Piacevole sbaglio (I Romanzi Classic)
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Piacevole sbaglio (I Romanzi Classic)

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Piacevole sbaglio (I Romanzi Classic)

Informazioni su questo libro

Come deve comportarsi una rispettabile giovane donna rapita per errore dal nobiluomo che sta per sposare sua cugina? Può cogliere l'occasione al volo! Tanto più che Julia Frant è da anni segretamente innamorata dell'affascinante Alec MacLean, visconte di Hunterston. Accortosi dello sbaglio, Alec non ha possibilità di rimediare: deve sposarsi entro la mezzanotte o perderà l'eredità del nonno. Tuttavia accoglie di buon grado lo scambio della sposa scoprendo che, a differenza della sua gelida e calcolatrice fidanzata, Julia è piena di passione e di bontà. Senza contare che, quando la prende tra le braccia per baciarla, improvvisamente l¿eredità diventa l'ultimo dei suoi pensieri...

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852029363
Karen
Hawkins

Image

PIACEVOLE
SBAGLIO

Traduzione di Milena Fiumali
Mondadori

1
Hampstead Heath, Inghilterra
Maggio 1812
Era una notte terribile per una fuga d’amore. Dopo tre avvilenti ore di pioggia incessante, aveva finalmente smesso. Una cortina di nebbia, illuminata a tratti dal chiarore lunare, si stava alzando lungo i margini dello stretto viale.
Alec MacLean, quinto visconte di Hunterston, tirò le redini fermando la carrozza nel cortile della locanda Black Anvil. Il suo cocchiere, Johnston, abbandonò il riparo del cornicione gocciolante della locanda e gli si avvicinò.
— Un po’ in ritardo, eh, milord?
— Pare che lady Therese non abbia la nozione del tempo — rispose Alec alzando le spalle.
— Una donna che non ha fretta di giungere all’altare non si fermerà davanti a nulla pur di farvi perdere la pazienza — profetizzò il vecchio, scuro in volto.
Alec lo ignorò e scese dal sedile a cassetta. Johnston era una specie di bene mobile di famiglia, con il tipico temperamento imbronciato dei gallesi. Anche se di solito Alec ribatteva ai suoi commenti, questa volta temeva che avesse ragione.
Lo sportello della carrozza scricchiolò. La passeggera tentava di aprire dall’interno e Johnston scosse il capo.
— La porta si è bloccata di nuovo.
— Mi spiace, ma non possiamo indugiare. — Alec consultò l’orologio. Erano appena le dieci.
Il rumore proveniente dalla carrozza aumentò e divenne un insopportabile susseguirsi di colpi che durò parecchio.
— Sua Signoria sembra molto nervosa. Credete che abbia cambiato idea sul fatto di sposarvi?
— Con il mucchio di denaro che sto per ereditare? Improbabile.
Viziata e vanitosa, Therese voleva soldi, potere e posizione. Il pensiero gli faceva ribrezzo. Aveva evitato l’alta società per tutta la vita, detestando la sua ipocrisia e le insulse buone maniere, e alla fine stava per trascinare all’altare la più capricciosa bellezza della stagione mondana.
Poiché i rumori dalla carrozza aumentavano, sospirò e ripose l’orologio nella tasca del panciotto.
— Penso che possiamo ancora attendere due minuti, ma non di più. Intanto puoi cambiare i cavalli.
Il vecchio scosse il capo. — Non avreste dovuto aspettare tanto per sposarvi. Avete sfidato troppo la fortuna, se volete il mio parere.
— È stato mio nonno a volerlo, non io — rispose seccamente Alec togliendosi i guanti.
— Non potevate fare molto, dopo che lui se l’era messo in testa. — Johnston guardò la carrozza. — Ma credo che adesso abbiate un bell’osso duro da rosicchiare.
— Riuscirò a domare Therese Frant, non temere.
L’uomo emise un lieve sbuffo, poco convinto. — Vi ordino un bel punch, che berrete mentre cambio i cavalli. Ne avete bisogno.
Alec annuì e si voltò verso la carrozza. Meglio risolvere la cosa in fretta. Per fortuna sapeva esattamente come destreggiarsi con la futura sposa.
Therese Frant, lungi dall’essere timida e ingenua come si presentava in società, da quando aveva scoperto la consistenza della sua eredità aveva attirato più volte Alec nell’isolamento di un’alcova e gli si era incollata addosso.
