Nuovi adolescenti, nuovi disagi.
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Nuovi adolescenti, nuovi disagi.

Dai social network ai videogames, allo shopping compulsivo: quando l'abitudine diventa dipendenza

  1. 228 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Nuovi adolescenti, nuovi disagi.

Dai social network ai videogames, allo shopping compulsivo: quando l'abitudine diventa dipendenza

Informazioni su questo libro

Cosa sta succedendo ai figli del terzo millennio? Un'enorme quantità di dati indica la diffusione sempre maggiore di stili di vita segnati da dipendenze e comportamenti patologici: assunzione di droghe e alcol, bulimia e anoressia. Ma anche dipendenze nuove: abuso di Internet, videogiochi e social network, amore per l'azzardo, shopping compulsivo, atteggiamenti di «love addiction» sempre più precoci. Fenomeni spesso sottovalutati dai genitori ma in realtà tanto diffusi quanto pericolosi per lo sviluppo di una personalità equilibrata. Come intervenire? Mariani e Schiralli, ricorrendo alle più recenti scoperte delle neuroscienze e alla loro lunga esperienza di psicologi, guidano i genitori a riconoscere i segni del pericolo e ad affrontare le situazioni di disagio dei propri figli grazie al recupero di quelle «sostanze stupefacenti naturali» che ognuno di noi possiede: le emozioni, uniche armi in grado di contrastare tutte le dipendenze patologiche. Vecchie, nuove e nuovissime.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804605003
eBook ISBN
9788852030932

