Le libere donne di Magliano
eBook - ePub

Le libere donne di Magliano

  1. 168 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Le libere donne di Magliano

Informazioni su questo libro

"La pazzia è davvero una malattia? Non è una delle misteriose e divine manifestazioni dell'uomo?" Il diario di uno psichiatra - narratore e poeta - scritto "per dimostrare che anche i matti sono creature degne d'amore".

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Le libere donne di Magliano di Mario Tobino in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804492566
eBook ISBN
9788852029028

Le libere donne di Magliano

Oggi è arrivata, proveniente da Firenze, una malata, una matta, giovane, fresca, alta, con lo stampo della salute fisica. Quando sono entrato nel reparto era seduta a letto e mangiava con golosità. Aveva la camicia aperta sì che si vedeva comodamente un seno. Non aveva alcun pudore, neppure la finzione del pudore. È affetta da “schizofrenia”, quella malattia mentale che scompone la persona umana rendendola senza senso e senza scopo.
*
Tutti gli infermieri e le infermiere sono di origine contadina, di secolari famiglie contadine.
È aprile, piove continuamente ed è tornato freddo. Hanno il muso lungo per paura della brinata.
*
Il manicomio è su un colle, un piccolo colle, nella vasta pianura lucchese. Il colle si chiama S. Maria delle Grazie. Il paese più vicino è Magliano, ed è questo nome che è celebre nella provincia di Lucca. Essere stati a Magliano significa, ridendo, essere stati matti.
*
Ogni tanto la cupa vita degli infermieri ha una bava di interruzione per un morto.
La prima interrogazione che gli infermieri si fanno, alla notizia che uno di loro è morto, è: se era effettivo o avventizio.
Se era effettivo qualcuno si rallegra e gli brillano gli occhi: al suo posto andrà lui. Se era avventizio c’è indifferenza.
*
Stamani visita liscia. La Viola si è un po’ calmata. Sembra una libellula. Magra, spiritata, agile. È ancora tutta canti di chiesa ma di umore sereno. È ancora in cella. Nuda, un materasso per terra. È in una solitudine che lei non sente affatto.
(Le donne magre con l’andare degli anni mantengono di più il respiro giovanile.)
*
La Sbisà ha nel naso la tubercolosi; s’indovina che c’è un roditore in mezzo alla sua faccia. È veneta; pallida, buona. La pazzia la sospinge, contro la sua volontà, a delirare. Stamani diceva con disperazione: «le parole mi corrono, debbo discorrere, non posso, non posso più».
Era chiaro che desiderava in qualche modo una soluzione, cioè la pace, che può essere anche la morte.
Piove ancora e i matti son tutti nelle sale a urlare e gesticolare selvaggiamente. In queste sale chiamate “di soggiorno” c’è un puzzo di bestia e di umido.
*
Il manicomio si divide in maschile e in femminile. Ciascuna divisione è ordinata e disposta secondo il grado di agitazione e pericolosità. Si parte dai tranquilli e si arriva agli agitati, tutti hanno delirî; alcuni come bestie ruminano cibi e respirano.
*
Nel manicomio tutto si svolge tra i muri. È un castello che contiene 1039 matti, circa duecento infermieri e, a quest’ora un medico e 19 suore.
C’è un cappuccino che in questi giorni pensa sempre alla sua irite, un mal d’occhi che gli proviene dall’uricemia.
*
La Oresta del Deo, che si dichiara affamata e patita ed è un donnone di 120 chili e ruba il pane e il companatico alle malate stupide, è sensibile ai miei complimenti e le si strappa un sorriso (gli occhi neri, avari e avidi, contornati di grasso brillano per un attimo).
È una psico-degenerata, una delinquente, ama sfrenatamente il male. È maestra elementare. Le feci la perizia qualche anno fa. Ha circa sessant’anni. A periodi picchia le altre malate. Qualche volta ha trovato chi gliele rende.
*
La Panconi, baffuta, di quarant’anni, col dialetto di Massa-Carrara, dice che quando vede suor Pia le vien voglia di strozzarla e per non farlo si mette a urlare e gesticolare.
*
