GERARD DE VILLIERS
OPERAZIONE
DRAGO ROSSO
- PARTE PRIMA -
Traduzione di Sandro Ossola
PERSONAGGI PRINCIPALI
MALKO LINGE (SAS)
Sua Altezza Serenissima, agente fuori quadro della CIA
LU ZHAO
ex capitano dell’Esercito popolare di liberazione cinese
MAIKO NABU
amica giapponese di Lu Zhao
THEO STEVENS
agente “illegale” della CIA a Tokyo
LI XIAOPENG
generale dell’Esercito popolare di liberazione cinese, amante di Lu Zhao
PHILIP BURTON
capo della stazione CIA di Tokyo
JEFFREY “MAX” FOX
agente clandestino della CIA a Shanghai
1
Il taxi si fermò proprio di fronte alla scala mobile, fiancheggiata da quattro enormi ascensori trasparenti che portavano all’area partenze del Terminal 3 dell’Aeroporto Internazionale di Pechino.
— Con il pedaggio fanno cento yuan — disse l’autista.
Aveva caricato Lu Zhao sotto il suo appartamento di Sun City, nel quartiere di Chaoyangmen, all’incrocio tra Xinzhonglu e la strada nord dello Stadio dei Lavoratori. Si trattava di un lussuoso complesso residenziale protetto da guardie private dove vivevano cinesi con salari elevati e gusti sofisticati, che era appunto il caso di Lu Zhao. Capitano dell’Esercito popolare di liberazione, campionessa di tiro e laureata in ingegneria, aveva lasciato grado e uniforme quando la Rolls-Royce, società britannica che vendeva motori e turbine in Cina e aveva gli uffici dietro il Kempinski Hotel, oltre un piccolo canale e vicino alla terza circonvallazione, le aveva fatto un’offerta generosissima perché assumesse il ruolo di consulente e agevolasse i rapporti tra l’azienda e i suoi clienti cinesi, spesso appartenenti all’industria militare.
Così, una volta al mese, Lu Zhao si recava a Tokyo, dove si trovava il centro nevralgico della Rolls-Royce per il mercato asiatico.
All’ex capitano era stata offerta quell’opportunità grazie al suo inglese perfetto e alla ferma volontà di arricchirsi, ubbidendo agli insegnamenti impartiti qualche anno addietro dal presidente Deng Xiaoping.
Frugò nella borsa e poi tese all’autista una banconota da cento yuan e una da dieci.
— Grazie — disse. — Sei stato veloce.
Aveva fretta di lasciare quell’auto puzzolente di fumo stantio. Ai tassisti era proibito fumare durante le corse, ma nelle soste si rifacevano alla grande. A Pechino spadroneggiavano: non esitavano a violare allegramente il codice della strada invadendo le corsie di emergenza ed erano esenti dai controlli del tasso alcolemico, a cui invece erano sottoposti di frequente i comuni automobilisti all’interno della terza circonvallazione.
Lu Zhao ripose nella borsa la pinza fermasoldi: da molto tempo in Cina non circolavano più monete metalliche. Prese il trolley e si diresse verso la scala mobile, sorvegliata da un guobao, un agente della sicurezza interna.
Il trolley superò il controllo a raggi X e lei dovette passare attraverso il metal detector prima di salire sull’immensa scala mobile.
I cinesi erano diventati dei maniaci della sicurezza. Persino nelle stazioni della metro si controllavano le borse tramite uno scanner.
Quando la donna entrò nella sala d’imbarco del Terminal 3, infinitamente lunga, rimase come sempre colpita da quanto fosse pulita: si sarebbe potuto mangiare per terra. Inaugurata per le Olimpiadi del 2008, era una struttura ultramoderna in vetro e acciaio, con uno strano tetto rosso (colore portafortuna in Cina) a forma di guscio di tartaruga.
