Acque mortali (Segretissimo)
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Acque mortali (Segretissimo)

  1. 294 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
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Acque mortali (Segretissimo)

Informazioni su questo libro

I lampeggianti nella nebbia, le sirene, i teli stesi sui cadaveri e il sangue sull'asfalto. Certe scene il luogotenente Dario Costa, investigatore dei Servizi di sicurezza italiani, pensava di non rivederle mai più dopo gli anni di piombo. Dentro la macchina con i vetri infranti, un ammiraglio e il suo autista sono stati freddati da due killer, mentre un alto ufficiale americano è in fin di vita. Un assalto vecchio stile, ma il terrorismo politico non c¿entra: dai rilievi su uno dei proiettili sparati emerge che sull¿agguato c'è la firma di Misha, ex Armata Rossa, ora libero professionista specializzato in omicidi su commissione. Una pista che porterà Dario Costa lontano dall¿Italia, tra il Corno d'Africa e la penisola arabica, nelle acque infestate dai pirati che battono le coste somale, a indagare su una serie di attentati e sabotaggi ai danni di navi mercantili. Perché quella spietata esecuzione avvenuta in una gelida notte milanese è soltanto una tessera nel mosaico di un intrigo internazionale.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
eBook ISBN
9788852029318
SECONDO SIGNORONI

ACQUE
MORTALI

Mondadori

PERSONAGGI PRINCIPALI

LUOGOTENENTE DARIO COSTA
investigatore
DOTTOR ALESSI
funzionario dell’AISE
REGALI
ufficiale del RIS della Marina
GUALTIERO RAVERA
autista presso l’Ufficio tecnico della Marina
CLAUDINE LORRAINE
esperta di fotografia subacquea
DOTTOR ALBERT MONROUX
residente della Ocean Shipment in Medio Oriente
SYLVIA VAN DER POEL
ornitologa
SULEYMAN AL-MASRI
pirata delle coste somale
RASHID AL-SHAMMAR
amir saudita
KADIMA
BAHADUR
proprietari della Salome’s Inn
PYOTR MAXIM OLENETSKY (MISHA)
killer professionista