La vigilanza-osservazione è piena. Si tratta di mandare una malata non schietta al “Centrale”, dove son meno vigilate. Forse domani mattina mando la Sarti, che appena interrogata piange, come fosse una pelle e io l’ortica. È una vecchia sempre intenta alla mestizia, gli occhi un lago.
Non è schietta ma l’osservazione-vigilanza è tutta piena; sta diventando come un uovo.
*
Sono nella mia piccola stanza nella quale respiro da circa dieci anni. In tutte quelle altre stanze che compongono questo enorme caseggiato respirano i delirî di 1040 matti. Quasi tutti vivono in camicia, Don Chisciotti senza che nessuno li ami, né possono camminare su un ronzino al chiaro di luna; i loro delirî battono sulle povere mute pareti intanto che intorno a loro fuma debolmente puzza di sudore.
*
Stamani, mentre ero pigramente immobile a letto, ha bussato alla porta della mia stanza il Messeri, un ex malato di mente, qui ricoverato, che mi copiava a macchina gli scritti. Già prima di vederlo l’ho riconosciuto dalla voce.
Poiché forse se l’aspettava, gli ho regalato un pacchetto di sigarette, e mi ha risposto con una gentilezza che i sani non hanno: «Non le fumerò, le terrò per ricordo».
Proprio ieri leggevo nel diario del Tommaseo che quando ricevette in “imprestito” i denari per il viaggio dalla madre del Manzoni, scrisse nel diario: “viaggerò a piedi, quel denaro lo terrò per ricordo”. Tanto l’ex alcoolista Messeri che il Tommaseo poi fumarono e spenderono, tralasciando il ricordo.
*
Suor Maria, distinta e delicata, capisce tutto ma s’impanca nelle cose del manicomio appena il necessario per non esser notata.
*
Dentro: tutto calmo.
*
Ho interrogato la Marzi. Fu qui ricoverata perché voleva gettarsi nel pozzo. Tiene il volto fermo, ha gli occhi strabici, ascolta ma sembra che non senta, oltre che non capisca.
Al paese s’innamorò di un uomo sposato, un impiegato del Comune, continuava a pensare a lui, e infine una mattina gli si presentò e confessò quell’amore. Egli ne approfittò una volta sola. Essa da quel giorno cominciò a sentirsi maledetta di impudicizia e ripetutamente tentò di organizzare più che dei suicidi dei melodrammi, infantili eppure molto patetici.
Oggi l’ho interrogata perché vuole ritornare a casa, da sua sorella, vivere per i campi. Sospetto che sia sempre innamorata, cioè sia sempre un trastullo della forza oscura dell’amore.
*
Oggi ho fatto telefonare dal portiere Masini (sua storia: ama l’Italia, vorrebbe che fosse grande e ordinata; era fascista; fu epurato; è ritornato in servizio; ho operato che fosse promosso portiere; è astutissimo e naturalmente dotato per scoprire in un lampo gli altrui peccati), a suor Giacinta e suor Vincenza se c’era nulla di nuovo e, avuta risposta negativa, non sono andato dentro, cioè non ho visto né parlato con le malate di mente.
*
Quando le malate del reparto “agitate” mangiano sembran delle bestie.
L’uso del pettine per l’aspetto è importantissimo. Le malate (in ispecie quelle più calme) la mattina son pettinate dalle infermiere, ma, nonostante, i capelli divengono intricati e sudici, non hanno nessuna onda né lucentezza, e aumentano, divenuti un fuligginoso strofinaccio, il buio e l’assenza che già il volto possiede.
Come bestie nelle tane le malate infreddolite dentro le celle; poiché sono laceratrici e non finirebbero di stracciare e rompere non è possibile dar loro il letto o un materasso e neppure un lenzuolo o coperta, e così stanno “all’alga”, quell’erba marina che ondeggia i baffi presso certe scogliere. Questa possono strappare quanto vogliono e allora i suoi filetti si mescolano ai capelli, entran tra le labbra, dentro la bocca, e se veramente la malata è in furia l’alga si sparpaglia per tutta la cella; se poi la malata si infreddolisce ne fa un mucchio e vi si infila in mezzo.
«Nuda in cella, all’alga» si sente ripetere dalla suora.
Le celle sono piccole stanze dalle pareti nude; in un angolo v’è un reticolato, dal quale, d’inverno, proviene l’aria calda del termosifone.
