L'altra famiglia
eBook - ePub

L'altra famiglia

  1. 348 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

L'altra famiglia

Informazioni su questo libro

Richard l'amava, di questo Chrissie è sempre stata sicura. Per lei ha lasciato il figlio Scott e Margaret, la prima moglie. È con lei, con Chrissie, che ha diviso oltre vent'anni di felice convivenza, la nascita di tre figlie amatissime, la vita professionale, senza più farsi vivo con "l'altra famiglia". Perché allora non ha mai divorziato da Margaret?
Margaret conosceva Richie come nessun altro, gli è stata accanto fin dai tempi della scuola, nei poveri sobborghi di Newcastle, gli ha dato un figlio, lo ha supportato nei difficili esordi come musicista, ha assistito ai suoi primi successi. Perché allora lui l'ha lasciata per una donna molto più giovane? Perché non si è più fatto vivo?
Quando Richard muore per un attacco di cuore improvviso, le domande delle due donne sembrano destinate a rimanere senza risposte. Ma quando all'apertura del testamento si scopre che Richard ha lasciato il suo prezioso pianoforte e i diritti sulle canzoni di maggior successo a Margaret, lo scenario cambia. Sentimenti come l'amore, la fedeltà, il senso di abbandono e perdita assumono significati nuovi. E, per la prima volta, le due famiglie sono costrette a incontrarsi...

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a L'altra famiglia di Joanna Trollope in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804624356
eBook ISBN
9788852029851

