Mia piccola sirena (I Romanzi classic)
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Mia piccola sirena (I Romanzi classic)

  1. 288 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Mia piccola sirena (I Romanzi classic)

Informazioni su questo libro

Decisa a sottrarsi a un matrimonio senza amore e alle restrizioni della società, l'ereditiera Sophia Hathaway respinge il fidanzato, impacchetta tele e colori e si imbarca sul veliero Aphrodite fingendosi una governante. Desidera una vita libera e anticonvenzionale, ma un conto è tratteggiare a pennello quelle audaci fantasie, un altro è trovarsi faccia a faccia con l'incarnazione di una di queste: l'affascinante quanto pericoloso capitano della nave, Benedict Grayson. Libertino e mascalzone, Gray vive per il profitto e il piacere, ma il talento e la sensualità di Sophia riescono a toccargli il cuore. Al punto che, all'improvviso, è pronto a sfidare qualsiasi pericolo pur di tenerla accanto a sé.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852028038

1
Gravesend
Dicembre 1817
Quando era fuggita dal matrimonio mondano dell’anno, Sophia Hathaway sapeva che stava scegliendo l’infamia.
Ma aveva tralasciato di considerare quanto l’infamia puzzasse.
Si fermò sulla soglia della fetida taverna sul fronte del porto. Persino da lì l’acre tanfo di birra l’aggredì, facendole salire la bile in gola.
Un omaccione che stava uscendo la sgomitò. — Sta’ attenta, bellezza!
Sophia si premette contro lo stipite, stupita per la forma singolare di quel “bellezza”. Il commento dell’uomo si era chiaramente riferito a entrambi i suoi seni.
Con un ultimo, profondo respiro, si addentrò con circospezione in quella confusione umidiccia ed ebbra, cercando di evitare che le gonne di serge grigio sfiorassero alcunché. Tanto meno qualcuno. Da ogni angolo buio, e quella taverna abbondava di angoli bui, degli occhi la seguivano. Occhi sospettosi e ghignanti, incastonati in facce rudi e non rasate. Tanto sarebbe bastato a far sentire ansiosa qualunque giovane donna, figurarsi una giovane lady che viaggiava da sola, e che come unica protezione aveva una mantella presa in prestito e una falsa identità...
Era quasi sul punto di riconsiderare l’intera faccenda quando qualcuno la spintonò da dietro. Per istinto strinse le dita sulla lettera nascosta sotto la mantella e pensò alle altre, a quelle che quella stessa mattina aveva spedito e con le quali rompeva il suo fidanzamento e dava avvio a uno scandalo di proporzioni byroniane. Semi di un’irreversibile rovina sparsi al vento.
Un freddo senso d’ineluttabilità le stabilizzò lo stomaco in subbuglio. Ormai non c’era modo di tornare indietro. Avrebbe accettato di affrontare ben di peggio di quel lurido pub se ciò avesse significato lasciarsi alle spalle la sua vita fatta di costrizioni. Poteva sopportare persino che quegli uomini volgari le occhieggiassero i seni, purché non scoprissero il segreto che vi celava in mezzo.
Rafforzata nella sua determinazione, individuò un uomo calvo che stava pulendo un tavolo con uno strofinaccio unto. Le parve abbastanza innocuo, o almeno troppo vecchio per colpire rapidamente. Gli sorrise. E lui ricambiò con un sorriso completamente sdentato.
Con espressione incerta, si buttò: — Sto cercando il capitano Grayson.
— Ovvio. Tutte le belle donne lo cercano. — Fece un cenno con la pelata. — Gray è in fondo.
Sophia seguì l’indicazione, muovendosi in punta di piedi in mezzo alla calca e cercando di non toccare il suolo con l’orlo delle gonne. Le assi del pavimento erano addirittura appiccicose sotto i suoi stivaletti. In fondo al locale intravide un gruppetto di uomini e donne davanti al bar. Uno era più alto degli altri e con capelli castano ramato che parevano più puliti di quelli di coloro cui si accompagnava. Sul bancone era posato un cappello di feltro, un accessorio stranamente raffinato per quello squallido tugurio.
Quando si mosse per avere una vista migliore, una sedia di un tavolo vicino fu spostata e la colpì a un ginocchio. Lei barcollò, rischiando di cadere. L’orlo della mantella le finì sotto lo stivaletto e l’indumento si aprì sul davanti. Nel disperato tentativo di recuperare l’equilibrio, annaspò alla ricerca del muro...
E invece strinse le dita su una camicia di lino ruvido.
Il proprietario della camicia si girò verso di lei. — Ehi, pollastra — biascicò, l’alito fetido di marciume. Gli occhi acquosi per l’alcol le passarono su tutto il corpo e si fermarono sul rigonfio dei seni. — Sei un bel bocconcino. A vederti, ti avrei detta troppo costosa per me, ma se ti offri...