La porta ha nel mezzo una spia con un vetro molto spesso sì che non si può rompere nemmeno coi pugni; attraverso questa spia ogni tanto l’infermiera sorveglia l’ammalata.
Le celle si dividono in semplici e di sicurezza, quelle semplici hanno una finestra alla solita altezza e di grandezza normale (però con i vetri molto spessi e con una serratura da potersi chiudere a chiave); la cella di sicurezza ha invece una finestrella in alto alla quale non si può arrivare neppure saltando.
Alle “agitate” v’è questa scala: malate che possono stare “al prato”, con tutte le altre, poiché non aggrediscono o se picchiano lo fanno non di frequente e insomma non sono feroci; quelle feroci invece vengono messe in cella; e se la malata non rompe ha il letto e il vaso da notte, se lacera le viene tolto tutto e, nuda, si mette dunque “all’alga”.
Naturalmente tra questi due tipi v’è un continuo ondeggiare e differenziare e per ogni caso si applica un particolare metodo, sempre benevolo per l’ammalato.
“Le agitate” è il reparto più vivo, violento e sincero. Per andarci si scendono delle larghe scale, si percorre un vasto corridoio che sfiora giardini e siamo alla sua porta.
*
Fuori c’è la vita, la gioventù, la bellezza, la gioia che ride; e qui mille matti rinchiusi, prigionieri dei loro delirî, sudati, sporchi, poveri.
*
Il manicomio è pieno di fiori, ma non si riesce a vederli.
*
Gli infermieri del manicomio sono tutti campagnoli, nati intorno al manicomio o nelle frazioni vicine; posseggono un pezzo di terra, che nella pianura lucchese è fruttiferissima, la moglie è impiegata alla Cucirini, o fa la sigaraia, e insomma, tutto sommato, e perché fanno una vita parca, stanno benissimo.
Ma poiché il manicomio è in campagna l’essere infermieri non ha fatto loro aprire spregiudicatamente il cervello, non sono in nulla diventati cittadini, sono del contado, fuori e dentro, e ci si trovano bene. Nel manicomio vedono l’aiuto finanziario alla loro impresa familiare e trattano gli ammalati con quella sagacità, ed anche quel distacco, che hanno i contadini a potare le viti; e però mantengono sempre un solido fondo umano, anche se si deve togliere una corteccia per arrivarci. Poiché il massimo spazio del loro orizzonte arriva soltanto al manicomio desiderano che i figli vi siano impiegati. In questo momento in Italia molti giovani sono disoccupati; più ardentemente desiderano metterli qui per assicurare loro un discreto benessere, infatti lo stipendio di infermiere è scarso per uno della città che ha solo quel mestiere, per un contadino è tanto denaro da metter da parte o quasi. E gli infermieri sono così prudenti e diffidenti a difendere questa loro fortuna che unanimemente, per accordo fraterno, (mentre su altre questioni sono tra loro in perpetuo livore peggio che vicini di campo) su questo tema non fanno parola con nessuno e, se interrogati, eludono il discorso.
Gli infermieri, terminata la per loro non faticosa assistenza ai malati di mente, arrivano sul campo, si tolgon la giacca e lavoran la terra, e poiché non sono mai usciti dal cerchio campagnolo non immaginano altro che il lavoro, e la domenica, l’osteria con il vino.
E gli infermieri mettono in questa avidità tanta passione che qualche volta, udendoli, me ne sono contagiato.
I contadini sono brutali; non vedono altro che loro stessi, uguali alle piante che con le radici bevono fin tanto che glielo consente la natura.
(Smetto di scrivere perché fuori è amorosa primavera.)
*
La Berlucchi è una malata disperatamente “depressa”, piange cioè, lacrima limpide lacrime dicendo che sua è la colpa di tutto e che la uccidano perché è la minima pena. Oggi la sua disperazione, il suo senso di colpa era tale che si gettava con la testa contro il muro per spaccarsela.
Di età si avvicina a cinquant’anni, è magra, un tempo sicuramente piena di grazia, ma sono i suoi occhi limpidi-lacrimosi che si ricordano; non soffre bestialmente, pensa dolorosamente, e i suoi occhi esprimono questo.
*
Di notte nei cameroni dei matti puzzo di bestia e grida.
*