JOANNA TROLLOPE

L’ALTRA FAMIGLIA

Traduzione di Raffaella Brignardello

Mondadori

L’altra famiglia

A Jason

1

Ripensando alle ore passate in ospedale, era così strano che nessuna di loro avesse ceduto. Persino Dilly, che era capace di scoppiare a piangere per una sciocchezza, non aveva detto una parola. Chrissie lo imputò allo shock, inteso letteralmente come sospensione improvvisa delle reazioni naturali provocata da un trauma. E il trauma le aveva colpite già prima che il medico aprisse bocca. Lo avevano capito tutte e quattro, dal modo in cui le aveva guardate, prima di parlare. Sapevano che avrebbe detto: “Mi dispiace molto, ma...” e infatti lo aveva detto. Aveva detto tutto, dall’inizio alla fine, e Chrissie e le tre ragazze si erano limitate a fissarlo. E nessuna aveva fiatato.
Chrissie non ricordava come aveva fatto a tornare a casa. Anche se Tamsin e Dilly sapevano guidare, non le era passato nemmeno per l’anticamera del cervello di dare a loro le chiavi dell’auto. Si era limitata a mettersi al volante, senza dire una parola, e Tamsin – per una volta senza discutere – le si era seduta accanto, mentre le due ragazze più giovani si erano infilate sul sedile posteriore e si erano persino allacciate le cinture spontaneamente. Mai successo. E Chrissie aveva acceso il motore e si era avviata verso casa, la schiena dritta come se stesse dando alle ragazze una lezione sulla postura, su per Highgate Hill e giù lungo il versante opposto, verso la casa nella quale avevano vissuto fin dalla nascita di Amy, diciassette anni prima.
Ovviamente, davanti a casa non c’era parcheggio. Succedeva sempre così la sera, dopo l’orario di ufficio.
Chrissie disse: «Che noia», con un tono fin troppo controllato e molto signorile; Dilly, dal sedile posteriore, aggiunse: «C’è posto davanti alla casa dei Nelson», e nessuno disse altro mentre Chrissie parcheggiava, malamente. Stavano tutte pensando a cosa avrebbe fatto lui, se fosse stato presente, a come avrebbe detto: “Perché costringere degli oggetti ornamentali a parcheggiare? Dammi le chiavi”; Chrissie avrebbe riso – quanto meno avrebbe potuto ridere – e gli avrebbe lanciato le chiavi sbagliando mira, dandogli ragione, e in quattro e quattr’otto lui avrebbe infilato l’auto in uno spazio impossibile, per sentirsi dire dalle sue ragazze in coro: “Esibizionista!”. “Esibirmi è il mio mestiere,” avrebbe risposto “non ve lo dimenticate.”
Scesero dall’auto, la chiusero e attraversarono insieme la strada. La casa era immersa nel buio. Quando erano uscite era pieno giorno e comunque erano nel panico per via dell’ambulanza e perché lui era così spaventosamente pallido e sofferente, quindi nessuno aveva pensato al ritorno, a come sarebbe stato ritornare a casa. Di certo nessuno aveva osato pensare a un ritorno così.
Chrissie aprì la porta d’ingresso, mentre le ragazze si stringevano alle sue spalle sotto il portico, come se facesse un gran freddo e non vedessero l’ora di entrare al calduccio. Pensò che avrebbe dovuto spazzare le foglie dal portico, un pensiero del tutto irrilevante, e che c’era bisogno di dare una bella mano di vernice, da anni, e che Richie diceva sempre che a North Shields, nel Tyneside, sua nonna si metteva in ginocchio e puliva a fondo i gradini davanti all’ingresso della sua casa tutti i giorni tranne la domenica. Tutti i giorni. Con una spazzola e un secchio di zinco.
Chrissie tolse la chiave dalla serratura e il mazzo le scivolò di mano. Tamsin si sporse sopra di lei e accese le luci dell’ingresso, le ragazze la superarono e si diressero verso la cucina. Chrissie si rialzò e, mentre cercava di infilare la chiave nella toppa dalla parte interna della porta, si accorse che stava tremando così forte che dovette tenere ferma la mano destra con la sinistra per riuscire a centrare la serratura.
Poi si avviò lungo il corridoio, senza guardare né il salotto né tanto meno la sala prove, con il suo pianoforte e la panchetta un po’ ammaccata, le fotografie incorniciate, lo stereo e gli scaffali pieni zeppi di cd, diplomi, premi e pile di spartiti malconci che lui conservava ostinatamente. Si fermò sulla soglia della cucina. Tutte le luci erano accese, e anche la radio, sintonizzata subito su Kiss FM o qualcosa del genere. Il bollitore fischiava e le tre ragazze erano una qua una là, e piangevano a dirotto.
Più tardi, quella sera, Chrissie si infilò sotto le coperte stringendo una borsa dell’acqua calda e una confezione di Nurofen Forte. Non usava la borsa dell’acqua calda da anni. Sul suo lato del letto aveva una coperta elettrica – Richie veniva dal Nord e non sopportava le coperte elettriche – ma quella sera aveva un gran bisogno di stringere qualcosa, qualcosa di caldo, qualcosa da toccare, quindi aveva rovistato nell’essiccatoio e aveva trovato una borsa dell’acqua calda di Dilly, gomma blu ricoperta di pelliccia sintetica, con il morbido musetto macchiettato di un dalmata sopra il tappo.
Una delle ragazze le aveva lasciato una tazza di tè sul comodino. E un bicchiere che poteva essere di whisky. Lei non beveva mai whisky. A Richie piaceva, mentre lei aveva sempre preferito la vodka. O lo champagne. Richie avrebbe servito loro dello champagne, quella sera: sosteneva che fosse la miglior cura contro il dolore, contro il cattivo umore, contro le delusioni. Ma non ce l’avevano fatta. C’era una bottiglia nel frigorifero, ce n’era quasi sempre una nel frigorifero, e in effetti l’avevano presa e l’avevano guardata, poi l’avevano rimessa a posto. Avevano bevuto del tè, poi dell’altro tè, e Amy aveva mangiato dei cereali mentre Tamsin era andata a telefonare al suo ragazzo, ma non si era allontanata molto, tant’è che l’avevano sentita ripetere le stesse cose un sacco di volte; Dilly aveva cercato di mangiarsi i mirtilli secchi nei cereali di Amy e Amy l’aveva colpita sulla mano: Chrissie allora era scoppiata, finalmente, si era lasciata andare e lo shock le aveva di nuovo ridotte al silenzio.
