Il segreto del Bosco Vecchio
eBook - ePub

Il segreto del Bosco Vecchio

  1. 196 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il segreto del Bosco Vecchio

Informazioni su questo libro

Abitato da un popolo di "geni", custodi degli alberi, Bosco Vecchio è un mito, la foresta sacra dove affondano le loro radici l'infanzia dello scrittore e quella dell'umanità. Un "fantastico" di Buzzati da cui è stato tratto il film omonimo di Ermanno Olmi.

Domande frequenti

Sì, puoi annullare l'abbonamento in qualsiasi momento dalla sezione Abbonamento nelle impostazioni del tuo account sul sito web di Perlego. L'abbonamento rimarrà attivo fino alla fine del periodo di fatturazione in corso. Scopri come annullare l'abbonamento.
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Perlego offre due piani: Base e Completo
  • Base è ideale per studenti e professionisti che amano esplorare un’ampia varietà di argomenti. Accedi alla Biblioteca Base con oltre 800.000 titoli affidabili e best-seller in business, crescita personale e discipline umanistiche. Include tempo di lettura illimitato e voce Read Aloud standard.
  • Completo: Perfetto per studenti avanzati e ricercatori che necessitano di accesso completo e senza restrizioni. Sblocca oltre 1,4 milioni di libri in centinaia di argomenti, inclusi titoli accademici e specializzati. Il piano Completo include anche funzionalità avanzate come Premium Read Aloud e Research Assistant.
Entrambi i piani sono disponibili con cicli di fatturazione mensili, ogni 4 mesi o annuali.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì! Puoi usare l’app Perlego sia su dispositivi iOS che Android per leggere in qualsiasi momento, in qualsiasi luogo — anche offline. Perfetta per i tragitti o quando sei in movimento.
Nota che non possiamo supportare dispositivi con iOS 13 o Android 7 o versioni precedenti. Scopri di più sull’utilizzo dell’app.
Sì, puoi accedere a Il segreto del Bosco Vecchio di Dino Buzzati in formato PDF e/o ePub. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
Print ISBN
9788804480419
eBook ISBN
9788852027130

Il segreto del Bosco Vecchio

1

È noto che il colonnello Sebastiano Procolo venne a stabilirsi in Valle di Fondo nella primavera del 1925. Lo zio Antonio Morro, morendo, gli aveva lasciato parte di una grandissima tenuta boschiva a dieci chilometri dal paese.
L’altra parte, molto più grande, era stata assegnata al figlio di un fratello morto dell’ufficiale: a Benvenuto Procolo, un ragazzo di dodici anni, orfano anche di madre, che viveva in un collegio privato non lontano da Fondo.
Tutore di Benvenuto fino allora era stato il prozio Morro. La cura del ragazzo rimase in seguito affidata al colonnello.
A quell’epoca, e così rimase pressapoco fino all’ultimo, Sebastiano Procolo era un uomo alto e magro, con due vistosi baffi bianchi, di robustezza non comune, tanto che si racconta fosse capace di rompere una noce tra l’indice e il pollice della mano sinistra (il Procolo era mancino).
Quando egli diede le dimissioni dall’esercito, i soldati del suo reggimento trassero un sospirone, poiché difficilmente si poteva immaginare un comandante più rigido e meticoloso. L’ultima volta ch’egli varcò, uscendo, il portone della caserma, lo schieramento della guardia ebbe luogo con speciale celerità e precisione, come da alcuni anni non avveniva; il trombettiere, che pure era il migliore del reggimento, superò veramente se stesso con tre squilli di attenti che divennero proverbiali, per il loro splendore, in tutto il presidio. E il colonnello, con un leggero inarcamento delle labbra che poteva sembrare un sorriso,1 mostrò d’interpretare come un segno di commosso ossequio quella che in sostanza era una manifestazione di intimo giubilo per la sua partenza.
1 Un vero e proprio sorriso non fu mai visto sul volto del Procolo.