Lu Zhao guardò l’orologio: le sette e mezzo. Era in anticipo, ma aveva sempre paura di perdere l’aereo per colpa dei mostruosi ingorghi del traffico di Pechino. Da quando era diventata ricca non le andava più di prendere l’Airport Express Train, un convoglio automatizzato che, partendo dalla stazione Sanyuanqiao, impiegava solo diciotto minuti.
Per prudenza controllò il tabellone delle partenze. Il volo 181 della China Airlines per Narita, l’aeroporto di Tokyo, era previsto per le 8.40. La sala brulicava di gente: erano sempre più numerosi i cinesi che si recavano all’estero.
Ovunque gli sguardi vigili di guobao, poliziotti e cani da guardia del regime. Walkie-talkie alla mano, completamente vestiti di nero, l’attenzione sempre desta, pronti a individuare ogni movimento sospetto.
Lu Zhao non aveva voglia di aspettare troppo nella sala partenze. Indecisa tra un elegante ristorante cinese, con i tavoli separati da un cordone di velluto rosso, e uno Starbucks Coffee, optò poi per il secondo e ordinò un “latte”.
Era l’ultima moda, nonostante il prezzo esorbitante per le tasche dei cinesi: trentuno yuan, pari a circa tre euro.
La coda si allungava davanti alla cassa 3E. Lu Zhao si rilassò: aveva fretta di arrivare a Tokyo, questa volta per ragioni diverse dalle solite riunioni di marketing.
Chen Boda, agente del Guoanbu da sedici anni, lavorava nei locali della quarta sezione, situata a Lumintang Hutong, nella zona est della città. Questa sede di “supporto tecnico” era incaricata delle intercettazioni nella Pechino intra muros.
Di solito era un compito del Gonganbu, il Servizio di pubblica sicurezza cinese, ma dato che si trattava di controspionaggio, il Guoanbu lo aveva avocato a sé.
A Pechino migliaia di persone venivano costantemente intercettate, e non solo gli stranieri, ma tutti quelli che avrebbero potuto deviare dalla linea del Partito. Una rete invisibile ed efficace. Quando veniva costruito un nuovo alloggio, si installava sempre un sistema di ascolto, che poteva essere attivato in caso di bisogno.
A paragone del Guoanbu, il vecchio KGB era un dilettante.
Chen Boda era arrivato in ufficio alle sette e si era subito dedicato al suo lavoro di trascrizione. Il giorno prima era rimasto un po’ indietro. Ogni agente aveva in carico cinque “clienti”. Un compito noioso: la maggior parte delle conversazioni ascoltate era priva d’interesse.
Chen accese il registratore e inserì il nastro con l’intercettazione del cliente 278. Non sapeva di chi si trattasse: solo il suo superiore, Wang Jun, responsabile del Centro, poteva identificare i soggetti attraverso una lista segreta.
Con la penna in mano, si accese una sigaretta e avviò il nastro. Le microspie erano nascoste nell’impianto dell’aria condizionata.
Riconobbe una voce femminile, poi una maschile. Chiaramente l’uomo era un ospite.
Gli intercettati stavano cenando e discorrendo di argomenti banali. Poi la conversazione assunse un tono piuttosto intimo: avevano cambiato stanza.
Presto non ci furono altro che ansiti, gridolini ed esclamazioni di piacere. Non c’era dubbio: stavano facendo l’amore.
Uno dei rari momenti piacevoli di un mestiere altrimenti noioso. A volte gli amanti parlavano mentre facevano sesso e a Chen era capitato di avere un’erezione. Ma questi due erano muti, gemiti e sospiri a parte.
E per di più fu breve.
Poi i due tornarono nella prima stanza e Chen sentì l’uomo chiedere: “Hai del cognac?”.
La bevanda di lusso dei cinesi.
La donna ce l’aveva, e cominciarono a bere. Era evidente che il tizio si stava ubriacando, perché le parole che pronunciava erano sempre più confuse.
Chen ascoltava distrattamente quando una frase lo fece trasalire.
L’uomo stava dicendo: “Voglio confidarti un segreto, ma tu non devi parlarne con nessuno”.