Quello shock, oltre a quell’altro, intollerabile, era la spiegazione più plausibile del bicchiere di whisky. E del letto preparato per accoglierla e della lampada accesa sul comodino, e della luce accesa in bagno, e dell’asciugamano pulito sullo sgabello. Ma c’erano ancora un secondo asciugamano sul termosifone, l’asciugamano extralarge che piaceva tanto a lui, e sei guanciali sul letto e i suoi occhiali da lettura sulla pila di libri che non riusciva a finire e le sue pantofole e un bicchiere d’acqua ancora mezzo pieno. Chrissie guardò il bicchiere colta da una specie di terrore. La bocca di suo marito si era posata su quel bicchiere, la sera prima. Solo la sera prima. E lei si sarebbe stesa accanto a quel bicchiere, perché niente e nessuno l’avrebbe convinta a toccarlo o a lasciare che qualcun altro lo toccasse.
«Mamma» Amy si affacciò sulla porta.
Chrissie si girò. Amy era ancora vestita, con un miniabito, i jeans e un paio di ballerine così ridotte che sembravano solo un bordino nero sui suoi piedi nudi. Chrissie indicò il letto e il bicchiere di whisky e disse: «Grazie».
«Niente» rispose Amy.
Amy aveva un aspetto terribile, con i capelli sciolti e arruffati che le incorniciavano il viso tranne per una ciocca fermata da una pinza rossa. Chrissie tese le braccia verso la figlia.
«Vieni qui.»
Amy le si avvicinò e si lasciò abbracciare. Non era l’abbraccio giusto, Chrissie lo sapeva, non era abbastanza rilassato né abbastanza confortante. Era Richie quello bravo a confortare, a stemperare la resistenza dei loro corpi e dei loro visi di adolescenti conquistandone l’affetto e l’acquiescenza.
«Scusa» disse Chrissie tra i capelli di Amy.
Amy sospirò. «Di cosa?» chiese. «Non è che l’hai ucciso tu. È morto e basta.»
“Per essere qui,” avrebbe voluto dire Chrissie “per essere qui senza di lui.” «Dobbiamo farcene una ragione» disse invece. «Un’ora dopo l’altra. Dobbiamo farcela.»
Amy si girò, come per allontanarsi. «Lo so.»
Chrissie guardò il Nurofen. «Vuoi qualcosa per calmarti un po’? Che ti aiuti a dormire?»
Amy le fece un sorriso storto. Scosse la testa.
Chrissie domandò: «Che cosa stanno facendo le altre?».
«Dilly si è chiusa in camera. Tam sta parlando con Robbie.»
«Ancora?»
«Ancora.» Amy si guardò attorno nella camera da letto, senza soffermarsi sulle pantofole o sui guanciali. «Non so che cosa fare.»
«Nemmeno io» disse Chrissie.
Amy ricominciò a piangere. Chrissie le cinse le spalle con un braccio e le posò la mano sulla testa.
«Lo so, piccola...»
«Non posso sopportarlo...»
«Ma certo,» disse Chrissie «vuoi dormire con me?»
Amy smise di piangere. Guardò la pila di guanciali. Scosse la testa, tirando su col naso. «Non potrei. Scusa.»
«Non ti devi scusare. Era solo un’idea. Nessuna di noi dormirà, ovunque siamo.»
«Quando mi sveglierò,» disse Amy «ci vorrà un attimo prima di ricordarmi. Non è così?»
Chrissie annuì.
Amy si liberò dall’abbraccio e si avviò verso la porta. Giunta sulla soglia, si fermò, si tolse la pinza rossa dai capelli e la fece scattare un paio di volte. «Almeno...» riprese, senza voltarsi a guardare sua madre «... abbiamo ancora il suo nome. Almeno siamo ancora delle Rossiter.» Sospirò tremando. «Vado a suonare un po’ il flauto.»
«Sì» la incoraggiò Chrissie. «Sì. Fai così.»
Amy lanciò uno sguardo alla madre. «A papà piaceva come suonavo.»
Poi si allontanò lungo il pianerottolo, strisciando le ballerine e Chrissie la sentì salire stancamente la rampa di scale che portava alla mansarda che lei e Richie avevano deciso di rendere abitabile per permettere a Dilly e Amy di avere ciascuna la propria camera da letto.
Chrissie dormì. Pensava che non ci sarebbe riuscita o che non avrebbe voluto farlo, invece scivolò in un sonno pesante per svegliarsi solo due ore dopo e precipitare in un pozzo di dolore tanto profondo che le sembrava impossibile risalire in superficie. Non seppe neppure per quanto tempo rimase là sotto a lottare, ma a un certo punto lasciò il dalmata con l’acqua calda per abbracciare uno dei guanciali di Richie, che profumava ancora della sostanza che si spalmava sui capelli grigi; si accorse di gemere mentre lo stringeva, e allo stesso tempo notò, sopra le guide delle tende, lame di luce che annunciavano la nuova giornata con gli uccellini che cinguettavano sull’albero davanti alla finestra. Si girò su un fianco e accese la luce. Erano le sei e tredici. Erano passate solo sei ore e tredici minuti della prima giornata di quel nuovo capitolo della sua vita, che aveva sempre temuto di dover affrontare e quindi aveva sempre evitato di immaginare.
“Sarò una vedova inconsolabile” diceva sempre a Richie, il quale, se la stava ascoltando, replicava: “Be’, non intendo darti l’opportunità di scoprirlo” e, per cambiare argomento, le cantava qualcosa, un paio di battute di qualche ballata di Tony Bennett o Jack Jones. Faceva sempre così: cantava per stemperare la tensione. In passato lei pensava che fosse meraviglioso. Ma da un paio d’anni a quella parte le era sorto il dubbio che a Richie fosse più facile cantare che impegnarsi. Oddio, se solo... Se solo si fosse impegnato! Se avesse fatto almeno quello!
Sfilò la mano sinistra da sotto il piumone e la guardò. Era una mano graziosa e curata, che si addiceva a una donna graziosa e curata. Portava una fede sottile in oro bianco parzialmente tempestata di diamanti. I diamanti erano piuttosto grandi, più grandi di quanto sarebbero stati se li avessero effettivamente rinvenuti nelle viscere di una miniera del Sudafrica. Invece erano stati ingegnosamente fabbricati in un piccolo stabilimento vicino ad Anversa che utilizzava un procedimento capace di concentrare l’opera millenaria della natura in sole tre settimane. Chrissie aveva detto a Richie che si chiamavano diamanti industriali. Lui le aveva guardato la mano, poi la sua attenzione era...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. L'altra famiglia
  3. Copyright