1
È crudele e deludente rivivere momenti della propria giovinezza quando, al termine d’una carriera più o meno onorata, si crede di aver tentato ogni soluzione per rendere un po’ migliore la realtà. I lampeggianti che ruotavano nella nebbia e l’urlo delle sirene, i fari delle autoradio che rendevano fosforescenti i teli distesi sopra i corpi, i rivoli di sangue che scivolavano densi sull’asfalto bagnato appartenevano a un mondo che m’ero illuso fosse finito per sempre. Erano sepolti i tempi in cui, alle otto del mattino, qualcuno finiva a terra con le ginocchia spappolate dalle calibro 9 o l’equipaggio d’una volante cadeva nella trappola d’una chiamata fasulla e si faceva crivellare dalle Skorpio. In tanti ci eravamo impegnati ad abbassare la saracinesca su quella stagione d’inutile ferocia e di studiata follia e di primo acchito non comprendevo la ragione della Lancia Thema con i vetri infranti in mezzo alle tute bianche dei tecnici dell’ERT, delle portiere sforacchiate, della scarpa che sbucava dal finestrino all’altezza del volante, della sagoma informe che si intravedeva sui sedili posteriori, sotto il lenzuolo bianco. E un altro corpo era disteso davanti all’entrata dell’hotel Alhambra, sotto la luce impietosa dei due globi smerigliati, di traverso alla passatoia di velluto che le impronte avevano reso color del fango. Autoradio e furgoni della polizia erano allineati lungo i marciapiedi fin quasi in piazza Duomo, dove la caligine che grondava umidità virava a una tinta sulfurea. Il traffico era stato dirottato, ma i pedoni si sarebbero fatti schiacciare pur di restare a guardare quel che accadeva alla luce dei fari. Notai parecchie divise dell’Arma tra i funzionari in borghese che cercavano di dare un senso a quant’era successo meno di venti minuti prima, quando la via s’era riempita di schiocchi sordi e di spari, di grida e del fragore urlato d’una moto che s’era smaterializzata nella bruma.
Già, un assalto fuori dal tempo, un attentato come non ne accadevano da decenni, da quando mi toccava redigere i verbali di sopralluogo e fare il giro dei baristi, dei fruttivendoli e dei fornai per scoprire se qualcuno aveva visto qualcosa. Era raro che il rapporto superasse le tre cartelle. Ora anche via Torino era cambiata, le botteghe avevano lasciato il posto all’alta moda e alle gioiellerie, gli esotici happy hour avevano sostituito i fumosi caffè dove si andava a giocare la schedina, gli high tech avevano soppiantato le cartolerie e le latterie, ma avrei scommesso che i rapporti sarebbero rimasti della medesima lunghezza. Me lo confermavano le commesse che scuotevano la testa, i danarosi clienti che scrollavano le spalle, i poliziotti che alzavano la voce per chiamare chi preferiva scantonare.
Mostrai la tessera a un agente che vigilava l’unico accesso transitabile e che era incaricato di redigere il verbale di servizio, ma dubitai che comprendesse.
AISE? — balbettò infatti. — Ma che…
— Servizi di sicurezza. Non mi segnare fra i presenti. È già arrivato il dottor Ottaviani?
— C’è la DIGOS al completo; non mi sono mosso, ma ho sentito che hanno sparato a un ammiraglio. E poi sono arrivati anche gli alti gradi dei carabinieri e della finanza. Mi sa che si faranno le ore piccole prima che ci permettano di tornare in questura per mangiare qualcosa.
Batté i piedi per alleviare i geloni di Sant’Ambrogio e mi fece cenno di passare.
Eh sì, c’erano davvero tutti gli onnipotenti dell’ordine pubblico, raggruppati in capannelli di tre o quattro, con i baveri dei cappotti rialzati o le mani guantate che battevano lungo i fianchi, molti impegnati al cellulare, quasi tutti alle prese con l’andirivieni di ispettori e sottufficiali che facevano la spola fra la macchina sforacchiata, i marciapiedi e i testimoni. E intanto le falene dell’ERT continuavano la loro danza macabra attorno ai corpi, alle macchie di sangue, ai vetri infranti e a quella che, nella penombra, mi sembrò un’arma abbandonata a terra.