Aveva insistito sulla parola “nessuno”, e nonostante la voce impastata, l’aveva pronunciata chiaramente.
“Se vuoi…” rispose lei in tono indifferente.
Il tipo abbassò la voce. “La Cina sta per ritrovare il suo onore!”
“Il suo onore?”
“Sì. Il Grande Timoniere aveva giurato di riunire l’intero territorio cinese, però è morto prima di averlo potuto fare.”
“Ma tutta la Cina è unita” obiettò la donna.
“Già, senza Taiwan! Ci sono persone che prima di morire vogliono veder sventolare la nostra bandiera su Taipei.”
“Il presidente Hu Jintao non sembra preoccuparsene troppo” osservò la donna senza scomporsi.
“Perché altri si stanno interessando della questione. Presto sentirai parlare dell’operazione Drago Rosso. È prevista per ottobre. Invaderemo Taiwan!” Ci fu un lungo silenzio, quindi l’uomo ruttò e sospirò. “Non avrei dovuto parlartene. Manterrai il segreto?”
“Ma sì, certo.”
“Bene, vado a dormire. Aiutami.”
Il resto della conversazione non fu degno di nota.
Chen Boda riascoltò il dialogo quattro volte, poi lo stampò e salì al terzo piano da Wang Jun, il capo del Centro.
— Bisognerebbe occuparsi con urgenza di questa intercettazione — disse con voce inespressiva. — Mi è sembrata interessante. — Uscì senza dire altro, lasciando la trascrizione sulla scrivania.
Wang Jun la lesse e sentì il cuore accelerare i battiti. Era una vera bomba! Un attentato alla linea del Partito. Anche se chi aveva parlato era senza dubbio ubriaco, bisognava controllare. Cercò febbrilmente nel computer a chi corrispondesse il dossier 278.
Si trattava di un’ex capitano dell’EPL, l’Esercito popolare di liberazione, Lu Zhao, tornata alla vita civile dopo una carriera ineccepibile nell’esercito. Non aveva modo di identificare l’uomo. In ogni caso, l’utilizzo delle intercettazioni non rientrava nei suoi compiti.
Rifletté a lungo. Normalmente avrebbe dovuto seguire l’iter gerarchico, ma l’importanza di quella conversazione meritava una misura speciale.
Conosceva una persona a cui rivolgersi: Zhou Yongkang, numero tre del regime e al momento coordinatore dei Servizi, dopo aver diretto per lungo tempo il Gonganbu. Naturalmente Wang Jun non lo aveva mai incontrato. Cercò nell’annuario del Guoanbu il numero diretto del dirigente e chiamò. Rispose la voce impersonale di una segretaria.
Dopo essersi identificato, Wang Jun annunciò: — Vi mando via fax un documento che deve restare segreto.
Disponeva di un fax criptato per questo genere di comunicazioni. La segretaria ringraziò con freddezza e Wang riagganciò, pensando che se si trattava davvero di una cosa importante, Zhou Yongkang si sarebbe ricordato di lui.
Lu Zhao pagò il suo “latte” e stava per alzarsi quando vide il tabellone delle partenze aggiornarsi: il volo della China Airlines per Tokyo era stato rinviato di mezz’ora.
Non poteva fare altro che aspettare paziente.
Scorse un giornale gratuito abbandonato sul tavolo vicino e lo prese. Ma leggere la carta stampata era piuttosto monotono: tutte le notizie interessanti venivano sistematicamente censurate. Era in rete che le si doveva cercare.
Zhou Yongkang aveva letto la trascrizione e ne aveva subito compreso l’importanza. Per prima cosa digitò sulla tastiera il nome della locataria dell’appartamento: Lu Zhao.
Era schedata dal Guoanbu, come tutti i cinesi che lavoravano per aziende estere, e il suo dossier veniva aggiornato regolarmente. Fu così che Zhou scoprì che l’uomo che aveva menzionato l’operazione Drago Ro...