Parte seconda
VECCHIE E NUOVE DIPENDENZE

Le droghe, l’alcol e la nicotina

Tra i giovani è oggi molto diffusa l’abitudine di consumare sostanze legali e illegali con l’obiettivo, più o meno consapevole, di alterare la coscienza. Si sosta nei bar, consumando aperitivi e superalcolici in grande quantità come fosse una conquista; ci si incontra nei pub, bevendo più di un boccale di birra per essere allegri; si fuma uno spinello per stare insieme o per rilassarsi in solitudine; si utilizzano pasticche anfetaminiche o si sniffa cocaina per andare in discoteca; si tira eroina, tanto per provare; si fuma più di un pacchetto di sigarette al giorno, per sentirsi grandi e apparire più forti e disinvolti.
Non è la regola, ma tanti ragazzi lo fanno.
Purtroppo oggi il mondo dei giovani che studiano, lavorano e producono e il mondo dei ragazzi che consumano sostanze stupefacenti o abusano di bevande alcoliche non sono più due mondi separati.
Il tossicodipendente (e l’alcolista) disfunzionale al sistema, da evitare, da «smaltire» in carcere, da «riciclare» attraverso le comunità terapeutiche o da etichettare come «genio e sregolatezza» non esiste più.
Al suo posto si sta da tempo consolidando una nuova generazione di consumatori integrati, che usano sostanze stupefacenti e alcol (fino ad abusarne e diventare dipendenti) senza il bisogno o la necessità di uscire dai circuiti della scuola, della famiglia, del lavoro, del divertimento, delle relazioni, perfino dello sport.
Tutto questo è possibile anche perché i contenuti della scuola, i legami familiari, l’attaccamento al lavoro, l’intensità delle relazioni e le passioni per il divertimento e per lo sport si sono via via superficializzati e svuotati, non costituendo più valori e attrattive per la gran parte dei giovani e dei giovanissimi di quest’epoca.
In tempi non sospetti Lindo Ferretti, storico paroliere e leader carismatico di un famoso gruppo rock italiano, in un pezzo paradossalmente intitolato Io sto bene, cantava: «Non studio, non lavoro, non guardo la tv, non vado al cinema, non faccio sport».
Tutto sembra favorire la cancellazione di qualsiasi forma di coscienza critica e del desiderio di stare con l’Altro attraverso l’attenuazione di ogni senso di appartenenza e di significato. Così i giovani vivono la famiglia, la scuola e i vari impegni, comprese le attività sportive e lo stare con gli amici, come incombenze spaziali e temporali da «svoltare» e consumare velocemente.
Comprimere sempre più gli spazi e i tempi per tentare di sentire emozioni, percezioni e stati d’animo diversi, benché staccati dalla realtà, appare per molti adolescenti l’unica soluzione percorribile: gli spazi sono quelli della discoteca, degli after hours e dei rave parties; i tempi quelli dello sballo. All’interno di questo perimetro spazio-temporale gran parte dei ragazzi consumano beni additivi promettenti un benessere di fatto mai raggiungibile. Da qui la possibile frustrazione e un probabile nuovo consumo, in un pericoloso circuito centripeto che non porta mai fuori dalla realtà (che paradosso a proposito di droghe!), ma riporta continuamente dentro una realtà sempre più mortificata dall’assenza di coraggio, passione, desiderio, futuro e senso di appartenenza.
Le droghe tuttavia non hanno mai avuto questa funzione e questa valenza: pur esistendo da sempre, solamente negli ultimi decenni sono diventate appannaggio delle giovani generazioni fino a costituire la maggiore emergenza sociale e sanitaria del pianeta.
Le popolazioni antiche, dalle grandi civiltà del Mediterraneo alle piccole tribù dell’Africa e delle Americhe, hanno sempre utilizzato sostanze stupefacenti per andare in battaglia e affrontare il nemico, per curarsi e sentirsi meno soli, per accompagnare rituali o per esaltare momenti particolari.
Non si ha notizia da alcun documento storico certo che quelle droghe procurassero dipendenza. Alcune delle sostanze utilizzate erano tuttavia le stesse di oggi (cocaina, marijuana, funghi allucinogeni, oppio), ma probabilmente era diverso l’uso e lo scopo.
Queste sostanze, dai poteri un po’ magici, venivano assunte per scopi precisi e in determinate circostanze come per festeggiare eventi particolari; per sostenere la forza e il coraggio durante le battaglie; per favorire il senso di appartenenza; in occasioni di riti propiziatori e preghiere; per alleviare il dolore fisico.
Quando la battaglia era vinta, la cerimonia conclusa, la malattia sconfitta e la solitudine evitata, le droghe venivano, di solito, riposte, pronte per essere utilizzate per la successiva emergenza.
Questo accadde per millenni.
In un documento di circa tremila anni fa ci si riferisce ad un’erba che «rilassa i pensieri». Il documento fu addirittura redatto da un imperatore cinese per decantare gli effetti «mirabili» della marijuana.
