
- 78 pagine
- Italian
- ePUB (disponibile sull'app)
- Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub
Nashira. Nascita di un ribelle (XS Mondadori)
Informazioni su questo libro
Eshar ha sempre avuto un padrone. È il suo destino: i Femtiti sono nati per servire i Talariti, la razza superiore, ed è questa legge immutabile che domina la vita su Nashira. Fino al giorno in cui una terribile alluvione non costringe Eshar su una strada, tra i disperati posti all'ultimo livello della scala sociale: gli schiavi senza padrone. È proprio dal fango che la sua vita inizierà davvero: il sodalizio con Almodio, un ladro che lo tratterà come un amico, e l'incontro con la bella Lajke gli insegneranno che nessun destino è scritto.
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Informazioni
eBook ISBN
97888520297381
Un giorno di pioggia
«Sacchi! Servono altri sacchi!» urlò Molteno.
La pioggia scrosciava incessante e quasi si mangiava le sue parole. Pioveva da quattro giorni, ininterrottamente. All’inizio era sembrata una benedizione, perché la siccità quell’anno non aveva dato tregua. Poi però il fiume aveva iniziato a ingrossarsi e i campi ad allagarsi: tutto il raccolto rischiava di andare perduto.
Gli schiavi avevano formato una lunga catena umana, che dalla casa si snodava fino all’argine del fiume. Eshar si volse attendendo che il suo vicino gli passasse un sacco, ma quello si limitò a guardarlo con aria sperduta e le mani vuote.
«Padrone, non ce ne sono più!» urlò Klath, il più anziano, che chiudeva la catena. Davanti a lui, la barriera improvvisata che avevano eretto con i sacchi pieni di terra iniziava già a mostrare segni di cedimento; l’acqua era quasi arrivata al bordo e fluiva tra sacco e sacco in ampi spruzzi scuri.
Molteno scattò in avanti, il Bastone stretto tra le mani, e colpì Klath con tutta la sua forza. Lo schiavo si piegò in due urlando per la sofferenza provocata dalla Pietra dell’Aria, incastonata in cima al Bastone, ma Molteno non si fermò. Continuò a infierire fino a quando il vecchio non giacque al suolo, inerte. Poi si voltò verso gli altri schiavi.
«Toglietevi le tuniche, legatele e riempitele di terra, avanti!» gridò.
Eshar guardò il suo vicino, esitando. Tremavano sotto le sferzate incessanti della pioggia, e il rombo del fiume in piena sembrava il ruggito di un animale infuriato. A cosa potevano servire le loro misere tuniche?
«Muovetevi!» gridò ancora Molteno bastonando il primo schiavo che gli capitò sotto mano. I Femtiti non provavano dolore se non attraverso il Bastone: la magia della Pietra dell’Aria era in grado di generare in loro ondate di paura incontenibile, la sensazione dell’anima strappata a forza dal corpo. E così Eshar e gli altri si affrettarono a obbedire.
Eshar era sconvolto. Non aveva mai visto una piena del genere in tutta la sua vita. Certo, da qualche anno nel Regno della Primavera pioveva spesso, ma quello che si stava consumando davanti ai suoi occhi era un flagello, una vera sciagura. Nei campi, quanto restava del raccolto galleggiava in grosse pozze di acqua e fango. Mentre si toglieva la tunica, un boato fece tremare il suolo e la pila di sacchi crollò, investita dalla furia dell’acqua. I primi schiavi della catena vennero travolti. Eshar li vide scomparire nella spuma prima che l’acqua raggiungesse anche lui. Cadde e venne trascinato via dalla corrente. Stava per annegare, pensò. Il suo corpo sarebbe diventato come quello di un giovane schiavo che era caduto qualche tempo prima in quello stesso fiume: un otre bianco, gonfio e sfigurato.
Poi urtò qualcosa di duro nel flusso della corrente e vi si aggrappò con tutto se stesso, gli occhi serrati da una paura più potente dell’acqua che cercava di trascinarlo via. Quando trovò il coraggio di riaprirli, capì che aveva afferrato un pezzo della staccionata che delimitava il confine tra i campi e la fattoria. Da bambino si divertiva a saltarla, ritagliandosi piccole occasioni di gioco nella sua dura vita di schiavo. Il famiglio si arrabbiava sempre quando lo sorprendeva.
«Potresti romperti la testa!» gli diceva. «E se muori, il padrone perde dei soldi, chiaro?»
