Nicola Doherty
LA RAGAZZA
FUORI UFFICIO
Traduzione di Federica Garlaschelli
L’editore ha ricercato con ogni mezzo i titolari dei diritti di riproduzione dell’immagine di copertina senza riuscire a reperirli: è ovviamente a piena disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autrice e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale.
Ai miei genitori
e a tutte le Alici là fuori
Sdraiata a letto, guardo Luther spogliarsi. Gliel’ho già visto fare moltissime volte, eppure riesce sempre a ipnotizzarmi. Comincia con lo sfilarsi la maglietta, candida contro la sua pelle abbronzata, scompigliandosi ancor di più i capelli scuri già arruffati. L’espressione dei suoi occhi castani è difficile da decifrare, quel fare focoso e vulnerabile al tempo stesso. Fa scivolare le mani fino ai jeans. Lentamente inizia a slacciarsi la cintura...
Squilla il telefono. Rispondo controvoglia, gli occhi ancora inchiodati allo schermo.
«Ciao, Alice!» È Erica. «So che te lo sto dicendo all’ultimo momento, ma noi andiamo a bere qualcosa al Dove con alcuni amici. Ti va di venire? Ma forse sei già in giro. Sento delle voci in sottofondo.»
«No, no.» Prendo il telecomando e metto il film in pausa. «Mi piacerebbe venire, ma sto lavorando.» Mi pento all’istante di averlo detto, so già che cosa risponderà.
«Ma dài, ti porti sempre il lavoro a casa! Dovresti imparare a farti valere, a trovare un equilibrio tra lavoro e vita privata.»
Santo cielo. Voglio bene a mia sorella, ma stasera non ce la faccio ad affrontarla.
«Sarà fatto. Senti, mi spiace per stasera, la prossima volta verrò di sicuro.»
«Dovresti proprio. Non vorrai continuare a startene tappata in casa col muso lungo!» dice Erica prima di riattaccare.
È qui che si sbaglia. Starmene tappata in casa col muso lungo è esattamente quel che voglio fare in questo momento, oltre a perdermi davanti ai film di Luther Carson (che vale come lavoro), a mangiare patatine sorseggiando vino bianco e, in generale, a evitare di pensare al fatto che, dopo due mesi insieme, per Simon non conto abbastanza da essere lasciata in maniera ufficiale.
Anche se so che non avrei dovuto, ho salvato tutti i suoi messaggi. È un po’ come una minicronaca delle nostre otto settimane insieme. C’è il primo in assoluto: “Ciao, Alice, è stato bello conoscerti ieri sera. Drink insieme settimana prossima? Bacio, Simon”. Suona come un carissimo ricordo di un’età dell’oro in cui ancora gli piacevo. Poi altri messaggi gentili per qualche tempo: “Grazie per la bella serata. A molto presto. Tanti baci S.”. Ma nelle ultime settimane i baci hanno cominciato a sparire e i messaggi, più distaccati e rari, erano del tipo: “Farò tardi, mi spiace” o “Non so. Ti faccio sapere la prossima settimana”.
“Dimissioni forzate” ha sentenziato Erica quando le ho detto cosa stava succedendo. “Lui, di fatto, non ti ha liquidata, ha soltanto modificato i termini del tuo impiego in modo tale che la tua precedente occupazione, cioè il vostro rapporto, cessasse di esistere.”
Immagino che possa essere utile avere un avvocato del lavoro come sorella, ma a volte Erica può risultare un tantino troppo professionale. L’ultimissimo messaggio di Simon recita: “Mi disp. merc. non posso. Chiamo io per prox volta”.
Sono passati più di sette giorni. All’inizio ho cercato di non preoccuparmi, continuando a ripetermi che era molto preso dal lavoro (del resto ha appena ottenuto una promozione), ma dentro di me sapevo che stava perdendo interesse. Ieri ho messo da parte l’orgoglio e gli ho scritto un messaggino amichevole, solo per dargli un’ultima possibilità. Sono passate (controllo sul telefono) ventotto ore, e non ha risposto. Quasi non riesco a crederci. Com’è possibile, dopo una storia di due mesi, scaricare qualcuno senza nemmeno una telefonata, un messaggio o una e-mail, ma semplicemente non facendosi più vivi?
Il televisore della stanza accanto è sintonizzato su una partita di calcio: dev’essere tornato Martin, il mio coinquilino. I suoi passatempi preferiti sono seguire la Champions League a tutto volume – a dire il vero, la registra per poi guardare e riguardare le partite che più gli piacciono durante l’estate – e cucinare strani piatti, tipo pasta al forno con salame e avocado, la cui preparazione richiede ore nonché il ribaltamento dell’intera cucina. Mi dà sui nervi, a dirla tutta, ma in compenso Ciara, l’altra coinquilina, mi piace moltissimo. È proprio una persona accomodante: tiene sempre una bottiglia di vino in frigo e non ha battuto ciglio neanche quella volta che, tostando il pane, ho fatto scattare l’allarme antincendio svegliando tutti. Quando mi sono trasferita qui, lei si era appena lasciata con il fidanzato ed era un po’ giù, ma ora sta molto meglio.