Appena mi vide superare la pletora di alti papaveri, il vicequestore Ottaviani, il giaccone di renna abbottonato fino al mento e i paraorecchie del colbacco resi inutili dall’uso simultaneo d’un paio di cellulari, mi fece cenno di raggiungerlo nell’androne dell’albergo. Dopo avermi squadrato peggio d’uno scarafaggio, quasi tutti mi salutarono più o meno cordialmente, perché già immaginavano in cosa si sarebbe tramutata l’indagine quando venivano chiamati in causa gli spioni dell’AISE. Il rischio di fare ombra a qualche augusto personaggio diventava reale, come l’incubo di dover rendere conto del minimo errore. Ottaviani mi salutò con un cenno e ripose in tasca il Samsung ultimo modello, giusto in tempo perché dall’altra parte squillasse la suoneria ispirata a Mission Impossible. La conversazione si esaurì in un paio di ordini precisi, poi il responsabile della DIGOS indicò il fagotto bianco immobile sulla passatoia. Una mano diafana sporgeva dal lenzuolo, vicino a un mezzo guanto di pelle che lasciava scoperte le ultime falangi.
— Gliel’hanno sfilato quelli della Scientifica, quando si sono accorti che aveva i polpastrelli bruciati con l’acido. Forse ha lasciato l’impronta palmare da qualche parte e al laboratorio dattiloscopico hanno già cominciato a far scorrere le schede dell’AFIS. Magari sono fortunati.
— Un’idea di come sia andata? Testimoni validi?
— Stiamo raccogliendo le deposizioni, ma chi ha effettivamente assistito alla sparatoria se l’è filata per non essere coinvolto. Tranne un eroe, che però ci ha fornito una descrizione fisica che non vale un accidente. Lei non ha nessuna novità, vero?
— Talvolta, smaltita l’emozione e la paura, qualcuno si faceva vivo il giorno dopo. Mai disperare! E poi adesso ci sono decine di telecamere piazzate qui attorno.
— Si è svolto tutto in pochi attimi: un lavoro da professionisti. Solo che con le vittime c’è rimasto anche uno degli assassini. L’autista della Lancia Thema ha reagito e ha sparato da meno di quattro metri a questo bellimbusto, che aveva crivellato la macchina con il “bullpup” che vede lì a terra. Mai visto un mitragliatore del genere: è lungo meno di 70 centimetri e ha sputato una valanga di piombo. Questa roba da fantascienza stava tranquillamente in una sacca da ginnastica, o nascosta sotto l’impermeabile.
— M’hanno riferito del coinvolgimento di un possibile alto ufficiale straniero, forse un americano — dissi.
— Glielo confermo. Si tratta del capitano di vascello Christian Gurney, primo segretario dell’addetto navale presso l’ambasciata. È ancora vivo, ma è gravissimo; è appena giunto al Besta con devastanti lesioni al torace, alla testa e al volto. Tenteranno un intervento chirurgico in extremis ma le sue condizioni, secondo il medico dell’ambulanza, lasciano poche speranze. Aveva persino seri dubbi che arrivasse in vita al pronto soccorso.
— Però c’è arrivato! — esclamai. — Un agente mi ha parlato anche d’un ammiraglio.
— Paolo Berardi, responsabile dell’Ufficio tecnico della Marina militare qui a Milano. Un incarico di tutto riposo per un ufficiale superiore delle Armi navali prossimo alla pensione. Se ne sarebbe andato fra meno di sette mesi.
— Forse l’ho incontrato un paio di volte — commentai. — Un tipo senza grilli per la testa, con l’incarico di controllare l’applicazione dei contratti fra il ministero e le aziende del Nord. Poco più di un burocrate, ma con alle spalle un bel po’ di “periodi imbarcati”.
— Costa, indagare su questi particolari è compito suo, ma mi piacerebbe essere informato se saltasse fuori qualcosa d’interessante. La barca è la stessa, anche se i timonieri sono diversi.
— Con lei ho sempre lavorato bene e non vedo perché la nostra collaborazione debba…
— Perché vedo in giro troppe greche e troppe stellette. Lei sa come vanno a finire certe indagini quando tutti vogliono fare bella figura, oppure hanno interessi particolari da tutelare. Se un questore e un colonnello comandante si scomodano a scendere in strada, significa che Roma ha già fatto sentire le sue campane. E tutto ciò a meno di mezz’ora dalla sparatoria! — affermò esplicito il funzionario di polizia.