2

Il Morro, pacifico possidente, ritenuto l’uomo più ricco della vallata, non aveva sfruttato gran che le sue tenute. Aveva sì fatto abbattere molte piante ma solo in una ristretta zona dei suoi boschi. La foresta più bella, se pur minore, il cosidetto Bosco Vecchio, era stata completamente rispettata. Là c’erano gli abeti più antichi della zona, e forse del mondo. Da centinaia e centinaia d’anni non era stata tagliata neppure una pianta. Al colonnello era appunto toccato in eredità il Bosco Vecchio, con una casa già dimora del Morro e una lista di altro terreno boschivo che si potrebbe definire di contorno.
Il Morro, come del resto tutta la popolazione della valle, aveva per quella grandissima foresta una autentica venerazione e prima di morire aveva cercato, ma invano, di farla dichiarare monumento nazionale.
Un mese dopo la morte, in riconoscimento delle sue benemerenze forestali, le autorità di Fondo inaugurarono, nella radura del bosco, dove si trovava la casa del Morro, una statua dell’estinto, in legno scolpito e verniciato a vivi colori.
Tutti la trovarono veramente somigliante e magnifica. Ma quando, alla cerimonia inaugurale, un oratore disse: «... è quindi giusto che della sua opera resti un segno di ricordanza imperituro», molti dei presenti si toccarono con i gomiti, ridacchiando: sei mesi, sì e no, poteva durare una statua simile, e poi sarebbe marcita.

3

Fu Giovanni Aiuti, uomo di mezza età, già fattore del Morro, che andò a prendere il colonnello Procolo alla stazione, il giorno del suo arrivo, con un’automobile vecchio modello. La prima conversazione non fu delle più cordiali. (Spesso in seguito il buon Aiuti ebbe a rammaricarsi di essersi forse dimostrato in quell’occasione un po’ petulante.)
«Straordinario!» egli disse al colonnello subito dopo i saluti di presentazione. «Ma sa che lei assomiglia al povero Morro? Ha proprio il naso identico.»
«Ah così?» chiese il colonnello.
«Proprio molto simile» spiegò l’Aiuti «si direbbe quasi lo stesso, se non si sapesse...»
«Si usa scherzare in questo paese, mi sembra?» fece gelido il colonnello.
«Una vera e propria costumanza non c’è» rispose l’Aiuti imbarazzatissimo «ma si celia, ogni tanto... oh Dio! Bazzecole senza pretese.»
I due, in automobile, si diressero subito alla casa del Morro. La strada, nei primi due chilometri, correva tra i campi del fondo valle; poi saliva fra praterie nude; a circa quattro chilometri dalla casa cominciava a entrare nel bosco, un bosco rado con piante alte ma patite; a un chilometro dall’arrivo entrava in un pianoro, dove si apriva un’ampia radura. Di là si vedeva, e ancor oggi si vede benissimo, il celebre Bosco Vecchio, disteso tra due monti a panettone, salire fino in cima alla valle. Sul colle estremo spuntava un roccione giallo, alto forse un centinaio di metri, denominato il Corno del Vecchio; nudo e corroso dagli anni, aveva un’aria squallida, da non attirare simpatie.
In quel primo viaggio, così poi raccontò l’Aiuti, il colonnello trovò motivo d’irritarsi tre volte.