Eshar non avrebbe mai pensato che, un giorno, quella staccionata la vita gliel’avrebbe salvata. Riuscì a risalirla fino a un basso muretto che resisteva ancora all’impeto dell’acqua. Si lasciò cadere dall’altro lato sul terreno fradicio, il cuore in gola. Non poteva credere di avercela fatta.
Si guardò attorno. Tre dei suoi compagni si erano salvati ed erano in piedi, non molto distante da lui.
Sullo sfondo inquadrò anche il padrone. Chissà come, aveva raggiunto la casa e ora se ne stava sull’uscio lambito dall’acqua, assieme a sua moglie e ai suoi tre figli. Uno dei bambini gli pendeva dal collo, mentre gli altri due si stringevano alla madre. La donna aveva sulla schiena un grosso fagotto bianco che lentamente ingrigiva sotto la pioggia, e caricava alcune masserizie su una carrozza trainata da due draghi di terra. Se ne stavano andando! I padroni stavano fuggendo, incuranti di quanto sarebbe accaduto alla fattoria e agli schiavi.
Eshar aveva sempre rispettato il suo padrone. Il padrone era un Talarita, apparteneva alla razza superiore, ed era in diritto di disporre come meglio credeva delle vite dei Femtiti. Fin da piccolo gli avevano insegnato che senza padrone uno schiavo non poteva esistere, che da lui dipendevano vita e morte. E adesso, senza di lui che cosa poteva fare?
«Padroni!» gridò Eshar correndo verso di loro.
Molteno lo vide, ma distolse immediatamente lo sguardo. Fece un cenno alla moglie perché si sbrigasse a salire a bordo.
«Padroni. Non lasciateci qui!»
Il Talarita mise davanti a sé il Bastone, ed Eshar fu costretto a fermarsi. «Non c’è posto per te» sibilò.
«Ma se ve ne andate, cosa ne sarà della casa?» chiese Eshar.
«È perduta» rispose Molteno. «Ma che io sia maledetto se mi faccio portare via anche la mia famiglia.»
Salì a bordo, ma Eshar lo afferrò per un braccio per impedirgli di chiudere lo sportello. Rabbrividì quando si accorse di quello che aveva fatto: toccare il padrone era proibito. «Padrone, nella casa ci sono ancora decine di donne e bambini, e solo voi avete la chiave…» insistette.
Molteno si divincolò: «Cosa vuoi che mi interessi? Tanto non avrò più una terra in cui possano lavorare, morirebbero comunque! E ora non farmi perdere altro tempo!»
Diede un ultimo strattone gettando Eshar a terra, quindi chiuse di colpo lo sportello della carrozza e diede ordine al conducente di sbrigarsi. Quello schioccò le redini e i draghi partirono di gran carriera.
Eshar rimase nel fango. Quello che stava accadendo era terrificante e incomprensibile. Il padrone se n’era andato e li aveva abbandonati, condannandoli a morte certa.
«No, dannazione, no!» urlò. Stava per lasciarsi andare alla disperazione, quando ricordò che il famiglio aveva una copia delle chiavi. Forse potevano farcela! Si tirò su di scatto e corse verso il fiume, sperando di trovarlo. Salì in piedi sul muretto. Davanti a lui, la distesa mugghiante del fiume in piena trascinava di tutto: rami, sacchi, abiti, frammenti della staccionata.
E corpi.
Sfilavano rapidi sotto i suoi occhi, emergendo e inabissandosi trascinati dalla corrente. Mentre cercava di capire se il famiglio fosse tra loro, Eshar si accorse che l’acqua aveva tracimato e ora scorreva verso la casa come una cascata. Con orrore vide alcune mani sporgersi dalla piccola finestra rasoterra, l’unica che rischiarava la stanza, posta nel seminterrato, in cui dormivano gli schiavi. L’acqua vi ruscellava dentro impetuosa. Eshar realizzò che non c’era più tempo per cercare la chiave e corse verso l’ingresso dello stanzone. Si trovava ai piedi di una piccola scala già semisommersa.
Affondando nell’acqua fino alla cintola, cercò inutilmente di forzare la maniglia. Poi provò a prendere a spallate la porta. Ma era troppo solida, e la corrente rallentava i suoi movimenti. Ogni volta che si avvicinava al legno, udiva le grida...
Indice dei contenuti
- Copertina
- Frontespizio
- I Regni di Nashira. Nascita di un ribelle
- Prologo
- 1. Un giorno di pioggia
- 2. Un nuovo padrone
- 3. Almodio
- 4. Qualcosa di più
- 5. Ritash
- 6. Il colpo
- 7. Il prezzo della libertÃ
- 8. LibertÃ
- Epilogo
- Copyright