Una malata (sembra un topo pallido, gli occhi sempre curiosi benché non ricerchino con precisione nulla) tutte le mattine mi domanda che le levi l’acqua dalla pleura, che la visiti, che ha la pleurite, che è malata, è “all’ultimo sospiro”.
È stata visitata: è grassa, morbida e sanissima.
Immancabilmente ogni mattina implora punture esplorative nelle pleure con lo stesso tono di voce, lo stesso viso di topo pallido che è curioso ma non ricerca nulla.
Questa donna non è che abbia uno scopo che ostinatamente vuol raggiungere; ha solo quel pensiero della pleurite e non avendo altri pensieri, facilmente, senza fatica, ripete quell’unico pensiero.
Questo è lo spavento, il deserto, tutto l’altro immenso campo scomparso. Dov’è il popolo degli affetti che vive in ogni persona?
Inoltre quell’unico pensiero che essa possiede è come un povero alberetto che pazzescamente è sospeso nell’aria senza le radici che peschino dentro il terreno.
*
La Sbisà (alla quale già ho accennato) è piuttosto graziosa, pallida, ancora giovane. Da vent’anni la tubercolosi la perseguita; ha il corpo disseminato di ascessi cicatrizzati, il volto è rimasto dolce. Ora ha la tubercolosi dentro il naso, nel setto, che ne è stato corroso, ma fortunatamente all’esterno non si vede. La tubercolosi è il centro del suo animo; a lungo andare essa non ha resistito e per quel continuo incubo le sono nati delirî.
Il giorno di Pasqua in chiesa si sentì male ed ora crede che per quel suo svenimento la porteranno in carcere, che la tubercolosi la trascinerà in luoghi sempre più cupi e segregati, aggiunge che tutti quelli della sua famiglia sono morti e cioè ha perso anche gli ultimi che la potevano aiutare contro la tubercolosi che la trascina.
Nel dire così la Sbisà piange come una Madonna addolorata.
La Sbisà ha gli occhi molto belli, neri, sempre lucidi di malinconia e di una sopportazione che, stranamente, brilla di profonda letizia.
*
Poi dirò della agitata signora Maresca, che si muove voluttuosamente sul sesso, dai capelli a fitte chiome, i lineamenti del viso e del corpo diretti verso l’amore pagano, ma ora, ieratica statua, mi appare la Clerici, più vecchia di settanta anni che più di tre o quattro volte ho disputato (o mi è sembrato di disputare) alla morte.
È una vecchia che tende le mani composte, come le offrisse nell’aria, quali una tragica. Il dolore è il suo vessillo, e la sua voce limpidamente scaturisce il dolore. È uguale a una polla che invece d’acqua dà oneste lacrime. Il suo delirio è così logico e semplice e detto con accenti così persuasivi che una fanciulla che per caso ascolta gonfia i begli occhi giovanili di lacrime. Appunto, circa sessanta giorni sono passati, vennero da Pisa al manicomio, per visita, quegli universitari. Io cominciai, quasi nolente, a dimostrare la pazzia, che benché illogica è vivente e tra le mura del manicomio vivono 1040 malati. Per dimostrare, far a quei giovani vedere, le malattie mentali della gioia e del dolore presentai due opposte malate, e per il dolore ci fu la Clerici. Fu presentata ed essa, spontaneamente, come da quando è malata ha fatto, continuò a dire il dolore, il suo delirio di colpa e rovina, la sua voce tirata su come nelle oasi la carrucola fischia solitaria rotolandosi a sospendere in alto il secchiello dell’acqua miracolosa. Gli studenti e le studentesse (queste ai miei occhi più numerose e splendenti) ascoltando tale genuina voce, impietrite prima, poi si commossero, e ne vidi, mentre commentavo, una giovanissima che aveva gonfi di lacrime i grandi occhi neri.
La Clerici implora uguale a un arabo che udii nel deserto: navigava ondeggiando su una piccola duna, fu l’unica volta che vidi il dolore in un arabo, aveva in mano un fazzoletto rosso, anzi paonazzo, uguale a carne sanguinolenta; il camiciotto gli lasciava scoperti i bruni secchi stinchi, andava su e giù pe...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Le libere donne di Magliano
  3. Mario Tobino
  4. Avvertenza
  5. Le libere donne di Magliano
  6. Appendice
  7. Copyright