— Le garantisco che da parte mia non incontrerà alcuna forma di ostruzionismo. La DIGOS dovrà però mantenere aperti tutti i canali informativi con l’AISE. Niente conflitti di competenza e rapporti privilegiati con la magistratura. Mi sa che questa partita va giocata alla luce del sole se non vogliamo finire col sedere per terra… e farci anche male! C’è di mezzo un ufficiale superiore americano e questo basta e avanza. È un miracolo che non si sia ancora fatto vivo il console a rompere le scatole.
— Aspetti a parlare: un funzionario del consolato è già arrivato in ospedale. Non è nemmeno passato da qui per chiedere se quelli che erano con Christian Gurney l’hanno scampata.
— Potenza del dollaro… anche quando vale poco! Avete identificato l’autista?
— È il maresciallo nocchiero Gualtiero Ravera, distaccato all’Ufficio tecnico con mansioni varie. Un altro veterano prossimo alla pensione, considerata l’età: cinquantasette anni.
— Ma dalla mira precisa! Scommetto che era ferito quando ha risposto al fuoco. Ha usato la pistola d’ordinanza?
— Beretta 92S con caricatore bifilare: l’arma è ancora sul sedile, dove sono caduti anche i bossoli. Entrambi i proiettili sono finiti invece nel torace dell’aggressore, uno vicino all’altro, come da manuale di tiro. I fori sul soprabito li ho visti io, e l’autopsia lo confermerà. Solo…
— Dica, Ottaviani!
— Gualtiero Ravera è stato giustiziato: dopo essere stato ferito e aver reagito è stato freddato dal secondo aggressore, quello che se l’è filata in moto nella nebbia di questa gran bella città. Un colpo in testa, secondo la migliore delle tradizioni! Pistola automatica perché il bossolo è caduto ai piedi della portiera.
— L’assassino non l’ha raccolto? Strano per un professionista. Forse ha voluto comunicarci nome e messaggio.
— Costa, lei pensa che abbia voluto dirci qualcosa?
— Troppo presto per affermarlo. Magari non ha avuto il tempo materiale per raccoglierlo o ha preferito filarsela prima che il cerchio si chiudesse. Certe volte rischiare è inutile quando la missione è data per riuscita. A questo punto le perizie balistiche diventano fondamentali. Un bossolo per terra, forse due nella macchina e… una valanga in strada.
— Tutti calibro 5,56. Un tecnico dell’ERT ha anticipato che sono di fabbricazione recente.
— Due aggressori e tre vittime, quindi. Dalla macchia di sangue sull’asfalto noto che Gurney è stato colpito in strada, forse mentre stava salendo in macchina.
— Già! Per fortuna abbiamo la testimonianza del portiere. La prego di lasciarlo in pace perché è più morto che vivo e non si riprenderà prima di qualche giorno. Lui era appena oltre la porta vetrata e prima che perdesse i sensi per lo spavento qualcosa ha visto. È un invalido con la pressione alle stelle ed è un miracolo se non è diventato il quarto cadavere.
— Lei mi ha riferito che i proiettili hanno colpito Gurney al volto, vero?
— Aveva anche un paio di fori nella parte alta del torace. Non so se i colpi abbiano raggiunto la colonna vertebrale perché quando l’hanno caricato sull’ambulanza era del tutto incosciente. Il medico ha anticipato comunque che le lesioni alla testa hanno procurato la fuoriuscita di materia cerebrale. Ma perché me lo chiede?
— Forse mi sono fatto un’idea di com’è avvenuto l’agguato. Il killer, col mitra nascosto sotto l’impermeabile, ha atteso qui fuori che l’americano uscisse dall’androne, poi ha sfoderato l’arma e ha aperto il fuoco sull’autista. Questo per neutralizzare la reazione dell’unico elemento che poteva essere armato. La raffica ha fatto voltare Gurney, giusto in tempo perché si prendesse la sua dose di piombo. Immaginando l’efficacia dell’arma, tutto si è svolto nel tempo d’un lampo. Caduto a terra l’americano, l’“annaffiatoio del diavolo” ha preso di mira Berardi, trucidandolo mentre cercava d’uscire dalla macchina. Tuttavia l’autista, anche se raggiunto dalla prima raffica, è riuscito a prendere la pistola e a rispondere al fuoco in maniera efficace. È toccato quindi al secondo killer, rimasto nell’ombra in posizione di rincalzo, intervenire: come lei ha affermato, quella di Gualtiero Ravera è stata un’esecuzione. M’è scappato l’occhio sul sedile di guida e pare un mattatoio. Dopo i primi due colpi quel poveretto non ha più avuto la forza di riprendere la mira.
— L’ERT ha trovato anche un terzo proiettile conficcato all’interno del tettuccio: l’autista ha premuto il grilletto senza vedere, d’istinto, per un riflesso condizionato.
