
- 238 pagine
- Italian
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eBook - ePub
Sull'amore
Informazioni su questo libro
L'amore è per Hesse un'incessante ricerca esistenziale, uno stato di grazia dello spirito e dei sensi che abbraccia il mondo intero. In un crescendo di intensità e profondità, i testi qui raccolti esplorano tre grandi variazioni sul tema: l'amore adolescenziale, l'esperienza amorosa matura, l'amore per l'umanità.
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Informazioni
Argomento
LiteratureCategoria
Literature GeneralSUL GHIACCIO
Fu un inverno lungo e rigido, e il nostro bel fiume della Foresta Nera rimase coperto dal ghiaccio per molte settimane. Non posso dimenticare la strana sensazione, il brivido estatico con cui misi piede sul fiume nella prima mattina di gelo, perché era profondo e il ghiaccio era così limpido che potevo vedere sotto di me, come attraverso una sottile lastra di vetro, l’acqua verde, il fondo sabbioso cosparso di pietre, le piante acquatiche fantasticamente intrecciate e di tanto in tanto il dorso scuro di un pesce.
Passavo delle mezze giornate a correre sul ghiaccio coi miei compagni, le guance ardenti e le mani livide, il cuore energicamente dilatato dal moto intenso e ritmico del pattinaggio, colmo della meravigliosa, spensierata capacità di godimento che è propria dell’adolescenza. Facevamo gare di velocità, di salto in lungo, di salto in alto, giocavamo ad acchiapparci, e quelli di noi che portavano ancora i vecchi pattini d’osso legati con lo spago agli stivali non erano i corridori più scadenti. Uno però, il figlio di un industriale, possedeva un paio di “Halifax”, che erano fissati senza corda né cinghia e si potevano mettere e togliere in due minuti. In seguito la voce Halifax fece parte per anni della mia lista di desideri natalizi, ma senza successo; e quando, dodici anni dopo, volli finalmente comprarmi dei pattini davvero buoni e di pregio e nel negozio chiesi degli Halifax, con grande dolore vidi morire un ideale e un pezzo di fede infantile, perché il commesso mi assicurò sorridendo che l’Halifax era un sistema antiquato e da un bel pezzo aveva perduto il primo posto. A me piaceva pattinare da solo, spesso fino al calar della notte. Filavo a tutta velocità, imparavo a fermarmi o a svoltare in piena corsa in qualsiasi punto, descrivevo dei begli archi bilanciandomi col godimento di un aviatore. Molti dei miei compagni usavano le ore di pattinaggio per star dietro alle ragazze e far loro la corte. Per me le ragazze non esistevano. Mentre gli altri facevano loro da cavalieri, ronzavano loro intorno bramosi e timidi o le conducevano in coppia con audace disinvoltura, io mi godevo da solo il libero piacere dello scivolamento. Per i “conduttori di signorine” non avevo che compassione o scherno. Dalle confessioni di certi amici credevo infatti di sapere che i loro piaceri galanti erano quantomeno problematici.
Senonché, verso la fine dell’inverno, un giorno mi venne all’orecchio una grande novità corsa per tutta la scuola: il “bifolco del nord” aveva ripetutamente baciato la Emma Meier mentre si toglievano i pattini. La notizia mi fece improvvisamente salire il sangue alla testa. Baciata! Ecco una cosa ben diversa dalle insulse conversazioni e dalle impacciate strette di mano che venivano altrimenti celebrate quali estasi supreme del “condurre le signorine”. Baciata! Ecco una parola di un mondo estraneo, sigillato, timidamente presagito, un parola che aveva il delizioso profumo dei frutti proibiti, qualcosa di misterioso, di poetico, d’indicibile, e apparteneva a quel territorio oscuro e dolce, pauroso e seducente che tutti noi, pur evitando di parlarne, conoscevamo per intuizione, e che ci era parzialmente svelato dalle leggendarie avventure amorose di qualche dongiovanni espulso dalla scuola. Il “bifolco del nord” era uno scolaro quattordicenne di Amburgo, chissà come capitato tra noi, per il quale avevo grande rispetto: la sua fama, che fioriva lontano dalla scuola, spesso mi toglieva il sonno. Ed Emma Meier era incontestabilmente la scolara più carina di Gerbersau, bionda, agile, fiera e della mia stessa età.