Nel corso del tempo l’assunzione di droghe e sostanze stupefacenti si è modificata, passando lentamente da mezzo ritualistico di gruppo a mezzo individuale e intimistico per creare, sentire meglio le vibrazioni della coscienza, attenuare la fatica e anche obliare.
L’uso di massa e la dipendenza patologica sono invece fenomeni recenti.
Siamo negli anni Cinquanta. La Seconda guerra mondiale è terminata da pochi anni, lasciando lutti, ferite, ricordi terribili, ma anche una grande volontà di rinascere, vivere e dimenticarsi dell’orrore dei tanti olocausti.
Negli Stati Uniti il culto del bello, dell’essere efficienti e sempre al top della forma fisica, della ricerca del benessere e del piacere, dell’autonomia a tutti i costi costituiscono gli elementi trainanti delle nuove tendenze giovanili, tendenze che da una parte favoriscono la rimozione della guerra e della paura, dall’altra sono in linea con la ripresa dei mercati economici: le grandi auto decapottabili, la musica di Elvis Presley, i fast food sono solamente alcuni dei tanti simbolimerce di una società veloce, in ascesa (si pensi, tra l’altro, alla corsa per la conquista dello spazio) e alla spasmodica ricerca di nuove forme di stare insieme, di divertirsi, di affermarsi, perfino di amare.
In questa improvvisa accelerazione i giovani, spinti dal «mito americano» e dalla voglia di affermarsi, si allontanano precocemente dai propri nuclei familiari per raggiungere i più rinomati college universitari o le grandi aree metropolitane delle due coste, in cerca di avventure e successo.
Alcune case farmaceutiche americane, proprio per far fronte alle mutate esigenze dei giovani e al loro intenso bisogno di vivere al top e di farcela, lanciano sul mercato una serie di prodotti anoressizzanti e psicostimolanti che favoriscono la produzione di dopamina e altri mediatori chimici (prevalentemente anfetamine) per la cura del corpo e per sostenere i ragazzi nello studio e nello sport.
È la prima vera operazione di marketing dedicata a un nuovo, particolare, vasto e appetibile target: i giovani.
Il libero commercio di queste sostanze determina però in pochi anni una notevole quantità di farmacodipendenti: soggetti che, a seguito di un’assunzione protratta di sostanze anoressizzanti e anfetaminiche, non possono più farne a meno, sviluppando dipendenza fisica e psichica, una condizione cioè di malessere acuto qualora venga sospesa l’assunzione.
Tali soggetti, prevalentemente giovani e giovanissimi, costituiscono un’entità clinica, culturale e sociale assolutamente inedita e molto problematica.
Non appena viene accertata la pericolosità di questi prodotti, il dipartimento della Salute degli Stati Uniti ne vieta il libero commercio, tuttavia il fenomeno di assumere sostanze stupefacenti non si arresta. L’esercito dei giovani tossicodipendenti americani infatti si frantuma in mille rivoli: molti riescono a curarsi con successo negli ospedali e nelle cliniche; altri rimangono impigliati nel nascente mercato nero delle droghe (di lì a poco in mano alla grande criminalità organizzata); altri ancora confluiscono nel vasto ed eterogeneo mare della contestazione giovanile.
Il desiderio di emanciparsi dalle regole familiari e da ogni forma di autorità, la liberalizzazione dei costumi sessuali e il femminismo, la lotta politica, l’opposizione alla guerra del Vietnam e anche la poderosa spinta prodotta dalla musica rock costituiscono volani formidabili per far circolare crescenti quantità di droghe tra i giovani.
La cultura dello sballo, alimentata dal vento della contestazione e dalle graffianti melodie del rock, attraversa l’Oceano e si diffonde rapidamente in tutto il Vecchio Continente e anche oltre l’impenetrabile cortina di ferro.
Grandi gruppi musicali dell’epoca propongono struggenti liriche di rottura. Molti loro brani passeranno alla storia come veri e propri inni della contestazione, diventando in breve tempo simboli del «movimento».
L’orizzonte musicale propone anche dubbie esaltazioni sull’uso della droga.
Mentre idoli come Jimi Hendrix, John Bonham (batterista dei Led Zeppelin), Jim Morrison e tanti altri giovani musicisti muoiono per overdose, le maggiori band continuano ad esaltare ogni tipo di droga.
I Rolling Stones suonano Brown Sugar (così veniva detta un tipo particolare di eroina), i Pink Floyd inaugurano il filone del rock psichedelico; Joe Cocker nel 1969 al festival di Woodstock canta in modo accorato e struggente With a little help from my friends, un vero e proprio inno alle pasticche «amiche» e agli spinelli.
In questa dirompente, contraddittoria ed entusiasmante situazione, le mafie e le organizzazioni criminali si appropriano di quello che di lì a poco diventerà il più grande affare economico planetario: il commercio e lo spaccio della droga.
Dall’Estremo Oriente e dall’Afghanistan cominciano ad affluire in Occidente quantità massicce di eroina; nell’America del Sud la criminalità locale si organizza per avere il monopolio della cocaina; dalle coste nordafricane un esercito di piccoli spacciatori apre la strada maestra alla marijuana; dall’Olanda partono verso il resto dell’Europa e verso gli Stati Uniti gli acidi e le altre micidiali droghe chimiche.