L’aveva forse presa per una puttana da bassifondi? Provò un senso di disgusto. Forse i vestiti con cui si era camuffata erano semplici, ma di sicuro non aveva un aspetto volgare.
— Non mi sto offrendo — disse con decisione e cercò di sgusciar via, ma lui, con un rapido movimento, la imprigionò contro il banco.
— Ferma qui, tesoruccio. Giusto una toccatina.
Le dita sudice s’infilarono nell’incavo fra i seni e Sophia sobbalzò. — Lasciatemi... bruto disgustoso!
Il bruto le lasciò un braccio per approfondire l’esplorazione e lei con la mano libera prese a colpirgli la testa. Inutilmente. Quelle dita si muovevano fra i seni come grossi vermi.
— Smettetela! — gridò, sferrandogli un pugno sull’orecchio, ma i suoi sforzi non facevano altro che divertire l’aggressore ubriaco.
— Questa qua va proprio bene — disse lui ridacchiando. — Mi piacciono le ragazze piene di fegato.
La disperazione la attanagliò. Non era solo la realtà offensiva delle mani di quello zotico sui seni che la gettava nel panico. Quando era andata via di casa aveva rinunciato alla reputazione. Il fatto era che quelle dita si facevano sempre più vicine all’unica cosa cui non poteva rinunciare. Se l’uomo l’avesse scoperta, Sophia dubitava che sarebbe riuscita a scappare da quella taverna avendo salva la vita, per non parlare della virtù.
L’aggressore girò la testa, piegandola per guardare meglio nell’abito. Il lurido orecchio era a pochi centimetri dalla bocca di Sophia. Se lo avesse morso, forse l’avrebbe indotto a lasciarla andare per la sorpresa. Aveva quasi deciso di farlo, quando aspirò un’altra boccata del suo fetido odore di sudore. Si bloccò. Se avesse dovuto scegliere fra mettere la bocca su quel ripugnante animale o morire, avrebbe preferito morire.
Ma non accadde nessuna delle due cose.
Il ripugnante animale emise un verso sorpreso perché due grandi mani lo afferrarono e lo scostarono. Di fatto, lo sollevarono come se non avesse peso, fino a che restò a dimenarsi nell’aria come un pesce appeso all’amo.
— Avanti, Bains — disse una pacata voce baritonale. — Sai che non si fa così.
Senza alcuna difficoltà, il suo soccorritore lo scaraventò via e quello atterrò a qualche passo di distanza, in un fragore di legno fracassato.
Sophia si lasciò andare contro il bancone con un sospiro di sollievo e guardò il salvatore. Era il gentiluomo alto e con i capelli ramati che aveva scorto poco prima. O, almeno, presumeva fosse un gentiluomo. L’accento tradiva una buona educazione e con il cappotto verde scuro, i pantaloni beige e gli stivali con le nappine sul bordo, aveva un aspetto alla moda. Però quando fletteva le braccia l’abbigliamento dal taglio raffinato delineava la notevole muscolatura sottostante.
E nel suo volto non c’era nulla di raffinato. Aveva lineamenti scavati e la pelle era abbronzata. Era impossibile fissare quella doratura dovuta alla vita all’aria aperta senza chiedersi se terminava sotto la cravatta, o in vita, o non terminava affatto.
Più scrutava quell’uomo e meno sapeva inquadrarlo. Aveva il portamento di un gentiluomo, il corpo di un bracciante e... la bocca grande e sensuale della canaglia.
— Quante volte devo dirtelo, Bains? Quello non è il modo di toccare una donna. — Le parole erano dirette allo zotico sul pavimento, ma lo sguardo furfantesco era fisso su di lei. Poi sorrise e il pigro incurvarsi delle labbra fece tendere una sottile cicatrice che andava dalla mascella alla bocca.
Oh, sì, quella bocca era davvero pericolosa.
In quel momento Sophia l’avrebbe potuta baciare.
— Il modo appropriato di toccare una donna — continuò lui, andandole accanto e appoggiandosi al banco con un gomito — è avvicinarsi da un lato, così. — Con un movimento perfettamente disinvolto si appoggiò con tutto il peso sul braccio che poi fece scivolare sul ripiano fino a quando le nocche arrivarono a un pelo dai seni di Sophia.
Proprio la bocca di una canaglia! La gratitudine di Sophia si trasformò subito in indignazione. L’uomo l’aveva liberata da quel bruto solo per poterla palpare lui stesso? Così sembrava. Aveva la mano così vicina al suo petto che poteva avvertirne il calore. Era tanto vicina da farle fremere la pelle, pregustare la ruvidezza del suo tocco. Desiderava che la toccasse, che ponesse fine alla tormentosa incertezza, e le desse una scusa per togliergli dalla faccia quel ghigno malizioso con uno schiaffo.