Da quel giorno progetti e ansie si agitarono nella mia mente. Il desiderio di baciare una ragazza superava infatti ogni mio precedente ideale, sia come fatto in sé, sia perché era senza dubbio vietato e punito dalle leggi scolastiche. Rapidamente compresi che l’unica buona occasione era il solenne servizio d’amore sulla pista da pattinaggio.
Per prima cosa, dunque, cercai per quanto potevo di rendere più presentabile il mio aspetto. Dedicai tempo e cure alla pettinatura, sorvegliai puntigliosamente la pulizia dei miei abiti, abbassai graziosamente sulla fronte il berretto di pelliccia e con molte preghiere ottenni da mia sorella un foulard di seta rosa. Nello stesso tempo cominciai a salutare cortesemente, quando mi trovavo sul ghiaccio, le ragazze eventualmente idonee e credetti di vedere che questo insolito omaggio veniva accolto con stupore ma non senza compiacimento.
Molto più difficile mi riuscì il primo approccio, perché in vita mia non avevo mai “invitato” una ragazza. Cercai di osservare il comportamento dei miei amici durante questa seria cerimonia. Alcuni facevano solo un inchino e tendevano la mano, altri balbettavano qualcosa di incomprensibile, ma i più si servivano dell’elegante frase: «Posso avere l’onore?». Questa formula mi impressionò e mi allenai a pronunciarla a casa, nella mia stanza, inchinandomi davanti alla stufa e recitando le solenni parole.
Era arrivato il giorno del difficile primo passo. Già ieri avevo avuto idee di corteggiamento, ma ero tornato vigliaccamente a casa senza avere osato nulla. Oggi mi ero ripromesso di fare a qualunque costo ciò che in eguale misura temevo e bramavo. Andai alla pista col batticuore, angosciato come un delinquente, e credo che le mie mani tremassero mentre mettevo i pattini. E poi mi tuffai nella folla, prendendo velocità con un’ampia curva e sforzandomi di conservare sul viso un resto dell’usuale sicurezza e disinvoltura. Per due volte percorsi a tutta velocità l’intera lunga pista, l’aria frizzante e il moto intenso mi fecero bene.
All’improvviso, proprio sotto il ponte, andai a sbattere con estrema violenza contro qualcuno e mi scostai barcollando, costernato. Ma sul ghiaccio era seduta la bella Emma, palesemente ingoiando il dolore e guardandomi piena di rimprovero. Davanti al mio sguardo il mondo girava come una trottola.
«Aiutatemi, su!» disse alle sue amiche. Allora, scarlatto in viso, mi tolsi il berretto, mi inginocchiai accanto a lei e l’aiutai a sollevarsi.
Ora ci stavamo di fronte, spaventati e smarriti, e nessuno diceva una parola. La pelliccia, il viso e i capelli della bella ragazza mi stordivano con la loro estranea vicinanza. Cercai senza successo di escogitare una scusa, continuando a tenere in pugno il berretto. E all’improvviso, mentre i miei occhi erano come velati, feci meccanicamente un profondo inchino e balbettai: «Posso avere l’onore?».
Lei non rispose, ma prese le mie mani con le sue dita sottili, di cui sentii il calore attraverso il guanto, e partì con me. Mi sembrava di vivere uno strano sogno. Una sensazione di felicità, vergogna, calore, piacere e imbarazzo mi toglieva quasi il respiro. Pattinammo insieme per circa un quarto d’ora. Poi, in uno dei luoghi di sosta, lei liberò dolcemente le piccole mani, disse «Molte grazie» e si allontanò da sola, mentre io mi toglievo in ritardo il berretto di pelliccia e ancora a lungo restavo lì inchiodato. Soltanto in seguito rammentai che non aveva detto una sola parola per tutto il tempo.
Il ghiaccio si fuse e non potei ripetere il mio tentativo. Fu la mia prima avventura amorosa. Ma passarono anni prima che il mio sogno diventasse realtà e la mia bocca si posasse sulla bocca rossa di una donna.