In pochissimo tempo il mercato è saturo.
La domanda cresce in modo esponenziale, tanto che si creano bande rivali in guerra armata tra loro per piazzare meglio il prodotto «droga».
Nel tempo le partite di droga, specialmente quelle di eroina che assicurano guadagni maggiori, vengono piazzate attraverso vere e proprie strategie di marketing, programmando ad arte, per esempio, l’improvviso ritiro dal mercato dell’hashish e della marijuana per poi immettere soltanto eroina; oppure si sospende lo spaccio di eroina per il tempo necessario a indurre astinenza diffusa, per poi rimetterla sul mercato a un prezzo di gran lunga maggiore.
Con gli anni Ottanta, l’abuso di sostanze stupefacenti si svincola dalla contestazione: l’eroina ha infatti destabilizzato quote crescenti di giovani, relegandoli dal sospirato protagonismo a una miserabile condizione di marginalità.
I giovani ora assumono sostanze perché respingono il «sistema», perché avvertono il malessere e cercano di affrontarlo curandosi con l’eroina, gli acidi e con altre sostanze stupefacenti emergenti.
Il mondo ovattato delle droghe sembra a molti l’unico rifugio in una società sempre più competitiva e sempre più lontana dai bisogni delle giovani generazioni.
Gli anni Ottanta e Novanta costituiscono il periodo di maggiore diffusione dell’eroina a livello planetario.
In Italia sale il dibattito politico e scientifico: il ministero della Salute realizza una serie imponente di campagne informative sui pericoli delle droghe, peraltro con scarsissimi risultati; nel 1990 viene varata una legge quadro per affrontare l’emergenza droghe, definendo strutture terapeutiche per i tossicodipendenti e sanzioni per trafficanti e spacciatori.
Mentre la lotta alla droga si fa capillare, le indicazioni, le opinioni, le informazioni sul fenomeno, veicolate quasi quotidianamente da ogni media, vengono fornite in base a due strani binomi: quello ideologico e quello morale. Le sostanze stupefacenti vengono cioè quasi sempre trattate secondo concezioni bipolari del tipo «proibire-liberalizzare», «giusto-sbagliato» o, peggio ancora, «buono-cattivo».
Nell’opinione pubblica si strutturano pertanto idee e credenze errate, parziali e fuorvianti. Si inizia a credere, per esempio, che esistano droghe leggere e droghe pesanti, che alcune droghe non facciano male o che drogarsi sia un vizio da correggere o da reprimere pesantemente con il carcere.
Per molti anni in Italia il dibattito mediatico si attesta prevalentemente su posizioni politiche ed etiche contrapposte, oscurando stranamente il punto di vista scientifico e l’esperienza clinica.
Questa realtà produce di fatto tanta confusione, ma soprattutto un gravissimo ritardo nell’adozione delle più adeguate ed efficaci metodologie di intervento per arginare il fenomeno. Il ritardo è così marcato che, mentre le istituzioni si stanno faticosamente attrezzando per contrastare la diffusione delle droghe e tutti i problemi sociali e sanitari a essa correlati, la tossicodipendenza è già mutata radicalmente: il mercato, il consumo, gli atteggiamenti sono cambiati. Tra la fine degli anni Novanta e l’inizio del terzo millennio si fa largo tra i consumatori un nuovo soggetto emergente: molto giovane, integrato nel tessuto sociale, ma con poco senso di appartenenza, sempre annoiato, costantemente alla ricerca di beni da consumare e di eccessi da condividere con i pari.
Sul mercato sfondano le pasticche anfetaminiche e allucinogene (ecstasy), la cocaina e altre sostanze sintetiche molto pericolose, ma dall’aspetto rassicurante e invitante (non c’è pericolo di contrarre malattie terribili come l’AIDS, lo fanno tutti, non sembrano dare grossi problemi di dipendenza, costano poco, si trovano ovunque, combattono la noia). Assumendole con parecchio alcol, si va proprio in paradiso: l’inferno può davvero attendere, tant’è l’attrattiva di questi nuovi prodotti, sempre in mano alla criminalità organizzata che continua a realizzare enormi guadagni con nuove e sapienti strategie di mercato.
Si abbassa notevolmente l’età dei nuovi assuntori e il consumo avviene prevalentemente nelle discoteche il sabato sera.
Giovani e giovanissimi si sballano prevalentemente durante il fine settimana al ritmo della tecno, della house, dell’hardcore, musiche generalmente autoprodotte, così come artigianali sono le pasticche di ecstasy.
In pochi anni si assiste alla formazione di una generazione inedita di tossicodipendenti con caratteristiche del tutto nuove e pre...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Di Ulisse Mariani e Rosanna Schiralli
  3. Nuovi adolescenti, nuovi disagi
  4. Parte prima - LE CAUSE DELLE DIPENDENZE
  5. Parte seconda - VECCHIE E NUOVE DIPENDENZE
  6. Parte terza - COME AFFRONTARLE
  7. Conclusione - Il fattore E
  8. Bibliografia
  9. Copyright