L’indulgente madre non aveva fatto nulla per sedare i bollenti spiriti della ragazza e l’aveva affidata a una nipote, Julia Frant, persona dall’aspetto scialbo e severo, che aveva preso l’incarico tanto seriamente da essere stata soprannominata “il Drago Frant”. La poveretta, da dietro le spesse lenti da miope, faceva il possibile per evitare alla cugina di perdersi.
Peccato. Perché se Therese fosse stata coinvolta in qualche scandalo, lui avrebbe potuto convincere gli esecutori testamentari del nonno a ridiscutere le sue volontà. Ma nell’attuale situazione era obbligato a sposarla.
Con uno strattone aprì la portiera, afferrò il polso della ragazza, la trascinò giù dalla carrozza e la strinse tra le braccia. Era troppo buio per distinguere l’espressione dei suoi occhi blu sotto l’ampia ala del cappello, ma poteva ben immaginarla. E per zittire le sue rimostranze prima che cominciassero, le scostò il cappellino e le coprì la bocca con la propria. Con sua grande sorpresa, si sentì percorso da un fremito di eccitazione.
Therese doveva aver sentito qualcosa di diverso, perché era rimasta rigida come un soldato pronto a sparare. Di solito mugolava di piacere e gli si stringeva contro come una patella allo scoglio. Alec pensò che fosse nervosa per le nozze.
— Baciami — mormorò e, sfiorandole la guancia setosa, percepì una nuova fragranza che, mischiandosi all’odore dell’aria dopo la pioggia, gli risvegliò i sensi. Pensò che dopotutto il matrimonio poteva dargli qualche gratificazione. — Hai un profumo delizioso. Baciami, dolcissima Therese.
Lei gli sferrò un calcio.
— Oh! — gemette Alec. Si abbassò per massaggiarsi la caviglia e inorridì.
Uno dei pregi di cui si vantava la sua promessa sposa era di avere piedi molto piccoli. Ma i piedi che lui aveva davanti in quel momento non erano affatto piccoli. Chiusi in grossi stivaletti neri, gli ricordavano quelli della sua vecchia governante.
La deduzione lo colpì come una palla di cannone.
Quella non era Therese.
Aveva rapito la donna sbagliata.
Si rialzò di scatto. — E voi chi diavolo siete? — domandò.
— Potrei farvi la stessa domanda — ribatté l’interrogata con alterigia.
Alec prese la donna per un braccio e la trascinò verso le luci della locanda.
Se esisteva una persona diversa da lady Therese Frant era proprio colei che gli stava davanti. Invece dei capelli biondi dalla foggia elaborata, l’impostora aveva una chioma castano dorato. Ciò che restava di una pettinatura severa le ricadeva in boccoli spettinati attorno al viso angoloso. La sua figura esile e asciutta era l’esatto opposto di quella morbida e voluttuosa di Therese. I soli elementi notevoli del suo viso erano la bocca, larga e carnosa, e i grandi occhi grigi dalle ciglia lunghe.
— Ho dovuto togliermi gli occhiali per i sobbalzi della carrozza — disse lei con un accento che urtò i nervi già a fior di pelle di Alec.
— Siete una dannata coloniale.
— Non sono coloniale, sono americana.
C’era qualcosa di fastidiosamente familiare in quell’espressione accigliata. Alec l’immaginò con gli occhiali, le trecce attorno al capo, e trasalì.
— Dannazione, voi siete il Drago Frant!
Un deciso rossore si diffuse sulle guance di lei.
Furente, Alec la aggredì. — È stata Therese a escogitare tutto questo?
La ragazza socchiuse gli occhi per vederlo meglio. — Escogitare che cosa? Siete ubriaco o pazzo?
— Né ubriaco né pazzo — rispose lui seccatissimo, guardandola di traverso.
— Dovete esserlo, a meno che non siate solito rapire le donne per poi insultarle nelle stazioni di posta.
Sgomenta, Julia Frant capì perché certi aristocratici avessero soprannominato il visconte “Diabolico Hunterston”. Quando andava in collera, la sua bella faccia poteva in un attimo trasformarsi tanto da far paura, e i suoi occhi grigi scintillavano come argento liquido.
— Avete mandato all’aria una fuga d’amore, non un rapimento. In quella carrozza doveva esserci Therese — sentenziò Alec in tono glaciale.
Julia frenò un moto di disappunto. Certo che doveva esserci Therese. Nessuno avrebbe mai pensato di rapire e baciare l’insignificante Julia Frant.
— Dov’è Therese? — chiese lui con voce strozzata.
— Al concerto. Con lady Satterley.