TROPPO TARDI
Venni con ansia timida,
sommesso scongiurandoti,
ma del mio ingenuo fuoco
ridesti, e del mio amore
facesti solo un gioco
Sazia di giochi, esausta,
mentre cupi mi guardano
con ansia gli occhi tuoi,
quell’amore che un giorno
ti offrivo, ora lo vuoi.
Ahimè, da tempo è cenere,
mai più potrà rivivere –
era tuo, ben lo sai!
Non conosce più nomi,
vuol esser solo, ormai.

Negli anni che precedono la maturità sessuale la facoltà d’amare degli adolescenti non abbraccia soltanto i due sessi, ma tutto e ogni singola cosa, il sensuale e lo spirituale, e a ogni cosa dona il fascino amoroso e la fiabesca capacità di metamorfosi che in età più tarda solo gli eletti e i poeti vedono a volte ritornare.

L’amore non esiste per renderci felici. Io credo che esista per dimostrarci quanto sia forte la nostra capacità di sopportare il dolore.

L’amore lo si patisce, ma più lo si patisce con dedizione, più ci rende forti.

Più è difficile avere una cosa, più la si ama.

Si chiama amore ogni superiorità, ogni capacità di comprensione, ogni capacità di sorridere nel dolore. Amore per noi stessi e per il nostro destino, affettuosa adesione a ciò che l’Imperscrutabile vuole fare di noi anche quando non siamo ancora in grado di vederlo e di comprenderlo – questo è ciò a cui tendiamo.

L’APPRENDISTATO DI HANS DIERLAMM
1
Il commerciante di pellami Ewald Dierlamm, che da tempo non era più lecito definire un semplice conciapelli, aveva un figlio di nome Hans da cui si aspettava grandi cose: perciò gli faceva frequentare le medie superiori a Stoccarda. Ma il giovane, un ragazzo robusto e vivace, non si faceva onore a scuola e col passare degli anni non acquistava in saggezza. Costretto a ripetere ogni classe, ma per il resto menando una vita piacevole fra i teatri e le birrerie, raggiunse infine il diciottesimo anno e l’aspetto di un giovanotto prestante, mentre i suoi attuali compagni erano ancora dei ragazzini imberbi e immaturi. Hans tuttavia non tenne il passo neppure con questa annata e continuò a cercare l’appagamento dei suoi desideri e delle sue ambizioni solo in una frivola vita da uomo di mondo; a questo punto fu suggerito a suo padre di togliere dalla scuola quell’irresponsabile che rovinava se stesso e gli altri scolari. Così, un bel giorno di una splendida primavera, Hans tornò a Gerbersau in compagnia dell’afflitto genitore, ormai costretto a chiedersi che cosa si potesse fare di quel degenere. Per quella primavera, infatti, era ormai troppo tardi per spedirlo nell’esercito, come avrebbe voluto il consiglio di famiglia.
Fu proprio il giovane Hans, con grande meraviglia dei suoi genitori, a esprimere il desiderio di entrare come praticante in un’officina meccanica, dato che, come disse, si sentiva portato a fare l’ingegnere. Nella sostanza parlava sul serio, al margine però nutriva l’inconfessata speranza di essere mandato in una grande città dove ci fossero le migliori fabbriche e dove, oltre al mestiere, avrebbe anche trovato molte piacevoli occasioni di svago. Ma aveva sbagliato i calcoli. Infatti il padre, dopo le necessarie consultazioni, lo informò che, pur essendo disposto a soddisfare il suo desiderio, per intanto riteneva consigliabile farlo restare al villaggio, dove forse non c’erano le migliori officine e i migliori posti da apprendista, ma in compenso mancavano anche le tentazioni e i traviamenti. Il che del resto non era del tutto esatto, come sarebbe risultato in seguito, ma era stato deciso con le migliori intenzioni; sicché Hans Dierlamm dovette risolversi a imboccare la sua nuova strada nella cittadina natale e sotto la sorveglianza paterna. Il meccanico Haager si disse pronto ad accoglierlo, e con un certo imbarazzo il disinvolto giovane si recava ormai tutti i giorni dalla Münzgasse al suo lavoro nell’isola inferiore indossando una tuta da fabbro di tela azzurra. Questi tragitti all’inizio gli diedero una qualche pena, perché era abituato a presentarsi ai suoi concittadini più o meno benvestito. Ma ben presto si adattò e ostentò di portare la tuta per scherzo, come un travestimento. Il lavoro in se stesso invece gli fece un gran bene, dopo che per tanto tempo aveva scaldato i banchi di scuola senza combinare nulla, anzi perfino gli piacque e suscitò in lui dapprima la curiosità, poi l’ambizione, infine un’autentica gioia.
L’officina di Haager era in riva al fiume, ai piedi di una grande fab...
Indice dei contenuti
- Copertina
- di Hermann Hesse
- Sull'amore
- Introduzione
- Sull’amore
- SUL GHIACCIO
- Fonti
- Copyright