Grida di gioia e boati: qualcuno deve aver segnato. Dal momento che in origine la mia camera fungeva da sala da pranzo, a dividerla dal soggiorno c’è solo una porta a due battenti con pannelli di vetro. Ciò significa che si sente tutto quel che accade nella stanza accanto e viceversa. Appena arrivata qui, sono andata a comprare della carta bianca lavorata a mano piuttosto spessa, ho portato a casa dal lavoro degli scatoloni e ho tappezzato la porta di cartoncini bianchi. Ci ho messo un intero fine settimana. Il risultato non sarà degno di “Elle Decor”, ma non è malaccio. Simon lo odiava, lo trovava pacchiano, da studentella. Sarà per questo che ho smesso di piacergli? Crede che sia troppo infantile per essere la sua ragazza? Che poi, a pensarci bene, in realtà non ha mai parlato di me come della sua ragazza, mentre io, l’ultima volta che abbiamo incontrato dei miei amici, sì che l’ho presentato come il mio ragazzo...
Okay, basta. La smetterò di tormentarmi rimuginando su tutti gli errori che potrei avere o non avere fatto con Simon. Mi rimetto sopra il mio piumone e mi verso un altro bicchiere di vino. Per quanto la richiesta del mio capo sia arrivata all’ultimo minuto, sono contenta di riguardarmi Fever. Penso sia un capolavoro come Footloose e Dirty Dancing, anche se alcuni lo definirebbero semplicemente uno scopiazzamento di entrambi girato negli anni Novanta. Stiamo per pubblicare l’autobiografia di Luther, e Olivia vuole che selezioni un’inquadratura da Fever da mettere nell’inserto fotografico, il che non è certo un sacrificio. Mi annoto l’orario esatto indicato sullo schermo e, accanto, scrivo: “L a torso nudo”, seguito da un asterisco.
In men che non si dica la scena della camera da letto, fin troppo breve, è finita. In quella successiva ci sono Jimmy e i familiari di Donna, che fanno capire chiaramente di odiarlo. A impersonare il padre è il preside della scuola di Una pazza giornata di vacanza. Ora Jimmy sta tentando di persuadere Donna a lasciare il fidanzato, un tipo ingessato di Harvard, per fuggire a New York insieme a lui. Cominciano a discuterne, ma all’improvviso Jimmy smette di insistere e le chiede semplicemente di danzare. Non si scambiano una sola parola durante il ballo, eppure, alla fine, lei gli dice che lo seguirà.
Adoro questa scena. Sembrerà assurdo, ma ogni volta che la guardo non ho affatto l’impressione che Luther stia recitando: sembra che la stia vivendo davvero, che faccia sul serio. Vuole veramente convincere Donna a dargli fiducia e a rimanere insieme a lui, non a parole però, piuttosto mostrandole quanto loro due siano importanti l’uno per l’altra. Oh, com’è romantico. Peccato che la vita non sia uno di questi film musicali per ragazzine e che gli uomini reali, invece di comportarsi così, preferiscano mollarti con la strategia dell’indifferenza.
Questo fine settimana potrei farmi una maratona terapeutica di film. Ho una trentina di DVD, soprattutto storie d’amore in bianco e nero, film di danza o per ragazzi. I classici ci sono tutti: The Breakfast Club, Footloose, Dirty Dancing (ovviamente), Voglia di ballare... C’è poi qualche film vario: Le ragazze del Coyote Ugly, Schegge di follia, Point Break (Patrick Swayze e Keanu Reeves in muta da sub), L’ultimo legionario (per quanto non sia il mio genere di film, qui Luther è davvero eccezionale) e Una donna in carriera, il mio preferito. Ho anche Eva contro Eva, Acque del Sud (adoro, adoro, adoro Lauren Bacall), Io ti salverò e Breve incontro (anche se, nello stato in cui mi trovo, quest’ultimo potrebbe darmi il colpo di grazia). E poi c’è il cofanetto di Audrey Hepburn che mi ha regalato Erica: il migliore, per me, è Vacanze romane. Tutti i miei amici mi prendono in giro per la mia passione folle per questo genere di film. Ma considerato che la vita e gli amori veri sono quelli che sono, chi può biasimarmi?
La mia suoneria si sovrappone di nuovo alla musica del film. Metto in pausa e, a tastoni, cerco il telefono sul piumone e sul comodino, riuscendo infine a localizzarlo sotto il letto. Continuo a nutrire una pur debole speranza che sia Simon con una qualche spiegazione – un lutto in famiglia, dei dubbi sulla nostra relazione, persino la morte di un animale domestico mi andrebbe bene –, ma ovviamente non è lui. Chiamata persa: “Olivia”. Oddio. Perché mai il mio capo dovrebbe cercarmi alle nove di mercoledì sera?