— Vedi? — disse lui, agitando le dita vicino al seno di Sophia. — In questo modo non la fai scappare spaventata.
Una risata sguaiata si levò dalla calca che si era formata.
Ritraendo la mano, la canaglia alzò la voce. — Non ho ragione, Megs?
Tutti gli occhi si spostarono su una rossa formosa che stava raccogliendo i boccali. Megs non distolse neppure lo sguardo da ciò che stava facendo quando gridò: — Nessuno sa toccare le signore come Gray.
Di nuovo nella taverna si levò una risata, questa volta più sonora. Persino Bains ridacchiò.
Gray. Sophia ebbe un tuffo al cuore. Che cosa aveva detto il tizio pelato quando gli aveva chiesto del capitano Grayson? Gray è in fondo.
— Un’ultima cosa da ricordare, Bains — continuò Gray. — Il meno che puoi fare è offrire una bibita alla signora. — Dopo che gli avventori furono tornati alle loro gozzoviglie, rivolse il sorriso arrogante a Sophia. — Allora, che cosa prendete?
Lei lo guardò sbattendo le palpebre.
Le stava capitando una colossale sfortuna. Quella montagna d’insolenza ben vestita che torreggiava su di lei era il capitano Grayson. Del brigantino Aphrodite. E il brigantino Aphrodite era l’unica nave che salpava per Tortola fino alla settimana successiva. Per lei la settimana successiva era come dire l’anno successivo. Aveva bisogno di partire per Tortola. Aveva bisogno di farlo subito. Pertanto aveva bisogno che quell’uomo o, piuttosto, che la nave di quell’uomo l’accettasse a bordo.
— Ebbene, nessuna manifestazione di gratitudine? — Lui lanciò un’occhiata a Bains che si stava faticosamente risollevando da terra. — Forse pensate che avrei dovuto massacrarlo. Avrei potuto, ma non mi piace la violenza. Finisce sempre col costarmi denaro. E, per quanto graziosa siate — le passò gli occhi addosso mentre faceva un cenno alla barista — prima di fare un simile sforzo penso che almeno dovrei conoscere il vostro nome, signorina...?
Sophia strinse i denti, sforzandosi di mettere in campo tutta la pazienza di cui disponeva. Aveva bisogno di partire, ricordò a se stessa. Aveva bisogno di quell’uomo. — Turner. Miss Jane Turner.
— Miss... Jane... Turner. — Pronunciò separatamente le parole, quasi le assaporasse. Sophia aveva sempre pensato che il suo secondo nome fosse l’insieme di sillabe più banale e piatto immaginabile. Ma pronunciato da quelle labbra persino “Jane” sembrava indecente.
— Bene, signorina Jane Turner, che cosa volete bere?
— Niente. Stavo cercando voi, capitano Grayson. Sono venuta a chiedere un passaggio sulla vostra nave.
— Sull’Aphrodite? Per Tortola? Perché diavolo volete andare laggiù?
— Sono un’istitutrice. Devo recarmi a occupare un posto di lavoro vicino a Road Town. — Le bugie le scivolarono con naturalezza dalle labbra. Come sempre.
La squadrò, dalla cuffietta agli stivaletti, facendole provare uno sgradevole fremito da capo a piedi. — Non assomigliate ad alcuna istitutrice che abbia mai visto. — Lo sguardo si soffermò sulle mani e Sophia le strinse immediatamente a pugno.
I guanti. Maledetta la sua vanità. Il vecchio vestito e la mantella della sua cameriera andavano bene per camuffarla... le loro pieghe scure e informi potevano occultare una moltitudine di peccati. Ma quel mattino, mentre si vestiva da sola per la prima volta in vita sua, le dita le tremavano per il nervosismo e per il freddo e allora le aveva placate con quell’unica concessione... il suo miglior paio di guanti di capretto, chiusi da bottoncini di madreperla nera e foderati di zibellino.
Non erano guanti da istitutrice.
Per un momento temette che l’uomo scoprisse la verità.
Sciocchezze, si rimproverò. Nessuno guardandola vedeva mai la verità. La gente vedeva ciò che voleva vedere... la figlia obbediente, la fanciulla innocente, la bella ragazza di mondo, la fidanzata che arrossiva. Questo capitano di un mercantile non era per nulla diverso. Avrebbe visto solo una passeggera e una possibilità di guadagno.
Da molto tempo aveva scoperto la chiave per ingannare. Era facile mentire una volta che si capiva che nessuno voleva davvero conoscere la verità.
— Sono belli, vero? Sono un regalo. — Con un ampio gesto estrasse e porse la sua lettera. La busta era malconci...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Mia piccola sirena (I Romanzi classic)
  3. Nota dell’Autrice
  4. 1
  5. 12
  6. 23
  7. Ringraziamenti
  8. Copyright