La prima fu a una ripidissima svolta della strada, poco sotto la radura, dove l’automobile si fermò, per mancanza di benzina. L’Aiuti riuscì a nascondere al Procolo, poco esperto di motori a scoppio, la vera causa per cui la macchina s’era fermata. Disse che gli succedeva sempre così, su quella salita, perché l’automobile era molto vecchia e non sopportava grandi sforzi.1 Il colonnello, senza protestare, non dissimulò tuttavia il proprio dispetto: «Il Morro» egli chiese «come faceva?».
«Il Morro» rispose l’Aiuti «aveva una cavalla e un carrozzino. La cavalla, caso stranissimo, è morta proprio il giorno dopo il padrone. Era una bestia molto affezionata.»
La seconda arrabbiatura del colonnello avvenne ai piedi di un grande larice tutto seccato. Mentre i due procedevano a piedi, si era udito scendere dall’alto un grido roco. Il Procolo, guardando in su, aveva visto, appollaiato su uno degli ultimi rami, un uccello nero, di notevoli dimensioni.
L’Aiuti spiegò che quella era la vecchia gazza guardiana che il povero Morro teneva in grande considerazione: stava giorno e notte sulla pianta e quando qualcuno passava per la strada, faceva il suo verso, per avvertire quelli che stavano nella casa. Il grido infatti si sentiva anche a grande distanza. L’abilità dell’uccello consisteva nel fatto che la voce d’allarme veniva emessa solo nel caso che qualcuno salisse alla casa; a quelli che scendevano a valle la bestia non dava peso. Perciò serviva egregiamente da sentinella.
Il Procolo dichiarò subito che quella faccenda non gli piaceva. Che affidamento poteva dare un uccello simile? Avrebbe dovuto mettere un uomo, lo zio, se voleva delle segnalazioni sicure. E poi quella bestia certamente dormiva; come poteva dunque svolgere la sorveglianza durante il sonno? L’Aiuti fece notare che la gazza di solito dormiva con un occhio aperto.
«Basta, basta...» disse allora il colonnello Procolo, troncando la discussione, e riprese a camminare, battendo il suo bastone a terra, senza dare neppure un’occhiata a quel bosco, che cominciava ad essere suo.
Per la terza volta il Procolo si irritò quando fu giunto alla casa. Era un edificio anziano, piuttosto complicato, che si poteva anche dire pittoresco.
L’attenzione del nuovo proprietario fu attratta prima di tutto da un segnavento di ferro sormontante un camino.
«Un’oca, mi sembra, vero?» domandò.
L’Aiuti ammise che il segnavento aveva proprio la forma di un’oca; l’aveva fatto fare il Morro, saranno stati tre anni.
Al proposito il colonnello aggiunse che, a suo parere, s’imponeva in quella casa qualche cambiamento.
Per fortuna venne un leggero soffio di vento, di quelli che non mancano quasi mai tra i boschi di una certa estensione, e il colonnello poté accorgersi che l’oca, girando, non produceva il minimo rumore. Questa constatazione parve rasserenarlo alquanto.
Intanto era uscito dalla casa Vettore, il servo dello zio Morro, sui sessant’anni, annunciando al colonnello che, servitor suo, il caffè era pronto.
1 Questa menzogna costrinse poi l’Aiuti, nei successivi viaggi fatti da solo, a fermare l’automobile su quella salita e a farsi gli ultimi due chilometri e mezzo a piedi. Senò si sarebbe smascherato.