— Dannata, piccola gatta selvatica!
— Forse ha dimenticato...
— Impossibile. Quando la trovo... — sibilò il visconte stringendo i pugni.
Per un attimo, Julia ebbe pietà di lui. Senza dubbio il suo orgoglio e il suo cuore erano stati feriti in modo grave. La cugina godeva nel far soffrire gli uomini e in quel momento, al concerto, di certo stava ridendo dietro il ventaglio.
Guardò Alec di sottecchi e trattenne un sospiro. Therese era proprio pazza. Il visconte Hunterston era più che attraente. Aveva un viso che non si dimentica, forte e aristocratico, con un’arrogante linea di sopracciglia che gli conferiva un’espressione saturnina.
Conosciuto come una canaglia e un libertino, raramente seguiva le regole della buona società. S’intratteneva liberamente con personaggi del demi-monde, frequentava bische, beveva troppo e si abbandonava a una varietà di peccaminosi passatempi.
Julia tossicchiò domandandosi come alleggerire la tensione del momento. Dopo una lunga pausa, si decise. — Gran bella serata, vero?
Lui la guardò accigliato. — Certo. È piovuto senza interruzione per le ultime tre ore, le strade sono impraticabili, e io ho appena perduto la più grande fortuna che sia stata mai trasmessa per testamento sul suolo inglese. A parte questo, credo che la serata sia bella.
— Forse dovrei ricordarvi che è stata una serata difficile anche per me. Sono stata rapita, sballottata in una vecchia carrozza, trattata rudemente e insultata. È abbastanza per far venire le palpitazioni a chiunque.
Dopo una pausa, un riluttante sorriso comparve agli angoli della bocca del visconte. Il cuore di Julia ebbe un lieve sussulto.
— Perdonatemi. Mi sono comportato in modo abominevole. Forse sarà meglio continuare la conversazione all’interno della locanda.
— In verità, dovrei...
Sulla soglia, l’oste li accolse con la cordialità tipica del suo mestiere. — Il vostro uomo aveva annunciato l’arrivo di Vostra Signoria — disse. Il visconte guidò Julia nel locale vicino all’ingresso. L’uomo li seguì con il suo odore di aglio e la faccia rossa di eccitazione. — Tom Bramble al vostro servizio. Ho preparato un punch al rum, e le Vostre Signorie possono riposarsi davanti al fuoco. Vogliono cenare? Abbiamo coscia di agnello, galantina d’oca, lingua di manzo....
— La galantina d’oca è il piatto favorito di Sua Signoria — tagliò corto il visconte. — Non ha parlato d’altro per tutto il viaggio.
Julia fece per protestare, ma lui la interruppe con un’occhiata così torva che lei si affrettò a confermare: — Oh, sì. Adoro la galantina d’oca.
Alec tenne la porta aperta invitando con un gesto Bramble ad andarsene. — Informateci quando la cena è pronta — disse, e chiuse la porta alle sue spalle.
Julia lo fissò: — Perché gli avete detto che amo la galantina d’oca? Io la odio.
Il visconte si avvicinò al tavolo e si versò un bicchiere di punch dalla boule fumante. — Perché altrimenti ci avrebbe annoiato tutta la sera con una lunga lista di cibi indigesti.
— Certo, certo — convenne Julia per evitare discussioni, anche se aveva l’acquolina in bocca al pensiero di una coscia d’agnello con una spruzzata di menta. Non aveva avuto il tempo di mangiare perché era in ritardo all’appuntamento con la sua associazione e appena uscita era stata trascinata sulla carrozza del visconte. — Devo tornare a Londra al più presto.
— Si saranno già accorti della vostra assenza?
L’Associazione per l’aiuto alle donne in difficoltà avrebbe sentito subito la sua mancanza. Julia era appena stata nominata responsabile del Comitato dei Fondi, posizione per la quale si era data molto da fare. Ma il visconte non lo sapeva, naturalmente.
— Certo, e mi cercheranno di sicuro — rispose.
L’ombra di un sorriso gli addolcì il viso. — Chiedo scusa, Miss... ehm... Frant.
Julia prese gli occhiali dalla borsetta e li indossò con un gesto deciso. Non si meravigliò che lui non ricordasse il suo nome: lo rammentavano in pochi. — Potete chiamarmi Julia.
Il visconte nascose la sorpresa con un sorriso malandrino che le indebolì le ginocchia. — Dimenticavo che siete americana. Permettet...

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