Non è che abbia proprio paura di Olivia. Solo che è una donna imprevedibile. Il più delle volte è straordinaria, ma di tanto in tanto diventa una furia per qualche motivo del tutto inaspettato. La richiamo subito ma non risponde, per cui lascio un messaggio. Spero che non sia successo qualche disastro al lavoro e di non aver combinato di nuovo qualche guaio.
Sullo schermo Jimmy è fermo con le braccia intorno a Donna e la guarda come se volesse stringerla a sé per sempre. Nel ruolo di Donna c’è Jennifer Kramer, che ai tempi era una grande star ma di cui, da allora, non si è praticamente più sentito parlare. “Oh, Luther” penso. “Come vorrei esserci io su quella pista da ballo insieme a te adesso, via, lontana dalla mia vita.” Ma non succederà, e allora finisco di guardare il film, riordino gli appunti per Olivia e vado a dormire.
La mattina dopo, sul metrò che sferraglia portandomi al lavoro, non riesco a smettere di rimuginare sulla faccenda di Simon nel tentativo di capire quand’è che tutto ha cominciato ad andare a rotoli. Sembrava così entusiasta all’inizio. Insomma, mi ha chiesto il numero di telefono la sera stessa in cui ci siamo conosciuti e il giorno dopo mi aveva già mandato un messaggio. Poi ha continuato a chiamarmi, e io non riuscivo a crederci... Dentro di me pensavo che non fosse alla mia portata. Ha uno stile di vita davvero frenetico: è responsabile marketing per una grossa azienda produttrice di bevande che sponsorizza moltissimi eventi, e per arrotondare scrive qualche articolo da freelance. E poi era, anzi è, bellissimo, molto alto – una volta tanto un uomo più alto di me – riccioli scuri e occhi di un blu intenso. Ed è intelligente, di compagnia e avevamo quasi sempre molti argomenti di cui parlare. Legge un sacco di libri interessanti, e in genere discutevamo dei suoi articoli e di tutti quegli eventi di alto livello che organizza. Cos’è cambiato? Cos’ho sbagliato?
Devo ammettere che da qualche tempo a questa parte era un po’ distante e che il nostro ultimo appuntamento è stato un vero disastro. L’ho accompagnato a una mostra a cui doveva andare per lavoro. Lui conosceva diverse persone e, dal momento che non volevo stargli appiccicata, ho cercato di gironzolare il più possibile tra gli invitati ma, non conoscendo abbastanza gente, venivo costantemente rimbalzata verso di lui. Dopo la mostra abbiamo vagato nella zona di Chelsea per un’eternità alla ricerca di un posto in cui mangiare qualcosa, ma i locali erano tutti o chiusi o troppo costosi, così siamo finiti al Pizza Express: pessima idea visto che Simon odia le catene. Non avrei proprio dovuto proporre di cenare fuori. Lui era raffreddato e sembrava un po’ giù, mentre io non facevo altro che parlargli di un mio problema di lavoro. Non ha voluto venire a casa mia perché l’indomani avrebbe avuto una riunione di prima mattina. A dire il vero... non era venuto da me nemmeno dopo il nostro appuntamento precedente. E la volta ancora prima era venuto, ma...
Argh. Non ho più intenzione di pensarci: è troppo deprimente. Agguanto la copia di “Metro” incastrata dietro il tizio di fronte a me, gli sorrido in segno di scusa e vado dritta alla rubrica “Piaceri inconfessabili”. Ed eccolo lì, Luther, paparazzato all’aeroporto di Roma, dove stava girando un remake di Vacanze romane. Scopro che sta andando in Sicilia per finire di scrivere il suo libro. Non è più giovane come ai tempi di Fever – siamo a trentatré –, ma trovo che ora sia ancora più bello, con quei suoi occhi scuri e profondi e i capelli castani dritti in testa. Ha un’eleganza innata, persino con i jeans grigi e gli stivali neri da cowboy che renderebbero qualunque altro uomo un re del kitsch. Probabilmente l’ufficio stampa provvederà a ritagliare l’articolo, ma mi infilo comunque il giornale in borsa, non si sa mai.
Quel che mi dà sui nervi della faccenda di Simon è che sembra succedere sempre a me. Esco con un uomo, all’inizio è presissimo, e dopo un paio di mesi mi scarica. Mi piacerebbe sapere cosa ho sbagliato, ma l’unica persona che forse potrebbe spiegarmelo è Simon, e non ho intenzione di chiederglielo. Poniamo che dopo la fine di una storia ci sia un modulo di valutazione da compilare. A Simon assegnerei un punteggio...