4

Il mattino dopo, verso le 10,30, giunsero alla casa, debitamente preannunziati dalla gazza, cinque uomini. Erano i componenti della Commissione forestale, venuti per una ispezione.
Il capo spiegò al colonnello che la legge imponeva delle visite di controllo, per verificare che i proprietari non abusassero del taglio delle piante. Non era questo il caso del Morro che, pur avendo sfruttato al massimo il piccolo bosco circostante la radura (il quale per parecchi anni doveva ora essere risparmiato), aveva lasciato in ottime condizioni tutte le selve ora appartenenti a Benvenuto e non aveva mai toccato il famoso Bosco Vecchio, orgoglio della vallata. Ma le formalità erano formalità, e la visita doveva esser fatta.
Il colonnello si mostrò alquanto riservato, ma in fondo non gli spiacque di essere accompagnato subito a vedere il Bosco Vecchio, di cui aveva sentito tanto parlare.
Il Procolo e la Commissione si misero in cammino. Attraversata la zona di bosco ormai spopolata (il capo della Commissione fece le sue alte meraviglie che il Morro avesse fatto martellare le piante a spizzico, diradando la fustaia, così da esporla a tremenda rovina in caso di tempesta), i sei arrivarono ad una stecconata, dietro la quale cominciava una zona di foresta molto più fitta, con abeti di diverse qualità, venerandi ed altissimi.
Non si vedevano tracce di taglio. Proprio al limite giaceva disteso un grande albero probabilmente crollato per vecchiaia o per vento. Nessuno si era curato di portarlo via e tutti i rami si erano coperti di una muffa soffice e verde.
Si svolse una discussione.
Il colonnello chiese se almeno nel Bosco Vecchio egli potesse far eseguire dei tagli.
Il capo della Commissione rispose che divieti specifici non ce n’erano; naturalmente non si dovevano sorpassare certi limiti.
Intervenne allora uno dei quattro membri della Commissione, un certo Bernardi, uomo alto e robustissimo, di età indefinibile e di espressione cordiale:
«Divieti non ce ne sono» egli disse «ma faccio voto che lei, colonnello, non sia da meno del suo nobile zio Morro. Sono gli abeti più antichi che si conoscano. E son certo che lei non avrà intenzione...»
«Le mie intenzioni» interruppe il Procolo «non le conosco neppur io, ma non mi sembra che vi sia il motivo per tanta invadenza, scusatemi l’espressione...»
«Mi stia a sentire un attimo» fece l’altro «e non si scaldi. Una volta, ma molti secoli fa, questa terra era tutta pelata. Proprietario era il brigante Giacomo, detto Giaco, un uomo pieno d’iniziativa che aveva un suo piccolo esercito. Un giorno tornò senza nemmeno più un soldato, stanco morto e ferito. Allora pensò: bisogna stare più attenti, una volta o l’altra m’inseguono e io non ho un buco da nascondermi; bisogna che io pianti un bosco, dove mi possa riparare. Detto fatto, piantò questa foresta, ma siccome gli alberi crescevano adagio, gli toccò aspettare fino agli ottant’anni. Allora arruolò dei soldati e partì per una nuova impresa. Ne son passati da quel tempo degli anni, ce ne sarebbe da fare un museo, ma chi le dice, colonnello, che Giacomo non possa tornare? Le dirò di più: lo si aspetta da un momento all’altro, può darsi sia di ritorno proprio stasera. E, si può essere sicuri, non avrà più un soldo né un soldato. Sarà inseguito da centinaia di uomini, forse anche da donne, tutti armati di fucili e randelli. Lui avrà solo una piccola scimitarra e sarà affamato e stanco. Non avrà il diritto di trovare il suo bosco intatto, da potersi rintanare? Non è roba sua lo stesso?»
«Ogni pazienza ha un limite» scattò allora il colonnello. «Questo è parlare da forsennati.»
«Non mi pare di aver detto niente di assurdo» fece il Bernardi con voce più alta. «Toccare questo bosco sarebbe una cosa iniqua, ecco cosa le dico.»
Balbettò ancora qualche parola e poi si allontanò, inoltrandosi da solo nel Bosco Vecchio.
Il capo della Commissione, per giustificare il collega, osservò come quegli fosse un uomo strano, un po’ nervoso; ma conosceva i boschi come nessun altro; quando si trattava di guarire una pianta, era prezioso.
Il colonnello pareva ormai mal disposto, e si avviò da solo al ritorno. Nello stesso tempo dall’interno del Bosco Vecchio giunse una voce: «Colonnello, colonnello, venga un momento a vedere!».
«Chi è che chiama in questi modi?» chiese il Procolo al capo della Commissione.
«Non capisco» fece l’altro malamente sorpreso «assolutamente non capisco.»
«Certe confidenze» concluse il colonnello che aveva ben riconosciuto la voce del Bernardi «certe confidenze non le sopporto volentieri, diteglielo pure, se credete.»
E si diresse verso casa a passo velocissimo, mentre si affievoliva nel cuore della foresta il grido: «Colonnello! Colonnello!».

5

Il seguente fatto avvenne non si sa bene se all’indomani o due giorni dopo la visita della Commissione forestale.
Il Procolo dopo cena passeggiava per la spianata davanti alla casa.
Il crepuscolo stava per finire quando si udì il segnale della gazza.
Il colonnello chiese a Vettore chi potesse arrivare a quell’ora. Vettore rispose che non sapeva proprio.
Dopo venti minuti non era ancor giunto nessuno. Fu allora che la gazza gridò per la seconda volta.
«Una volta può sbagliare ma due volte non è mai accaduto» notò Vettore.
Il colonnello, camminando su e giù per il prato, aspettò tre quarti d’ora, senza che comparisse alcuno. Finalmente decise di andare a letto e incaricò Vettore di fare la guardia.
Erano le 21,30 quando egli spense la luce e si rivoltò con la pancia in giù per addormentarsi. Proprio in quel momento giunse per la terza volta il richiamo della gazza. Ma non venne nessuno.
La voce si udì ancora alle 22,30, alle 23,10, alle 24 in punto, all’1,40, alle 2,55, e alle 3,43. Il colonnello ogni volta cominciava un’attesa nervosa, ricacciando indietro il sonno. Ogni volta accendeva la luce, guardava l’orologio d’oro.
Alle 3,49, quando per la decima volta giun...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Il segreto del Bosco Vecchio
  3. Introduzione - di Claudio Toscano
  4. Cronologia - a cura di Giulio Carnazzi
  5. Bibliografia - a cura di Lorenzo Viganò
  6. Il segreto del Bosco Vecchio
  7. Copyright