— Ho sentito che il gran bastardo se l’è filata in moto: chi l’ha visto? Sempre il portiere?
— Lui era già fuori gioco per lo spavento. No, è stato un cameriere del Roy Bean, che era uscito per gettare la spazzatura. Per ora è stato l’unico testimone a fornirci un elemento valido. La moto era parcheggiata di fianco al cassonetto. Il ragazzo ha detto che un tipo con casco e passamontagna, vestito con una specie di montgomery scuro, l’ha minacciato con una pistola munita di silenziatore, poi è saltato sulla moto ed è scappato a tutto gas nella nebbia, in direzione di piazza Duomo. Per fortuna è un tipo sveglio e ha riconosciuto il tipo di mezzo: una Suzuki Gladius 650 “naked”.
— Identificazione troppo precisa per essere vera — sorrisi acido.
— Si fidi. È un tipo che batte le piste da cross e, a sentire lui, è anche abbastanza bravo. Comunque, faremo i nostri controlli.
— Fosse così avremmo un buon punto di partenza perché il modello è recente e sono in pochi a possederlo. E se l’avessero affittato presso un motonoleggio saremmo ancora più fortunati, perché avremmo una descrizione di chi l’ha noleggiato, anche se…
— Sono convinto che salterà fuori la faccia di quel tipo steso a terra. Sono sempre i gregari, gli “spendibili”, ad aprire per primi il fuoco e a fornire il supporto logistico. Quello che contava è proprio il tizio che è scappato!
Ci raggiunse un anziano ispettore in divisa, che consegnò a Ottaviani un foglio di taccuino. — Il procuratore capo ha organizzato un vertice in tribunale per le tredici di domani. Ha detto che vuole che siano presenti anche quelli della Marina e che alle convocazioni deve provvedere lei — informò a denti stretti, la tesa rigida calata sulla fronte.
— E come se non bastasse domani c’è la prima alla Scala, con tutta la Milano da bere che sgomita per parteciparvi e due cortei di disoccupati che hanno intenzione di rovinare la festa. Costa, per me questo è un crimine scomodo. Non so perché, ma me lo sento. Un alto ufficiale americano e un ammiraglio italiano uccisi in mezzo alla strada, davanti a uno degli alberghi più esclusivi della città…
— A bordo d’una vettura senza blindatura — aggiunsi. — Si sa dov’erano diretti?
— Paolo Berardi indossa l’alta uniforme nera con tutte le decorazioni e nel bagagliaio c’è la sua sciabola. Christian Gurney, sotto il cappotto di cachemire, veste un completo da cerimonia di taglio militare: sparato bianco, papillon e giubbino con tre file di nastrini. Nella borsa gli abbiamo trovato il berretto rigido con le fronde dorate sulla tesa.
— È l’alta uniforme della Marina americana. Da quanto tempo soggiornava all’Alhambra?
— È arrivato oggi pomeriggio alle tre e ha lasciato la stanza pochi attimi prima di essere ucciso. Alle cinque ha chiesto al cameriere di piano un bicchiere di bourbon. Tutto qui.
— Telefonate? Cellulare?
— Dalla reception non è passato niente, in quanto al suo satellitare è nelle mani dell’ERT. Non so come comportarmi: Gurney è sotto tutela diplomatica e le sue telefonate sono top secret per via dell’immunità. Non voglio creare incidenti con l’ambasciata autorizzando l’analisi delle chiamate. L’ho fatta venire perché so che a Roma lei conosce gente a Palazzo Margherita e…
— L’addetto alla sicurezza è un certo Maskelyne ed è una persona collaborativa. Non solleverà proteste se lei compirà il suo dovere affidando il cellulare ai tecnici della Scientifica. E poi l’attentato è stato commesso su una strada pubblica. Dove ha trovato il telefonino? In tasca?
— Sull’asfalto; Gurney l’aveva in mano quand’è stato colpito e l’ha lasciato cadere.
— E chi ha detto che l’aveva in mano proprio lui? Noi sappiamo che il cellulare era a terra, accanto al cadavere di un tizio che indossava un borghesissimo cappotto di cachemire. Ordini all’ERT di procedere e per il resto si vedrà domani alla riunione. Dirò ai miei capi di farsi vivi, anche se manderanno me a fare atto di presenza. Lo scalone del tribunale è diventato faticoso negli ultimi tempi, e lei ha contribuito a renderlo più disagevole, vicequestore Ottaviani.
— Nella questione di A...

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