dalle lattine, alla musica trasmessa da Salsa 63. Nieves lanciò un fischio. Dal bar uscì un giovanotto ricciuto, magro come il fil di ferro, che corse verso una vecchia macchina americana verde, ferma dietro a quella su cui si trovava Johnny Trump con i suoi compagni.
— Siamo arrivati? — domandò Johnny.
— No — rispose Faustino, senza muoversi.
Johnny Trump si voltò. L’auto verde stava manovrando per mettersi di traverso alla strada molto stretta. Appena ebbe ostruito il passaggio, Nieves ripartì di scatto, facendo spostare a colpi di clacson i pochi pedoni. Dopo aver percorso un dedalo di strade deserte sbucò finalmente in una via illuminata e più larga. Johnny vide di sfuggita una targa: AVENIDA BORINQUEN. Tremava dentro come un pacchetto di gelatina.
— Ehi — disse — cos’è questa storia?
Il cubano parve svegliarsi e gli puntò contro il petto il grosso indice, con un sorriso untuoso.
— Ti proteggiamo, amico! Hai un sacco di soldi lì dentro. Qualcuno potrebbe cercare di fregarteli. Potresti essere stato seguito sull’aereo, no? Bisogna essere molto prudenti.
Sbucarono in un grande viale che correva verso sud: Johnny Trump riconobbe Ponce de León. Sembrava di essere a New York. Sulla sinistra sfilavano i grattacieli, come in parata. Ma a destra c’era un gran buco nero… Johnny cercò di ricordarsi la configurazione della città. Si trovavano a Hato Rey, in pieno centro commerciale.
All’incrocio successivo, Nieves svoltò a destra in Franklin Delano Roosevelt, proprio all’angolo del Banco de Ponce. Poi, cento metri più in là, girò ancora a destra passando davanti agli edifici vivamente illuminati della stazione radio W-KAQ. Quindi si infilò in un quartiere fiancheggiato da depositi. Mezzo chilometro più avanti, diede un colpo di freno e svoltò a sinistra.
In distanza, Johnny vedeva i profili dei grattacieli, come se appartenessero a un altro mondo.
— Dove andiamo? — domandò.
— A Tokyo — rispose Faustino. — Il capo ci aspetta là.
Johnny deglutì a fatica. Tokyo era la più squallida bidonville di San Juan. Neppure la polizia vi si avventurava. Era il rifugio di tutti gli assassini alla macchia e degli sbandati… Il luogo dell’appuntamento era stato scelto bene.
I fari illuminarono un grande parcheggio deserto, costeggiato in fondo da casupole costruite su pali e da una fila di relitti di vecchie auto americane. Un passante che Nieves superò rivolse agli occupanti della macchina un gesto osceno. Johnny si sentì morire di paura. Era pronto a saltare giù e a scappare. Non ne ebbe l’occasione. L’auto si fermò davanti a una baracca e fu subito circondata da alcuni individui dall’aria minacciosa. Nieves disse qualche parola sottovoce e quelli si scostarono. La portiera posteriore venne aperta da un uomo barbuto armato di pugnale. Johnny Trump scese e fiutò l’aria umida, che puzzava di marcio. Tokyo sorgeva vicino al fiume Cano de Martin Pena che scorreva qualche centinaio di metri più avanti e nel quale generalmente marcivano cadaveri galleggianti tra le immondizie.
Faustino raggiunse una scala di legno che portava all’inevitabile veranda, seguito da Johnny Trump. Nieves restò ai piedi della scala e accese una sigaretta. Faustino salì col suo passo pesante, aprì la porta e spinse dentro l’ospite, seguendolo da vicino. Johnny ritrovò il ritmo della salsa, avvertì odore di maiale ai ferri e ammiccò infastidito dalla luce.
— Benvenuto, amico!
La voce tonante gli provocò una specie di scarica elettrica lungo la colonna vertebrale. I suoi occhi arrossati scorsero un uomo di alta statura, seduto su un divano di fronte a lui. L’uomo aveva lineamenti regolari, la barba ben curata, i baffetti e i capelli nerissimi. Una grossa catena gli pendeva al collo, messa in mostra dalla camicia aperta sul petto villoso. I piedi, infilati in un paio di stivali da cowboy, erano posati su un tavolino; la mano destra stringeva la coscia di una ragazza dal viso sensuale e dolce, dal sorriso rassegnato e dal seno provocante sotto un golfino rosso. Miguel Cuevas, il più celebre dei cocaine cowboy, e anche il più pericoloso, era un cubano di trentacinque anni che la droga aveva reso miliardario e che sfuggiva da anni a tutte le polizie che gli davano la caccia da Miami a Bogotà.
L’uomo che Johnny aveva chiesto di poter incontrare.
Miguel Cuevas si alzò e diede una gran pacca sulla spalla di Johnny Trump. Sapeva di acqua di colonia e appariva ben curato nella persona. Lo si sarebbe potuto scambiare per un playboy senza problemi, se non fosse stato per gli occhi gelidi dall’espressione inafferrabile. Le narici, rese sottili dall’uso regolare della cocaina, sembravano trasparenti e l’uomo tirava continuamente su col naso.
— Siediti — disse Cuevas a Johnny Trump. — Bevi un bicchiere, devi essere stanco.
La sua gentilezza era quasi commovente… Johnny accettò macchinalmente un bicchiere di rum bianco e lo alzò.
— Al successo dei nostri affari — disse con voce quasi ferma.
L’alcol gli fece bene. Miguel Cuevas aveva rimesso la mano sulla coscia della ragazza, che continuava a sorridere mezzo inebetita. Johnny rimase in ascolto dei rumori esterni, cercando di convincersi che quelli che lo proteggevano non erano dei chierichetti e dovevano aver previsto un tentativo di interrompere il pedinamento prendendo le contromisure necessarie. Rassicurato da quell’idea, osservò la stanza. Era molto povera, probabilmente ci viveva Nieves. I mobili erano dipinti a colori vivaci e l’elegante Miguel Cuevas stonava in quella squallida cornice. Il cocaine cowboy sbadigliò ostentatamente.
— È quasi l’ora di andare al casinò — disse. — Vogliamo sistemare gli affari?
Aveva posato lo sguardo su Johnny Trump. Anche questi non vedeva l’ora di concludere. Molte persone avrebbero pagato chissà cosa per trovarsi faccia a faccia...
Indice dei contenuti
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